La sceneggiatrice dei sentimenti


Anatomia di Anime - una recensione a cura di Martina Galvani Editing 


Atmosfere rarefatte e suggestioni oniriche permeano questa raccolta di racconti firmata da Emanuela Sica, la cui anima inquieta esplica differenti contesti a fare da scenario alle possibili epifanie del dolore. 
Il linguaggio colto, preciso e raffinato accompagna il lettore fino al punto in cui l’abisso si schiude, e rimanere in sospeso sull’orlo non è esercizio di stile, ma stato d’animo per questa autrice siciliana che ha scelto la sofferenza, o da questa si è fatta scegliere, come argomento da narrare. 
Sprofondando nel mare buio della disperazione la Sica è talentuosa, e tanta abilità nello scrivere può risultare, talvolta, fuorviante nei confronti del contenuto. Paradossalmente, la bravura rischia di sembrare fine a se stessa, ma è sufficiente affrancarsi da tale schema interpretativo per lasciarsi cogliere e trascinare da questa “sceneggiatrice di sentimenti”. Si tratta di un’indagine emozionale travagliata, un viaggio al termine del quale le questioni permangono irrisolte, poiché il tormento non conosce pace, nel’affievolirsi ingannevole del proprio imperituro livore, né da qualche parte conduce, essendo privo di ogni finalità.
E’ scrittrice sensibile, introspettiva, attenta, la Sica, con il magma che sceglie come materia prima da plasmare, e traduce in parole lievi e sospese al limite del territorio poetico i pesanti scrigni semantici del sentire più cupo. Da notare anche le incisive e inquietanti illustrazioni in bianco e nero a scandire il testo, anch’esse opera della scrittrice, che per sua stessa ammissione, concatenando litoti, celebra il dolore e la morte per tributare un atto di supremo omaggio all’umana esistenza, le cui zone oscure sembrano ombre in agguato, pronte a ghermire. Feroci e prive di senso.

Potremmo dire di aver lottato








Vorrei cucire, sul vessillo di quest’Irpinia malconcia, il preambolo della Dichiarazione di Indipendenza Americana del 1776: “Quando, nel corso delle vicende umane, diventa necessario per un Popolo sciogliere i legami politici che lo hanno vincolato ad un altro ed assumere il rango eguale e separato al quale le leggi di Natura e la natura di Dio gli danno diritto tra le potenze della Terra, il rispetto del giudizio del genere umano richiede che esso dichiari le ragioni che lo spingono alla separazione.”

Quali parole, se non queste, meglio identificano lo stato delle cose? Una lunga serie di usurpazioni, sottomissioni, abusi, dileggi, dispotismo, hanno mirato a ridurre l’Irpinia in ginocchio.

L’hanno sventrata, scarnificata, dissanguata, riducendo nel nulla le potenzialità esistenti.
Non bastava l’atroce ferita del terremoto, ne eravamo usciti malconci si ma vivi, consapevolmente ancorati ai nostri territori. Eppure, se non c’è mai limite al peggio, ecco che la politica malsana ha continuato nel compito che si era prefissato, ridurla all’estrema agonia, fare scempio di questa terra. L’Irpinia è la terra dei nostri natali, dei nostri avi. E’ quel paesaggio che ha fatto da cornice alla costruzione della nostra infanzia e di tutta quella vita che ci era stata data da vivere. L’aria che respiriamo è un connubio di ossigeno, vento e dedizione. Dalla sua fecondità naturale, dai villaggi, dalle valli e dalle montagne che la popolano, abbiamo preso il tratto sanguigno che ci appartiene come tratto idiomatico di distinzione. Da quel guizzo di sangue pulsante e vivido vogliamo trarre l’ispirazione, inarcare la schiena, riprenderci la linfa, dare vigore alle nostre radici per avvilupparci e tenerci stretti il presente, proiettati a vivere meglio il futuro.
In questa lenta agonia, in cui ci hanno relegato le classi politiche che si sono susseguite, non vogliamo continuare a vegetare.
Le nostre richieste sono state disattese totalmente, anzi hanno ottenuto come risposta un continuo reiterarsi di offese, sino ad arrivare alla distruzione totale del nostro habitat naturale. Chi vuole costringere una terra ed i suoi figli a morire lentamente non avrà mai più la nostra partecipazione assente. Le continue angherie hanno reso riconoscibile il nemico, questo tiranno che ha non una ma mille facce. Sappiamo bene chi è e lo vogliamo sfidare.
Per questo, oggi diciamo basta alla logica del palazzo e riprendiamo coscienza.
Oggi ci separiamo dalla politica del qualunquismo e del voto di scambio come vincolo di sottomissione ai poteri della casta.
Ci separiamo dalla logica lavorativa dello spopolamento per vivere costantemente questi luoghi senza perdere la memoria, consapevoli che il presente o quel pezzo di presente che ancora viviamo non ce lo toglieranno. Possiamo e dobbiamo costruirci il lavoro visto che nessuno ce lo regala. Il coraggio di vivere queste realtà, anche in estrema sofferenza, non ci deve mancare. Ci separiamo dalla distruzione dei servizi da parte di chi è sempre più attento alle logiche del centro di potere che a quelle dell’entroterra in cui viviamo, dove ci è impedito finanche di ammalarci. Ci separiamo da chi vuole toglierci la giustizia per farci vivere nell’illegalità. Ci separiamo da questa massa di imprenditori senza scrupoli che hanno invaso le nostre terre per creare investimenti solo nelle loro tasche. Da chi ha creato l’illusione nella massa di operai disperati che ancora vedono rifiutati davanti ai cancelli. Ci separiamo da questa Costituzione che è solo una dichiarazione di intenti, formale, senza alcuna applicazione pratica, o meglio si applica a zone alterne, dove ci sono più diritti e dove ci sono soli doveri. Ci separiamo dalla pergamena ma non dallo spirito dei patri fondatori della carta riproducendo l’ideologia della lotta come ultima forma di rigurgito morale che resta alle nostre terre ormai depredate e distrutte.
Il Procuratore della Repubblica di S. Angelo, dott. Guerriero, in un’intervista al giornale, ha usato un termine molto forte: EUTANASIA. Concordo con questa sua visione ed aggiungo: è vero, il potere politico ci ha bloccato nelle forze e ci ha condannato, o meglio, ci aveva condannato. Oggi possiamo parlare al passato. Parliamo al passato perché la gente d’Irpinia si sta rialzando, rialza le membra dal letto di morte e si incammina, fiera e lucida, verso la battaglia finale. La nostra è una rivoluzione che non comporta spargimento di sangue e, forse, potrebbe essere questo un limite insormontabile per una riuscita perfetta. I rivoluzionari francesi ce lo hanno insegnato. Eppure possiamo tentare di renderla pacifica almeno sino a che non riceveremo la prima ed invereconda offesa. Siamo per la non violenza nonostante siamo ogni giorno violentati dai governanti di turno.
Siamo Irpini, esistiamo, siamo l’ossatura di questo paese. Non dimentichiamo che l’Irpinia è la terra dei Lupi ed i Lupi non hanno bisogno di altri animali per sopravvivere. Siamo abituati a vivere in solitaria assenza. Ci hanno tagliato i boschi, devastato gli armenti, svuotato le case, ridotto in polvere quel poco di servizi che avevamo. Possono tentare di togliere ancora ed ancora ed ancora ma non l’avranno mai vinta sulle nostre coscienze. Quella è l’unica cosa che non avranno mai. Perché la coscienza è strettamente legata al nostro cuore, è una sola cosa. Anche nell’estremo sacrificio del corpo la coscienza resta intatta non evade come l’anima. Rimane nelle carni, nel sangue e nelle ossa, si consuma con noi sotto terra, rimane l’idea nelle genti che restano a piangerci ed in esse si alimenta di forza e stimoli sempre nuovi. Oggi l’Irpinia si dichiara indipendente dalla mala politica e dalla mala gestio del passato. Vuole riappropriarsi del diritto di guardare con speranza al futuro.
Con la convocazione degli Stati Generali l’Irpinia diventa unico paese e non insieme di paesi.
Non dovranno esistere più voci, esisterà una sola voce quella dell’Irpinia vera, di quella della terra che ci appartiene e ci apparterrà per sempre. Uniti nell’unico richiamo che sappiamo comprendere, ci muoviamo tutti nella stessa direzione. Riappropriamoci delle nostre terre, facciamo di ogni luogo il nostro luogo, senza più campanilismo e margini di confini, perché non abbiamo una sola vita da difendere, dalla nostra dipende la vita dei nostri figli, dei nostri padri, delle nostre madri, delle generazioni future.




Per questo dico: non limitiamo le forze perché se anche dovessimo cadere davanti al nemico potremmo dire di aver lottato.
Perchè cercate tra i morti....
Dalla Rubrica "Lettere dal sentimento"
di Emanuela Sica
Corriere Irpinia 24 aprile 2011





2011 anni fa. “L’alito del mattino trasmigra in me come se fossi tu a respirarmi nelle narici. Padre, sei ancora qui, non mi hai abbandonato. L’aurora del nuovo giorno sembra risucchiare ogni cosa, la notte, il tempo trascorso, le voci, le grida, il dolore. Il sole bussa alla mia porta ed io voglio lasciarlo entrare. Mi chiedo come sia possibile che riesca ad alzarmi da questo letto di pietra.
Quando mi avevano deposto nelle braccia di mia madre, non ero che un brandello di sangue, chiodi e spine. Le sue lacrime lavavano il mio volto tumefatto, scivolavano sul collo, tracciavano le sue sofferenze, la sua disperazione, eppure io non potevo muovermi, ero completamente avvolto dalla morte, asfissiato nei respiri, divorato dall’assenza della vita. E ora che queste membra si sollevano dal sepolcro è come se avessi un corpo nuovo. Non risponde alle mie incomprensioni, si muove già sapendo dove andare.
Ha i segni della flagellazione, del martirio, ma senza la sudicizia del sangue raggrumito. Il telo che mi avvolgeva, come una coperta di lacrime e balsami profumati, si apre vaporosamente come se qualcuno avesse alitato calore. Il trapasso dal lino alla posizione eretta avviene con un bagno di luce senza pari. È così intensa e radiosa che lo colora leggermente, come una bruciatura impercettibile, in tutta la sua dimensione.
Tessitori ebrei hanno creato questo telo per me. La macellazione del corpo, il supplizio infertomi con tanta violenza, il sangue ed i coaguli delle fustigazioni, ogni cosa, doveva essere avvolto e custodito in quella stoffa. Ogni piccolissima particella del mio corpo, ferita stessa del costato che ha aperto il mio cuore, sono sigilli impressi a fuoco su quelle fibre di lino. Eppure, nella sindone non troverete alcuna traccia di putrefazione, poco sono rimasto nel sepolcro, dalle sei del venerdì sera all’aurora della domenica. Trentacinque ore di silenzio e di sonno, come se non fossi vivo.
E quando mi sono sottratto alla fasciatura della sindone, senza alcun movimento fisico del corpo stesso, è come se fossi letteralmente passato attraverso il lenzuolo. La resurrezione è iniziata stamattina, Padre risalgo sino al tuo cospetto.”
2011, oggi. “E’ chiaro, lo dice l’osservazione dei coaguli di sangue”, disse la dott.ssa alzando gli occhi dal microscopio. Enormi fiotti di sangue erano penetrati nelle fibre del lino in vari punti, formando tanti grossi coaguli e una volta secchi erano diventati grossi grumi di un materiale duro, ma anche molto fragile, che incollava la carne al tessuto proprio come farebbero dei sigilli di ceralacca.
“Nessuno di questi coaguli risulta spezzato e la loro forma è integra proprio come se la carne incollata al lino fosse rimasta esattamente al suo posto. Lo studio dei coaguli al microscopio rivela che quel corpo si è sottratto al lenzuolo senza alcun movimento, come passandogli attraverso e questa non è una qualità fisica dei corpi naturali, corrisponde solo ad un caso storico, così come narrato dal Vangelo.” Gli altri esperti rimasero in silenzio.
La dottoressa continuò: “Abbiamo riscontrato una bruciatura superficiale del lino, questa nasce dallo sprigionarsi istantaneo di una formidabile e sconosciuta fonte di luce proveniente dal corpo stesso, in ortogonale rispetto al lenzuolo, l’irradiazione è stata trasmessa da tutto il corpo. Quello che è successo non è un fenomeno naturale e non è riproducibile.”
Tra i presenti, una persona dai tratti somatici quasi riconoscibili, si avvicinò alla dottoressa, la fissò per un istante e poi disse: “Il corpo di Gesù ha acquisito qualità fisiche nuove, non più definite. E’ il corpo glorificato, divinizzato dopo la resurrezione. Posso ritornare nella sindone così come sono uscito, fondermi in essa, lasciare ancora una traccia della mia esistenza. Non abbiate paura...”
Dopo quelle parole svanì in una bolla di luce, una scia brillante si incuneò nella teca della sindone facendola gonfiare per un istante per poi ricomporsi nella staticità di sempre.
«Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato» (Lc 24,5-6)


L'eco nel cuore

Tratto dalla Rubrica "Lettere dal Sentimento"

di Emanuela Sica - Corriere Irpinia 8 maggio 2011



Piccola, forse meno di un granello di sabbia ma grande da travolgere ogni tuo respiro. Nel tuo grembo caldo ho assaporato la vita, il dono più autentico che una persona può fare. Generare il battito di un altro cuore, il respiro di altri polmoni, le visioni di altri occhi.
Nei tuoi sogni vivevo, prima ancora che nella tua carne, dalla placenta ho attraversato la strada che mi ricongiungeva alla terra che abitavi e li mi sono fermata. Quando mi hai messa al mondo sapevi già quanto ero importante per te. Io, invece, non sapevo chi fossi. Poi, quando da una cellula infinitamente piccola mi sono tramutata in carne ed ossa, ho atteso che il cuore mi parlasse di te. La storia di questo amore è ancora dipinta sulla mia pelle, scorre nelle mie vene, ossigena ogni cosa.
Il sangue di chi ti ha generato non si perde mai, ritorna sempre al cuore. Nei reticoli di questo mio muscolo pulsante tu rimani e rimarrai imprigionata per sempre. La mia nascita è stata un miracolo, quando ancora non riuscivo a vedere cosa era il mondo la tua dolcezza mi ha tenuto al riparo dalle prime tempeste. Quante notti sono stata viva senza capire. I giorni, i mesi, gli anni, passati come in volo sulla nostra esistenza.
Ero solo un neonato, poi una bambina, una ragazza, ora una donna. Ero nuda e mi hai coperto di saggezza, devozione e speranza. Mi hai regalato uno sguardo silenzioso sulle cose, le parole della notte. Le perle del mattino erano i tuoi occhi che mi chiamavano al risveglio. L’immagine di cosa sarebbe stata la mia vita senza di te non voglio tenerla in conto. Ho ancora nella mente le voci, i suoni, i profumi della tua terra fertile, del tuo mondo materno: le ninne nanne, le risate, le attese silenziose per ascoltare le prime cicale, il fruscio delle pagine dei libri che leggevi ogni sera, quel profumo inconfondibile sul cuscino.
Lo sai, i ricordi non si affievoliscono quando l'infanzia è ricamata con fili d'oro e tu sei stata la sarta che ha cucito, con sapienza e devozione, ogni mio piccolo istante di vita. Sei stata la compagna più fedele in questo viaggio e lo sei ancora. Neppure il dolore, che cesella il corpo con violenza, riesce a portare via quegli istanti.
Essi divagano in quelle caverne buie come sentinelle di frontiera, staminali che ricostruiscono le volte distrutte dalle battaglie che ho perduto.
Tumultuosi, nei momenti più tristi, si frappongono davanti alla disperazione per donarmi nuova linfa. Sei polline di fiori, di una primavera delicata, attaccato alla mia anima. La nutri in silenzio. L'amore che ci unisce è così forte, così infantile, che è quasi come se non fossi uscita mai dal tuo grembo.
È un amore primordiale, istintivo, che neppure il tempo cancella.
Ed anche se domani dovessi perdere la parola, se gli occhi mi abbandonassero, se le membra si raffreddassero come in un inverno gelido, fatto solo di sussurri silenziosi quanto incomprensibili, ricorda che il tuo volto, il tuo sorriso, il tuo amore, continueranno a scaldarmi l'anima sofferente ed anche se non riuscirò più a dirti : "mamma ti voglio bene" tu lo intuirai e ne sentirai l'eco nel cuore.

L'angelo che ho nel cuore





Piccola, tenera, dalle sembianze ancora misteriose. Come una presenza che si concretizza solo nei pensieri o nei desideri, non riesco a vederti, ma so che cammini al mio fianco.



Vorrei stringerti eppure le mani devono accontentarsi di una semplice carezza sul ventre.



Sei l’Angelo che ho nel cuore, l’Angelo che è dentro di me, il mio dolce e imponente desiderio di essere madre. Sei uno scrigno dal contenuto sempre nuovo e meraviglioso, il custode dei miei segreti, delle mie ansie. Ogni volta i miei sensi ti trovano, ferma, ad aspettarmi, quando mi rifugio nella tana dove tu riposi. Sei il battito più forte e vigoroso del mio cuore, l’essenza più vera ed inarrivabile della mia anima, un fascio di nervi scoperti che sussulta al minimo tuo movimento. Sei tutto il mio mondo ed ancora di più. Scalci mandandomi messaggi ancestrali. Sei la sveglia del mattino, con le tue giravolte. Sei la culla dei miei sogni, quando schiudi le tue ali su di me per scaldarmi nel riposo notturno. Io sono la casa che attende il tuo arrivo e, quando sarai entrato, ti stringerò le mani, scriverò nel tuo palmo parole di sogno e dolcezza, parole che solo noi due condivideremoAngelo mio, la mamma ti sarà sempre accanto, in ogni istante. Nei momenti difficili poggerai il capo sul mio petto. Nella gioia vedrai i miei occhi velati di serene lacrime. Mi svelerai la bellezza donandomi un sorriso senza eguali. Accanto a te, oggi e domani, raccoglierò i ricordi più belli che a volte tenderai a dimenticare. Questi ti rammenteranno dell’amore che, a volte, proverai a seppellire nella tua mente, nel tuo cuore. Soffrirò insieme a te dell'amaro della vita mentre ti accarezzerò il viso e ti sussurrerò aliti di profonda speranza. Vorrei dirti le parole più vere della vita, ma il tempo mi consiglierà di lasciarti crescere, germoglio, gemma, fiore e frutto del mio albero. Sulle tue gambe correrai lungo i sentieri che il destino ti aprirà davanti e se mai dovessi cadere…pregherò di essere ovunque e di qualsiasi forma, anche un semplice appiglio, solo per rialzarti.

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