mercoledì 21 maggio 2025

BiblioIlde - "Quello che so di Te" di Nadia Terranova



Un legame che va al di là della realtà comprensibile, ma che permea tutta la vita della protagonista, lasciando tracce ogni istante nel suo mondo invisibile e creando un ponte incancellabile e profondo attraverso il passato e verità a poco a poco disvelate attraverso la sua realtà presente.

L’autrice, nel narrare la vicenda, dà molta importanza alle memorie e alle menzogne che hanno nascosto la verità, l’hanno celata in una caverna buia attraverso cui la protagonista procederà, portando con sé una piccola luce fioca, che diventerà sempre più forte, quella della sua determinazione, attraverso i segni che lei scoprirà attraverso la sua vita, impigliata nello strato irregolare delle eredità familiari.


“La incontro spesso in sogno la mia bisnonna Venera”: è l’inizio di un percorso difficile, denso di sconvolgimenti emotivi e di segreti, un’eredità struggente e dolorosa. Venera aveva subito un dolore terribile che le aveva tolto la voglia di vivere e anche la sua voce , che la metteva in contatto con il mondo ed era stata internata in un manicomio, il Mandalari, perché le era stato impedito il diritto all’elaborazione della perdita. Aveva accettato il suo destino, perché aver vicine le figlie Maria e Rinuccia avrebbe significato contaminarle con la malattia, mentre lontano da lei si sarebbero salvate. Nasce uno strano legame della protagonista con il granatiere, il suo bisnonno, lei voleva stare un poco dentro il suo immaginario, disertore in segreto e con la dolorosa incapacità di non riuscire ad esprimere i propri sentimenti, che teneva tutto dentro di sé: anche quando si era sentito costretto a portarla in manicomio, soffriva, perché a lui non era permesso farle visita, solo osservarla da uno spioncino segreto. Quando finalmente era tornata a casa, Venera era diventata la donna muta che metteva terrore alle bambine e non si alzava mai dal letto: era un “muso cucito”, indifferente a tutto ciò che avveniva intorno a lei, ma stretta nella sua disperazione indicibile. 

La ruota del destino è inesorabile e, anni dopo, colpisce la quinta dei sei figli di Rinuccia con una caduta in montagna, ma è come se la realtà in un certo senso si capovolgesse, perché Rinuccia era diventata guaritrice e madrina delle cadute dell’infanzia di sua nipote, la protagonista, come contraltare di un profondo dolore, lei che “avrebbe tenuto a bada il male con i calli sulle mani, il canto e la preghiera” e avrebbe portato avanti la famiglia con una serenità, anche se apparente.

Con la nascita di sua figlia, Venera era uscita dagli incubi delle sue notti e  si era incarnata sul corpo, attraverso una strana macchia sul viso come una presenza nascosta: il suo mondo invisibile era tutto occupato da lei, che era come se facesse parte della parte più profonda del suo essere. Era abituata a pensare a Venera come al suo doppio, un fantasma vivo, con tutte le donne che conteneva dentro di sé. Si era creato un legame profondo e “familiare” con il marito di sua madre che diventa per la piccola un punto di riferimento irrinunciabile. 

Nel corso degli anni, di madre in figlia, avevano ereditato una storia che dovevano sapere, ma di cui non potevano parlare. Significativo è il concetto di Mitologia Familiare, i ricordi che si trasmettono, anche se talvolta infarciti di menzogne o dimenticanze: la Mitologia “è una narratrice che sa scegliere la convenienza” . Particolare, nel corso del racconto, era la ripetizione del numero trentotto nella vita della sua famiglia, in cui “le donne si trasformano e gli uomini svaniscono”, come il mistero di una strana maledizione.

Alla fine, quando la protagonista dice a sua madre che ha fatto ricerche su sua nonna Venera in manicomio, lei la osserva con incredulità, rivelandole di non aver mai saputo niente di quella storia: è una sorta di cerchio che si chiude, immerso in un mondo dell’illusione della verità.




lunedì 19 maggio 2025

Memorie di una Janara - Il pensiero di Ilde Rampino Accademia dei Dogliosi di Avellino


Una vicenda che si snoda attraverso voci dimenticate, rinvenute in un manoscritto misterioso, che rimandano ad un passato arcano, pieno di segreti, in cui emerge la figura della  Janara, donna vilipesa e in un certo senso temuta e disprezzata, perché diversa. L’autrice, con una sensibilità profonda, fa scaturire da questa narrazione un mosaico di spunti e riflessioni che mettono in evidenza la potenza emotiva di queste donne che hanno sofferto, ma non si sono mai arrese e hanno lottato per affermare la propria identità.

Struggente è la storia del loro destino atroce, prede di una violenza volta a sottometterle per porle in una condizione di inferiorità e l’amore e il senso di protezione di qualcuna che si lancia da un dirupo, abbandonando sua figlia per darle una possibilità e perché non vuole che lei porti il suo marchio infamante e immeritato.

 “Io sono semplicemente la guardiana dei segreti. Conosco gli incantesimi per guarire e per nuocere”: le parole della Janara diventano semi di luce e di mistero che percorrono ogni pagina di questo libro intenso e meraviglioso, che ci fa immergere in una realtà in cui il passato, la tradizione e i segreti fanno da contraltare alla sopraffazione nei confronti di queste donne, considerate creature del diavolo, il cui unico scopo, invece,  era quello di esserci e anche alleviare il dolore degli altri, attraverso erbe e medicamenti. Significativo è il legame ancestrale della janara con la terra, il vento, l’acqua e il fuoco, lei che diventa custode muta dei cicli lunari.


L’autrice, attraverso un’attenta e accurata ricerca storica,  attinge alla tradizione orale con brevi racconti in dialetto, accompagnati dalla traduzione, allo scopo di mantenere il contatto con le proprie radici a cui è legata da un sentimento profondo, trasmettendo agli altri il significato recondito di alcune storie, raccontate durante la sua infanzia e tramandate per generazioni. La gatta janara , cacciata da tutti, ma protetta da una donna che la sente vicina o lo scazzamauriello, il cui insegnamento è che non bisogna volere troppo o il lupo mannaro, vittima di un destino immeritato, il muto del Formicoso in cui aleggia la lotta contro le ingiustizie, l’albero delle janare che ci fa riflettere sul fatto che il nostro destino è legato a ciò che facciamo agli altri, la sedia della Madonna che ci fa comprendere che i bambini che sono senza peccato, vedono ciò che noi adulti possiamo solo immaginare, Dimiura, la casa dei bimbi perduti o la processione dei morti.

Attraverso le pagine del libro scopriamo ricette antiche, infusi per alleviare il dolore, pozioni, elisir, unguenti, rituali e “l’incanto del vento per dimenticare una persona o un amore”: è un libro magico, che incarna il respiro di voci perdute, rappresenta un varco tra il reale e l’immaginato, in cui volteggiano “frammenti di un universo sospeso tra il visibile e l’invisibile”.

E’ un filo che non deve spezzarsi, perché è insito nel presente di tutti noi ed è legato a un eterno desiderio di conoscenza dei misteri e dei segreti del mondo. Fondamentale è anche tuttavia lasciare segni inspiegabili di una realtà che non può e non deve essere completamente rivelata per mantenere un alone di incertezza e senso dell’ignoto.

Un’immergersi in una condizione esistenziale, che l’autrice, in modo mirabile rende sua, perché si riconosce diversa e densa di una pregnanza emotiva che la rende unica e che si evince anche dalle intense poesie che occhieggiano tra le pagine, in cui versi come “se una vita si raggomitola nel nido dell’altrove…sono stata in tutte le lacrime che hai perduto…ho fatto una capanna di silenzio dove metto ad asciugare le parole non dette…le memorie che non hanno più casa nelle parole estinte dal dolore” sono tracce incancellabili di un’anima pura che ha conosciuto il dolore, ma che lo ha trasformato in forza e determinazione per offrire uno spaccato di un mondo ancora sconosciuto.

Suggestivo è il particolare delle pagine mancanti nel manoscritto che “sono sparse nel tempo” e improvvisamente si materializzano per continuare una storia, probabilmente infinita e che ci trasportano con sé, attraverso fili invisibili di una magica aura.


 

Memorie di una Janara - Il pensiero di Rita Nicastro Presidente MIA


In principio, era il Verbo...Inizia così, il Vangelo Secondo Giovanni.

E anche la Bibbia, nel primo libro, parlando della creazione, ci dice che Dio crea tutto l’Universo, usando il Verbo - la Parola: Sia - Fiat - Fiat lux...e tutto nasce, ogni cosa prende vita.

Potremmo dire che in principio c'è un suono, che origina tutto. Nel corso del tempo, il Verbo si è fatto parola e le parole, scrittura. Ecco a me ritornano in mente queste antiche affermazioni, leggendo i tanti testi che scrive Emanuela Sica.

L' uso che fa delle parole, Emanuela, nei suoi tanti libri, nelle sue poesie uniche, porta in sé davvero qualcosa di ancestrale, di atavico, che incute rispetto.

Soprattutto, in Memorie di una Janara, le sue parole assumono un significato reale, si fanno Verbo, prendono Vita e contribuiscono a rendere giustizia a chi, per secoli, ne ha incarnato l essenza più profonda, vivendole come una condanna, come ferite sanguinanti, che non potranno rimarginarsi mai, causate dall' odio di tanti uomini e donne.

JANARA - STREGA - FATTUCCHIERA!!!

Parole che diventano Ingiurie più dolorose di una lama acuminata.

Oggi viviamo in tempi in cui l overdose comunicativa, ha snaturato il reale significato di tante parole, rendendo, spesso, inutile relazionarsi con gli altri, perché non esistono più codici comunicativi condivisi.

E. S., invece, ci ha fatto riscoprire tutte le più profonde emozioni contenute nelle parole: scritte, recitate, illustrate.

M. di una Janara, è un libro che ha anche il pregio di farci compiere un lungo viaggio nel tempo, di riportarci alla nostra infanzia, quando giocando da bambine nei cortili del nostro quartiere, ci insultavamo chiamandoci "Janare", tempi in cui le nostre nonne o le vicine di casa, usavano fiori di camomilla, foglie di lauro bollite o piatti riempiti con un po' d acqua e gocce d olio, accompagnate da incomprensibili parole antiche, per guarire ogni male.

Questo magico libro, ci riporta ai tempi in cui in nostri Happy Hour erano il sorbetto di neve e sciroppo di amarena, fatto dalle nostre mamma, le migliori Master Chef del Mondo.

Tutto questo ritorno al nostro passato ed ai ricordi ancestrali, è reso possibile dal fatto che in questo libro ritroviamo la nostra memoria storica, le nostre radici, perché siamo cresciuti avendo gli stessi ricordi, avendo ascoltato gli stessi racconti, di streghe, monacielli, scazzamaurielli... e vissuto le stesse emozioni, anche se siamo di generazioni diverse.

Ho sempre pensato che chi compie lo stesso tragitto, è destinato ad incontrarsi sulla stessa strada, per me è proprio così. Parlare di questo libro è per me ritrovarmi in parte del percorso didattico che ho compiuto da docente di storia ed educazione civica con i miei alunni, nel corso di tanti decenni.

Ho cercato di insegnare loro l’importanza di conoscere e rispettare le proprie radici, la storia della propria terra, per non sentirsi soli, ma parte di una storia antichissima che ci fa sentire forti ed orgogliosi di quello che siamo.

Lo stesso percorso lo compie E. S., in questo libro, insegna ai due giovani protagonisti, il profondo legame che si instaura tra il passato e il presente, la bellezza e anche il dolore che possiamo trovare scoprendo il nostro passato, che poi, è il solo modo per costruire un solido futuro.

Ancora compiendo lo stesso percorso, anche se in periodi diversi, ho incontrato Emanuela, come donna, una donna che come me e tantissime altre donne, usando anche la sua potente e pulsante scrittura, con libri come Rosso vdg, è da sempre impegnata contro la violenza di genere.

Tutti i suoi libri, sono uniti da un fil rouge, un filo rosso, poiché al centro c è sempre la volontà di dare voce e giustizia alle Donne, dando loro il riconoscimento che la Storia, scritta da uomini, ha spesso negato, falsando consapevolmente, linguaggio e realtà...

"Ho fatto una capanna di silenzio, dove metto ad asciugare le parole non dette"...

Scrive la protagonista del libro, una giovane donna sofferente che vorrebbe solo trovare un po' di pace e rispetto.

E, secoli dopo, questo libro dà voce alle migliaia di donne che volevano solo alleviare il dolore degli altri, donne torturate, emarginate, messe al rogo.

Emanuela Sica con questo libro, inoltre , conferma, ancora una volta, di essere una vera studiosa, di possedere grandi conoscenze, riuscendo ad usare con grande maestria e leggerezza, contemporaneamente, diversi codici letterari, diverse forme espressive, nel suo libro: usa il linguaggio medievale, di una donna che urla dolore e voglia di pace, che, nonostante tutto quello che vive, tramanda antiche ricette ed elisir e la lingua attuale dei due giovani protagonisti, simbolo delle nuove generazioni, Michele e Ginevra, cui questa splendida storia è dedicata.

Scrive anche nella sua lingua madre, la nostra scrittrice, la lingua legata al suo cuore e alla sua infanzia, il dialetto della sua Terra, dando voce al Nononno e alla Nononna, che si fanno cantori e custodi di antiche leggende...

Il libro diventa anche un saggio ed un documento storico, quando ci parla di un testo nato dalla mente davvero satanica di due monaci, nel lontano 1487, su richiesta del papà, due predicatori che rinnegando i principi di amore e perdono che Gesù ha lasciato loro, scrivono il libro Martello delle streghe, Malleus Maleficarum, il Martello delle Malefiche, in cui si fa legge, la persecuzione, la tortura e l’uccisione di tante donne innocenti, circa 60mila, calcolano gli storici, nel tremendo periodo denominato "Caccia alle Streghe", durato oltre tre secoli...

La parte storiografica, si conclude con il racconto della storia di tante famose Janare e del triste epigono delle loro vite... Questo libro è vero un dono, per tutti noi, conferma che davvero Emanuela Sica, da Casa Sanremo, fino ad ogni angolo della nostra Penisola, è la vera Ambasciatrice della Storia e della Cultura Irpina, della sua poesia e magia, facendosi anche, una vera custode della Memoria storica Irpina.

Vi rivolgo un invito, in conclusione del mio intervento: anche se sono passati alcuni giorni dalla Festa della Mamma, siete ancora in tempo a regalare alle nonne e alle mamme, Memorie di una Janara, a tutte le vostre figlie ed amiche, le donne anche se non hanno figli, sono sempre madri, poiché sanno dare come nessun altro.

Regalate cultura e passioni a piene mani, contribuirete a rendere più ricche tante persone, cercando, insieme a noi, di creare relazioni migliori e, forse, un Mondo più vivibile!!!



domenica 18 maggio 2025

The Moonlight's Verses - Anna Rita Merico

 MINOTAUR


At the center of livid humor

the humming Minotauro

molded

 

scattered the missing vowels of the incomplete alphabet

 

 



DWELLING 

To reach the inside of risk and dwell in it 


LANGUAGE

Language

fertile Mother whom to return to

I tell you in the archetypal writing

of a word

whose ancestors stare at me

 

EXCESS 

I live

of

sober

excesses

 

SOUTH 

It is not easy to work here

Think here

Although, here, there are good silences

As a photographer needs the right lights

a word needs the right silences

the proper spaces

particular tearings towards the inside

Here the Ancient speaks

Here the Light shows