LA MIA NEAMICA

La leggenda ed il suo contrario.

Si narra che un tempo, quando non esisteva ancora l’albero dell’olivo, vivevano ad Amicle, in Laconia, due giovani amici: Eispnelas e Aitas. Pur se frequentavano abitualmente il tempio di Apollo, abitando fuori dal villaggio, mancavano spesso alle feste delle Iacinzie (celebrazioni estive in onore  del dio Apollo e del suo giovane amico Giacinto). Una volta, mentre erano fermi davanti all’altare del Dio Apollo, spinti da una forza sconosciuta, formularono in cuor loro la stessa, identica preghiera: "Apollo, divino Kouros, che proteggi ed ascolti i giovani che a te si rivolgono con cuore sincero, sii propizio a questo mio caro amico ed a me e fa sì che la nostra amicizia non venga mai cancellata da Kronos che tutto divora. Ti scongiuro, splendente Signore dell’Armonia, ascolta la mia preghiera!". Apollo ne rimase così profondamente commosso che decise di esaudirli. Mentre i due amici, si abbracciavano felici, li trasformò in un meraviglioso ulivo, già carico di frutti. Quell’albero divenne segno di benedizione, di benessere, di pace. Un albero di cui gli uomini non avrebbero mai più potuto fare a meno, proprio come l’amicizia.  


Sfoglio velocemente e ritorno sempre al punto di partenza. Anche questo vocabolario, come quello che ho appena lanciato sul pavimento, non mi aiuta, non mi da alcun significato plausibile per questo termine coniato di slancio. Eppure non esiste miglior parola per definire una persona che ha tramato alle spalle di una donna che era ed è ancora sul punto di morire. Sciocchezze, non ditemi che non aveva capito la gravità. Non mi dite che non le avevo  spiegato la mia condizione. La verità è che lei è il suo contrario. Non comprende né comprenderà mai il bene e la sofferenza perché del bene conosce solo l’apparenza, per lei è un vestito che si indossa la domenica, nei giorni di festa. Del bene non avverte l’essenza, per lei non ha odore. Se davvero avesse capito il significato della parola amicizia non si sarebbe mai arrogata il diritto di farne scempio. Non avrebbe mai, con la sapienza che ha mostrato, staccato e maciullato l’ultimo lembo del mio cuore. Al sangue di una ferita aperta, alla traccia che la vita aveva impresso nella carne, al dolore che già pulsava nelle ossa, si è aggiunta lei: la mia Neamica. Eppure dai tratti apparentemente sinceri, da quelle parole precise ed a volte avvolgenti, non avrei mai detto o scommesso che sarebbe diventata, ben presto, una megera, una che mangia dalla carogne della sofferenza. Il suo cibo prediletto: la rabbia ed il rancore. E quella bocca, nessuno lo avrebbe mai detto, mascherava fauci sempre più affilate e velenose. Così, in un giorno qualunque, mentre la mia vita mi passava davanti come un treno in corsa, quando l’affetto dei momenti positivi non sarebbe bastato nemmeno per dare un piccolo passo in avanti, nel momento della devastazione e nel momento del maggior bisogno, eccola apparire nella sua prepotenza. Come un velo di pelle che si liquefa in un secondo e svela il corpo o la sembianza di un mostro, così lei si riappropria della sua verità più intima. Inconsapevole, avevo cercato appoggio proprio nel tempio di Kronos, che tutto divora. Non ci sono oppure non trovo parole per descriverla. So solo che fa male. Maledetta l’essenza di quel giorno in cui ho deciso di farla entrare nella mia vita. Possibile che sia stata così stupida? Non esistono ragioni che tengano. La purezza di un sentimento antico come l’amicizia è collassato. Un terremoto ha sventrato, dalle fondamenta, questa mia casetta già in bilico sul mondo. Quell’albero di olivo ha generato i frutti del delirio. Se qualcuno prova a spremerli esce solo una goccia corrosiva che altro non genera se non un nuovo e più intenso dolore. Si dice che è nei momenti di maggior bisogno, che è nella tragedia che si vedono i veri amici. Potrebbe anche essere ma non lo saprò mai veramente. Ora porto negli occhi, come  ganci nell’iride, solo la visione della mia Neamica…tutto il resto non fa testo.  

  


La prediletta



La mente costruisce spiegazioni che non dovrei contestare. Taci, le dico. Per un attimo cancella la scienza, la ragione, la medicina. Lasciami il pensiero, il sogno, il risveglio in una vita diversa. Se riuscissi a prendere quell’immagine, se le mie gambe riuscissero a dare quella spinta che mi serve, mi slegherei da questo corpo. Nell’indifferenza del mondo non mi sento abbandonata. Rinchiusa o buttata in una prigione, l’anima mia richiede liberazione, voli senza confini. Mi basterebbe prendere l’idea per farne carne, per diventare una donna nuova, evanescente, quasi senza pelle, eppur pregnante di vita e di passioni. Non devo affannarmi a cercarla. Mi basta rimanere in silenzio. Posso captare la sua vita posando la mano sul petto. Questo battito, che incessante mi tiene legata alla terra, mi dice che quella ragazza esiste. Lei vive in simbiosi con la mia anima, diventa, ogni giorno, mistura balsamica di nuove energie. È la mia compagna silenziosa. Mi parla del presente, non ha paura del futuro. Si riversa nell’inchiostro fluido, cullandomi nei momenti di pura fantasia. Quella ragazza esiste: è Vania, sono io la compagna di me stessa. Io e lei, il buio e la luce, coabitiamo nello stesso corpo, nello stesso tempio labirintico dove non esiste alcuna via d’uscita. Diverse in tutto. Dormiamo, mangiamo, parliamo, ridiamo, piangiamo, litighiamo. Facciamo ogni cosa contrastandoci nelle passioni della vita. Così, se lei ride, io piango. Se io piango, lei ride. Ci facciamo la guerra e ci perdoniamo, in questa incessante lotta per rimanere vive ed ancorate all’illusione. Antidoto per non pensare quanta sofferenza ci resti da vivere. Signore, quando ho compreso il significato della tua devozione ho chinato il capo, dimenticando la rabbia, cancellando la paura. Mi sono lasciata invadere da questo immenso dono che mi avevi riservato. La fede considera questo mondo un passaggio. Non lo metto in dubbio. Eppure, quando arriva il tramonto, quando le luci si accendono, forzate, in questa stanza. Quando il sole cancella l’arcobaleno impresso sui muri, rimane la carrozzella e chi vi è seduta sopra. Quella sono io? Mi chiedo, posando gli occhi solo un secondo sullo specchio. La risposta non tarda ad arrivare. Come ritraggo lo sguardo, lanciate da archi invisibili, non una ma mille frecce avvelenate si conficcano nelle membra. Tagliano le forze, la passione. Il cuore martoriato si gonfia, soffre e si rivolta contro la mente. La rabbia esplode senza limiti. È allora che appare la perdizione di avere le gambe rivestite di cemento. In quei momenti neanche la luna esce più a fare compagnia alle stelle, gli unici occhi che scrutano nel mio mondo sommerso e nel rifugio che la vita mi ha costruito. Tutto è pieno e vuoto allo stesso tempo. Nessuna aspirazione, bramosia, ricerca, niente di tutto questo. Si materializza l’inferno, la mia oscura prigione. In quei momenti vorrei riuscire a non respirare. Vorrei liberare la vita, farla evadere velocemente dalla prigione. Vita che morde pensieri e volontà, che sopprime illusioni, che abbatte la speranza come un albero senza radici. Non posso essere la donna che un uomo desidera, quella che si ama più di ogni altra cosa al mondo. Non posso essere l’amante, quella che si stringe con vigore in una notte di passione. Non posso essere la fidanzata, quella che si bacia sotto il portone di casa, quella che sale le scale col cuore in gola. Non posso e non lo sarò mai, anche se non sono io ad aver scelto di nascere e di vivere in questo corpo immobile. Ma se voi guardaste oltre le limitazione di questo corpo, se guardaste con lo sguardo di chi trapassa le membra alla ricerca dell’ideale di donna da amare, dello spirito puro e assoluto, della piccola rosa di campo che fa capolino tra l’erba alta, sono certa che mi vedreste veramente. Vedreste quali sciarade multicolori sprigiona la mia fantasia, il piccolo diamante incastonato nella pietra più nera e che illumina la caverna come una torcia che mai si spegne. Allora qualsiasi altro sentimento chinerebbe il capo di fronte al bene immenso che si libera dall’anima mia. Vedreste me: Vania, la ragazza, la prediletta. Che sciocchi, avete perso troppo tempo. La vita è una lancetta di spugna. Quando finisce, cancella il male. La morte mi ha ridato le gambe. Ora danzo tra quelle nuvole calde, affondando i piedi nell’infinito. Lasciatemi vivere per sempre in questo paradiso

In ricordo di Vania Palmieri

Solo ora che ti guardo dormire...



Mi chiederai perché e perché ora. 
Sono certo che stringerai i pugni senza avvertire la stretta tenace. Ferma, in una penosa incredulità, ascolterai quello che la mia voce ti dice e proverai tanto e tale dolore come se la verità, che sempre hai cercato, ora ti si rivoltasse contro come dei pugnali veloci e silenziosi che si conficcano nell’animo tuo, muto e quasi agonizzante.
Sono stato per pochissimo tempo sano di mente e la mia inutile fermezza non è valsa a niente. 
Prima di lasciarmi andare non ho pensato a quello che tu eri o rappresentavi. Non ho pensato a quello che avevo, non ho pensato al bene o al male, alla differenza tra chi è e chi, solamente, appare. Nessuna incertezza nell’affondo del bacio, nessuna limitazione nella passione carnale, nessun dubbio, nessuno, nel continuare il  cammino o la corsa …fuori dai confini del lecito.
Niente che assomigli ad una coscienza. Nessuna traccia di lungimiranza e privo di ogni logica mi sono fatto prendere e catturare. 
Dovevo essere io il predatore… ma a guardarmi bene non posso che essere un bracconiere. I sinonimi che si usano per indicare il raggiro, la disonestà, la malafede e tutti quelli che neanche conosco, hanno costruito quello che sono adesso, impressi a fuoco nel mio vivere quotidiano, nel mio essere indegno, indegno della devozione, dell’affetto e dell’amore che provi per me.
Sentimenti, questi, che ti appartengono semplicemente e senza difficoltà, quasi fossero naturalmente intrisi nella tua pelle, matrici assolute del tuo essere donna.
Si… la voglia di lei, liscia e diretta alla testa, come una bevuta di grappa, sinuosa e curvilinea, come lenzuola di seta pura, calda e deflagrante come l’incendio che distrugge una foresta secolare o un palazzo d’altri tempi.
Nessuno avrebbe resistito al richiamo del suo profumo, a quel profilo lieve, una stampa nel cuore che si arrende, a quel corpo leggero e privo di esperienza ma così impetuoso da tagliare di netto tutte le resistenze della morale; nessuno avrebbe fatto un passo indietro di fronte a quel paradiso tangibile, vero e così vicino.
Nessuno, sono sicuro e per questo mi dovrei sentire meno colpevole…eppure… 
Eppure avrei dovuto guardarti ora per dare il passo che mi è mancato, per ricucire velocemente lo strappo che si stava aprendo, vertiginosamente, tra l’impulso e la ragione. Avrei dovuto immaginare, solo per un attimo, per una lucciola di tempo, come sarebbe stato il tuo definitivo addio.
Se deciderai di punirmi per questo reato, per la sua recidiva che si materializza quasi ogni giorno, allora non sarò più una persona, non varrò che pochi grani di sale, sarò una moneta senza corso, una merce in avaria. Mi guarderò allo specchio e vedrò cosa significa la disperazione ed il vuoto che genererebbe la tua rinuncia. Non pensare che ti chieda giustificazioni o attenuanti. Agognerei mille castighi ma non sopporterei di vivere neanche un anno, mese, giorno, ora, minuto o secondo senza averti accanto, senza i tuoi sorrisi, le tue carezze, la tua voce cangiante, la tua indole furibonda ed indeformabile. Senza di te piangerei lacrime corrosive. Mi annienterei solo respirando la tua assenza.
Ho violato la promessa che ci eravamo scambiati.
Ti ho tradito amore mio…dovevo dirtelo e lo faccio ora….solo ora che ti guardo dormire.

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