DUE PAROLE


Esistono due parole. Parole che identificano una partenza, un avvio ed il suo necessario compimento, l’epilogo. Che definiscono la materia multiforme della nostra esistenza. Le sue costanti ed incostanti contraddizioni. Le fasi alterne di quello che si muove sotto i nostri piedi. Il mondo che gira e con esso il tempo che corre, e ci percorre, inesorabile. Parole opposte, non solo in ordine cronologico. La prima, dinamica ed aperta al futuro: INIZIO. L’altra, statica e chiusa, un punto morto, che tallona la prima come un segugio: FINE. Parole che si alternano e si rincorrono come in un gioco di ruoli dove, forse, si comprende il vero senso delle cose solo quando queste sono arrivate a destinazione, finite. Probabilmente è davvero questa la vita: iniziare relazioni, amicizie, conoscenze; iniziare delle cose, un progetto, un libro, una mela. Poi, complice il tempo, non si sa quando, arriva su tutto la parola FINE. Fine della relazione, lasciarsi, diventare nemici o dimenticarsi; oppure conclusione del progetto, chiudere il libro, buttare il torsolo. Ed ogni giorno assistiamo, da spettatori o interpreti, ad ingressi ed uscite di persone che passano per pochi attimi, giorni, mesi o anni nella nostra vita. Persone, individui, a cui vorremmo dare una certa durata, anche se spesso sono loro a darsene una. Con alcuni vorremmo stipulare un contratto a tempo indeterminato. Illudendoci di staccare il biglietto della pensione insieme a loro. Ma dimentichiamo che ogni individuo si porta dietro un vissuto, un passato, sensazioni, emozioni ed un carattere che, per natura, spesso è indefinito, magari labile o incostante oppure semplicemente opposto al nostro. E non possiamo trattenerli contro la loro volontà. Perché per legare un sentimento, per evitare che quel nodo ci strozzi, bisogna legarsi prima l’anima e poi il corpo. Il desiderio di salvare questi legami dalla fine è come cercare un cibo senza scadenza, da consumare sempre, quotidianamente e, ad ogni morso, vederlo sempre rinnovato e rinnovarsi da quello. Ma esiste? La realtà è visibilmente chiara ma, spesso, vogliamo essere ciechi. Consapevolmente illusi cerchiamo l’amore, l’amicizia, la lealtà, la sincerità accompagnate dal finto carrozzone del “PER SEMPRE”. Eppure, il più delle volte, la maggior parte dei rapporti si rivela a scadenza. Ammettiamolo: siamo i dannati del part-time o delle collaborazioni a progetto (queste ultime deleterie perché basate sull’opportunismo). Tutto ha un Incipit e tutto ha un Exitus, come dicevano i latini. Se vogliamo essere cosmopoliti tutto ha un Begin ed un The End. Se vogliamo essere sognatori tutto ha un “C’era una volta”, una frase che presuppone l’inesistenza attuale di quella cosa. Nel viaggio della vita si parte e si arriva. Ma è l’avventura di iniziare, di partire, pur sapendo che esiste una conclusione ignota, che ci fa essere umani. Se l’essere umano ha una fine terrena perché ci stupiamo se quello che ci circonda poi finisce? Tutto, anche le cose più semplici, non necessariamente i sentimenti, si consuma. Si disintegra, si esaurisce. Dal fiore che sboccia ed appassisce ad una volgare ricarica per il cellulare che ci lascia senza minuti. Ed allora, se finiscono le cose concrete, come potrebbero durare le cose astratte come l’amore, l’amicizia? Non vi darò una risposta. Ma diamocela da soli, singolarmente, e che sia onesta. Però posso dire che, se dipendesse da noi, possiamo decidere quanto far durare ciò che abbiamo. Possiamo decidere dove mettere la parola fine ed anche se metterla. Poi, quando succede che non siamo noi a deciderlo dobbiamo accettare la conclusione che ci viene imposta. Qualunque essa sia. Questa è la VITA, il nostro alfabeto quotidiano, dove c’è una A ed anche una Z. Ma se la capovolgiamo, se vediamo la Fine come un punto, possiamo anche vedere il “da capo”. E quello può essere un nuovo inizio. Una possibilità o probabilità che possiamo decidere di giocarci nella roulette del tempo, sino all’ultimo dei nostri giorni. Eppure, se diventassimo consapevoli di tutto ciò, di queste scadenze, di questi capolinea, impareremmo ad apprezzare le cose, tutte, soprattutto quelle che durano di meno. Ma, non ce lo dimentichiamo, come finisce il bello così finisce anche il brutto. La sofferenza, il dolore, la rabbia. Tutto passa si dice. Beh si, mi risponderete, passa ma dentro resta, lascia il segno. Ed allora dovremmo permettere anche alle cose belle di lasciare il segno. Pensiamoci perché magari, nel pesare il bello ed il brutto, è probabile che il bello superi tutto. Ricordiamoci che tutto ha una fine. Anche il male, prima o poi, finisce ma è la capacità di andare “da capo” che poi fa la differenza.  

Il canto delle Muse. I libri del mio tempo

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