VERDE SMERALDO



Il profilo aveva dei tratti in comune. Alcuni dicevano che era il naso, altri la fronte. Altri ancora rivedevano, nella bocca carnosa e nel taglio all’ingiù delle labbra, quasi un segno distintivo. Eppure era negli occhi che si riversavano i geni dell’appartenenza. Gli stessi occhi. Quel colore verde smeraldo, appena sbiadito da piccole pagliuzze della tonalità dell’ambra, simile ad una distesa di acqua salata al risveglio del sole. Occhi, quelli di lei, che rimanevano, spesso, a fissare il cielo, mentre gli occhi di lui si riempivano di pensieri pesanti. Occhi dell’attesa, i primi. Occhi della speranza di una vita che nasce e cresce nelle pareti del corpo. Vita che sguscia fuori da quello scrigno di liquido e calore avvolgente dopo ore di intenso travaglio. Vita desiderata e appesa alla speranza di rivedere un sorriso sereno. Un corpicino sano, una bocca che prende aria e rilascia un pianto che suona, nei timpani, note felici. Gioia che si liquefa nel primo vagito. Gioia che un pensiero solo non riesce a contenere, tanto è infinita, senza confini. Bocca che si attacca al seno e da quello prende il primo nutrimento, la prima goccia di amore puro. Amore senza richieste di ricompense o pretese di essere ricambiato. Quello che si condensa nel latte e dal latte si trasforma in ossa, muscoli, nervi, organi, sviluppando la crescita. Definendo l’evoluzione di un piccolo ometto in un uomo di quarant’anni o poco più. Latte come riserva di anticorpi. Guerrieri contro le malattie del corpo, che si assiepano nelle mura del castello e non temono gli attacchi dei batteri, dei virus della quotidianità. Guerrieri che sfidano febbre e tosse, che si aggiungono alle truppe a cavallo: ai vaccini. Vaccini che si trasformano, moltiplicando l’esercito, per salvare dagli agguati più cruenti quell’ometto ancora in fasce. Guerrieri che diventeranno gli abitanti di quel villaggio in continua crescita, durante il suo cammino nel tempo. Guerrieri che, tuttavia, nulla possono o potranno contro un unico nemico. Quello che si nasconde, senza lasciare traccia del suo ingresso, nelle alture del cervello. Annidato o forse addormentato, ma pronto a mettere i piedi sul terreno, in qualsiasi momento, e dare battaglia alla ragione, al sentimento stesso di appartenenza. E fu proprio in quegli occhi smeraldo che lei vide se stessa, un attimo prima di essere annientata. Un attimo prima di essere travolta da quella vita che lei stessa aveva messo al mondo. Vita ridotta fuoco e fiamme da quel nemico silenzioso: la depressione. Eppure cinque minuti prima erano seduti a fare colazione. Il solito orario. La solita tazza di caffè. Il pane appena tagliato, il coltello adagiato sul tagliere, alla maniera di sempre. Il barattolo di marmellata di amarene fatte in casa: la sua preferita. Il latte comprato fresco, giù al negozio, ogni mattina. La solita routine da quando lui era un bambino fino ad oggi. Lei che va in camera sua. Apre lentamente le serrande. Con un filo di voce gli sussurra che è ora di alzarsi. Lui che mormora e farfuglia sempre le solite frasi. Imprecando il destino di averlo rinchiuso ai margini della società. Da quando aveva perso il lavoro non era più lo stesso. Poi un mezzo buongiorno stretto tra i denti. Non il solito buongiorno. Lei che si accorge di quella deviazione dalla consuetudine ma non gli chiede spiegazioni. Prende lo zucchero ed aggiunge due cucchiai, come sempre, nel caffè fumante. “Oggi cosa preparo per pranzo?”. Sempre la stessa domanda. Lui che stranamente non risponde. Non beve il caffè ma afferra il coltello e lo affonda nella gola di sua madre. Lo stesso coltello che rivolge verso di se e trancia la carotide in un solo gesto. Occhi increduli, quelli di lei, che vorrebbero fissare il cielo ma sono bloccati dal soffitto cupo e sporco di sangue. Occhi stravolti, quelli di lui, che si staccano dai pensieri e diventano leggeri. Occhi verde smeraldo che si spengono nello stesso momento. Occhi che si ricoprono di sangue, che zampilla dalla gola, che li abbandona alla stessa velocità e li riannoda nella morte così come erano stati nella vita.  

IL SEGRETO



Come una manciata di brio, sparsa dalle mani del tempo, leggera si muove, quasi danzando, nell’ immensa solitudine del mondo.
Sorprende gli animi in cammino, chini sul quotidiano tormento della fretta o distratti dal fragore del progresso. 
Come un respiro bianco, improvviso, di ghiaccio, spinge la dolcezza nei polmoni. Rianimando, profondamente, gli anni che ognuno si porta addosso. Eppure ha una forma senza alcuna pretesa o manie di grandezza. Piccolissimi pezzetti di ovatta, sfilacciati, morbidi, dalla consistenza simile allo zucchero filato. Non appiccicosa però, semmai amabile, rigenerante. Scende ad accarezzare ogni cosa. Sottolineando il silenzio dei boschi. Addolcendo i profili dei monumenti. Mascherando il brutto, esaltando il bello. Sospinta dal vento o annodata alla nebbia, si posa sul presente e lo trasforma in una cartolina della nostra fanciullezza. Chi di noi, almeno una volta o più di una volta nella vita, non l’ha mai toccata, non l’ha mai sentita appiccicarsi alla pelle o infilarsi tra i capelli, ricoprire la sciarpa, il cappuccio ed il cappotto? Chi non l’ha mai vista confondersi con la luce del giorno o con quella dei lampioni, nelle notti di tormenta? Chi non l’ha mai sognata nel caldo del piumino? Chi non l’ha mai desiderata nel risveglio del mattino? Chi non l’ha mai assaporata mescolandola al vincotto? Chi non l’ha mai afferrata, compattata, fatta persona, o meglio, buffo pupazzo? Chi non l’ha mai lanciata, nel gioco dei sorrisi e dei geloni? Probabilmente ognuno di noi ha o ha avuto a che fare con la neve. Ognuno di noi l’ha ospitata negli occhi, guardandola scendere lenta, dietro un vetro, a scuola, in ufficio, in macchina, a casa. E quell’immagine, insieme al vissuto, rimane nella mente per essere, ogni volta, riaperta da vecchie e nuove emozioni. Per i metereologi la neve è solo una precipitazione di acqua ghiacciata e cristallina. Per ognuno di noi la neve è altro. Ha un significato uguale e diverso al tempo stesso. È una dolce giuggiola da sciogliere in bocca, lentamente. Ed ogni papilla avverte un gusto suo, privato, personale. È una sensazione di carmico benessere. La percezione di un momento che si veste più di romanticismo che di effettivo disagio. E’ una pedina di luce sulla scacchiera del passato. Quella che fa riapparire il bambino nei panni dell’uomo e, con un colpo di spugna, dissimula i brutti pensieri e li rende, anche solo per un attimo, evanescenti. Così, ogni volta che essa riappare, riappare anche quel segreto. Un marchio di fabbrica nel suo dna di cristallo. Una magia che si ripete, incessantemente, con le stesse fluorescenze di sempre. Con le stesse scie di felicità. Come in un remake ci proietta nei giorni dell’infanzia, assimilando tempo al tempo. Riducendo le distanze con chi siamo stati. Riannodando, nel corpo, fili di spensieratezza perduta. Ecco“la neve ha questo Segreto, ridare al cuore un alito di gioia infantile che gli anni ci hanno impietosamente strappato.”

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