martedì 2 settembre 2025

A Roma si costruisce un ponte tra Italia e Cina fatto di poesia

La città eterna è pronta ad accogliere un incontro inedito, un viaggio poetico che intreccerà due civiltà millenarie. Sta per alzarsi il sipario sul primo Festival di poesia italo-cinese, un appuntamento che promette di trasformare Roma in un crocevia di parole, immagini e visioni condivise. L’iniziativa nasce dal desiderio di unire, attraverso i versi, due tradizioni letterarie profondamente diverse ma accomunate dalla stessa tensione verso la bellezza e il senso. La poesia diventa così ponte, soglia, invito a guardare l’altro con occhi nuovi. 

Fulcro del Festival saranno due raccolte gemelle: una selezione di 38 poeti cinesi contemporanei, presentata per la prima volta in lingua italiana; e la più vasta antologia di poeti italiani contemporanei mai tradotta in cinese. Due mondi che si riflettono, si studiano, si riscoprono attraverso la lente preziosa della traduzione. Il programma prevede letture bilingui, dialoghi tra poeti, traduttori e critici, momenti di confronto sul ruolo della letteratura come strumento di diplomazia culturale. Non mancheranno contributi di istituzioni, case editrici e associazioni letterarie dei due Paesi, a testimonianza di un impegno condiviso che va oltre i confini nazionali.

Vediamo in dettaglio chi sarà presente e cosa si presenterà.

Hu Xian, classe 1966, poeta, saggista e direttore dello «Yangtze River Poetry Journal», uno degli autori più rappresentativi e autorevoli della poesia cinese contemporanea - sarà tra i protagonisti e ospiti della giornata. 

Al Festival di poesia italo-cinese - promosso da Delufa Press e Jiangsu Phoenix Literature and Art Publishing, in collaborazione con ASIC (Associazione Sviluppo Italia Cina), ISMEO (Istituto internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente), Hollywood Roma Tutto sul Cinema, Radio Rock, Sinaforum e Oryza - parteciperanno anche altri poeti, autori, traduttori, artisti e curatori del dialogo tra Italia e Cina tra i quali Irma Bacci, Stefano Bottero, Cai Chongda, Federica D’Amato, Claudio Damiani, Emanuele Dattilo, Maurizio Gregorini, Iago, Lin Bai, Matteo Marchesini, Claudio Marrucci, Marco Masciovecchio, Renzo Paris, Elio Pecora, Gilda Policastro, Rocco Salvia, Gino Scartaghiande, Shu Cai, Gabriella Sica, Maurizio Soldini, Brunello Tirozzi, Antonio Veneziani e Wu Yiqin. 

  • La prima Antologia di poesia cinese contemporanea, curata da Francesco De Luca e Jiangsu Phoenix Literature and Art Publishing, con la prefazione di Shu Cai (e le traduzioni di  De Luca stesso), è pubblicata in Italia da Delufa Press [raccoglie una quarantina di voci della poesia cinese contemporanea, molte delle quali per la prima volta in lingua italiana].
  • La seconda, invece, consente la penetrazione in Cina della nostra produzione contemporanea con un’ampia selezione di testi di trenta poeti italiani contemporanei mai tradotti in lingua cinese, è l’Antologia di poesia italiana contemporanea, curata sempre da Francesco De Luca con la Prefazione di Renzo Paris e le traduzioni dall'italiano in cinese di Liu Guopeng, pubblicata in Cina da Jiangsu Phoenix Literature and Art Publishing.

E dunque Roma, con il suo respiro universale, diventa così il palcoscenico ideale per un incontro che è molto più di un festival. Si tratta di un potente atto di ascolto reciproco, un patto di amicizia, un ponte che si costruisce attraverso la parola poetica. In un tempo che sembra frammentare e dividere, il Festival si pone come risposta: l’arte dei versi come bussola, il suono delle lingue come carezza, la traduzione come atto d'amore e fratellanza.


domenica 31 agosto 2025

Dal cuore dell’Irpinia alle sale operatorie: il prof. Antonio Giorgio e la lotta ai tumori epatici


A cura di Gerardo Vespucci

I tumori epatici: 40 anni di cura, mediante l’alcolizzazione eco guidata, e il ruolo determinante del ‘nostro’ dott. prof. Antonio Giorgio (Tonino). 

La medicina, è noto, ha accompagnato la civiltà dell’uomo, nel senso che da subito l’umanità ha cercato in ogni modo di liberarsi delle malattie, del dolore, delle ferite…della paura della morte: del resto, è molto più facile, più naturale, ammalarsi, piuttosto che stare bene! 

Le prime civiltà hanno provato con ogni mezzo a superare il malessere, a provocare la guarigione, per tentativi ed errori, trasmettendo alle generazioni successive le esperienze acquisite, con erbe, con pratiche chirurgiche e simboliche, fino a sconfinare nella magia e nelle ritualità religiose: è di questi mesi la notizia che persino i Bonobi, le scimmie più simili a noi, sono in grado di curare le ferite con impacchi di erbe particolari, intrise della propria saliva. 

In ogni comunità del passato, non mancavano mai i guaritori, figure superiori, sciamaniche, ossia in grado di fare da intermediazione tra l’ultramondo divino e la realtà, tra gli spiriti ed il malato, al fine di guarirlo: nella stessa Grecia di Ippocrate, erano presenti i templi dedicati al Dio della medicina, Asclepio, affinché, invocandolo, le pratiche mediche avessero successo, sebbene la medicina ippocratica avesse già acquisito una sequenza medica rigorosa, dalla diagnosi alla prognosi, fino alla determinazione delle cause ambientali, come l’aria e l’acqua. 

Come per altre scienze, anche per la medicina la civiltà dell’Occidente è debitrice alla Grecia, e, non a caso, è Aristotele a codificare la medicina come tekné, ossia arte, una forma elevata di conoscenza, sebbene non proprio come la filosofia, perché, come afferma nel libro I della Metafisica, «[…] l’esperienza è conoscenza dei particolari, mentre l’arte è conoscenza degli universali. […] gli empirici sanno il puro dato di fatto, ma non il perché di esso; invece, gli altri conoscono il perché e la causa»

Coerentemente, ne deriva, come egli ricorda, che il medico cura il malato, la Medicina si occupa della malattia: e così da allora, la Medicina ha assunto sempre più le caratteristiche di una scienza rigorosa, non cercando fuori dai propri principi la spiegazione dei fenomeni patologici, i rimedi ed i processi verso le guarigioni.

Oggi, in vero, siamo di fronte ad una super scienza, poiché nella Medicina moderna trovano un punto di applicazione tutte le grandi discipline, dalla biologia dei processi molecolari alla chimica farmaceutica, dalla fisica delle particelle alla matematica statistica, dalla informatica delle strumentazioni curative all’Intelligenza artificiale, ormai parte integrante per la diagnosi e terapia.

Eppure: di fronte a scoperte di cure sempre più avanzate e straordinarie, lo stesso linguaggio tradisce le origini di questa strana scienza: quante volte sentiamo dire: è un vero miracolo, è sensazionale, c’è finalmente una cura miracolosa.

Questo accade, purtroppo, perché delle scoperte non si conoscono i processi storici, lo svolgimento nel tempo, il lavoro spesso oscuro di decine di scienziati impegnati nella ricerca e di tanti medici clinici, di cui si ignorano i nomi, che quotidianamente lavorano negli ospedali.

Diciamo che la grande cenerentola che produce ignoranza – tanto più pericolosa oggi con i social - è la Storia della medicina, ed è un guaio, perché – per dirla con Imre Lakàtos, filosofo della scienza e matematico – la Scienza senza la Storia è cieca!  

Ed è di una storia in particolare che intendiamo parlare, anche perché vede tra i protagonisti, in assoluto, uno dei nostri figli migliori, il dott. Prof. Antonio Giorgio (nostri, ovvero di Sant’Andrea di Conza, dove ebbe i natali nel 1948): è la storia dell’alcolizzazione dei tumori epatici che, in 40 anni di applicazione, ha determinato la maggiore sopravvivenza di decine di migliaia di ammalati, migliorandone la qualità della vita in maniera straordinaria ed assoluta.

Andiamo con ordine e partiamo dal problema, ossia il tumore epatico. Abbiamo chiesto al prof. Giorgio di riassumerne i tratti essenziali ed ecco la sua lezione: 

«L’HCC – Hepato Cellular Carcinoma - è il tumore maligno più frequente del fegato ed è al quinto posto tra i tumori maligni al mondo. È più frequente nei maschi e, caratteristicamente, insorge sulla cirrosi epatica. Rappresenta inoltre la principale causa di morte nei cirrotici. Le cause principali della sua insorgenza sono l‘infezione cronica da virus dell’epatite B, dell’epatite C e abuso di alcool. Ancora oggi, l’HCC è una malattia ad esito infausto a meno che non si intervenga con una di queste tecniche: il trapianto di fegato, che cura sia il tumore che la cirrosi; l‘asportazione chirurgica (cosiddetta resezione epatica) e le cosiddette terapie ablative ( vale a dire l ‘introduzione all’interno del tumore del fegato di un ago per via percutanea – senza aprire l’addome del paziente - di sostanze chimiche come l’alcool assoluto sterile al 95% , sotto la guida dell’ecografia, la cosiddetta alcolizzazione e che è stata introdotta per prima) o trattamenti fisici ( sempre senza aprire l’addome che distruggono il tumore come il calore (radiofrequenza e microonde)» 

Tonino -come lo chiamano gli amici del paese - ha ricordato che le terapie ablative fortunatamente si sono imposte negli ultimi 40 anni perché, purtroppo, il numero di fegati necessari per i trapianti è superiore alle donazioni, mentre l’intervento chirurgico può essere effettuato solo nel 20-30 % dei casi, a causa della cirrosi sottostante l’HCC. 

Come già detto, il dott. Giorgio si è imposto nel mondo della medicina grazie proprio alle tecniche ablative e quindi gli abbiamo chiesto come ciò sia accaduto, anche in considerazione del fatto che lui, poco più che trentenne, sul finire degli anni Settanta, era già operativo al famoso Cotugno di Napoli, ma pur sempre in una parte d’Italia non proprio d’avanguardia per la medicina.

Ed ecco il suo racconto:

«Ho sentito parlare della possibilità di introdurre alcool assoluto in un tumore maligno di fegato a marzo 1985 – 40 anni fa - a Piacenza in un congresso di ecointerventistica da parte del primo italiano, Tito Livraghi, radiologo di un oscuro ospedale della provincia milanese sito a Vimercate. Io non avevo mai visto tale tecnica né mai assistito dal vivo all’introduzione dell’ago all’ interno del fegato, sotto guida ecografica, e della successiva introduzione dell’alcol all’interno dell’HCC, ma appena tornato a Napoli, trattai subito ‘senza sapere né leggere né scrivere’ il primo paziente che manco a dirlo si chiamava Esposito: visse tre anni mentre la sopravvivenza di allora era di appena sei mesi!»

Conosco bene Tonino, la sua determinazione ed il suo entusiasmo, ma viene spontaneo chiedergli come abbia potuto affrontare con fiducia e sicurezza tanti malati gravi, rischiando l’insuccesso, ed anche confrontarsi con il top della medicina mondiale: ed ecco le sue parole:

«Anch’io spesso mi chiedo chi mi abbia dato la forza. Mi ha mosso sicuramente quello spirito di incosciente coraggio giovanile che spinge ad osare e andare sempre un po’ più avanti. Credo però che mi abbia anche sollecitato il dolore e l’angoscia che vedevo nei pazienti cirrotici che in altissimo numero afferivano all’Ospedale Cotugno e che, già allora, erano costretti – altrimenti - alla cosiddetta migrazione sanitaria, che in quei tempi era verso l’Ospedale Paul Brousse di Parigi. In più, vi era la grande passione che avevo e tuttora ho nell’ ecografia che è stata una vera grande rivoluzione nella medicina degli ultimi 50 anni (appena festeggiati a maggio a Bologna, sede dell’ecografia clinica italiana), e di cui ho avuto modo di diffondere le tecniche di terapia percutanea eco guidata, anche con la pubblicazione, nei primi anni Novanta, di alcuni manuali specifici, utilizzati da centinaia di medici nei corsi di formazione da noi organizzati.»

Con orgoglio, Tonino ricorda gli anni più belli, in cui i pazienti, sempre in numero maggiore, arrivavano al Cotugno da tutte le parti d’Italia, sofferenti ma fiduciosi; di essi, ovviamente, molti erano meridionali, così che il centro di Napoli divenne l’unico riferimento fino a Roma e oltre: bisognava andare al di sopra della linea gotica per avere le stesse prestazioni di successo, ed infatti, Tito Livraghi nel 1986 pubblicò su Radiology i primi 13 casi di guarigione.

La tecnica si impose subito in tutto il mondo, tanto da essere ripresa da quotidiani di altri paesi come Le Monde, El Pais ed altri. Ad essere precisi, però, il primo vero inventore della tecnica dell’alcolizzazione era stato un medico giapponese, il prof Sugiura, anche perché in Giappone gli HCC erano molto più frequenti che da noi.  

Addirittura, Tonino ha ricordato che, in uno dei tanti congressi annuali internazionali di Chicago, incontrò un professore giapponese che lui conosceva, che a un certo punto, chiacchierando, chiese al suo allievo: “ma nel 1978 quanti pazienti avevamo già trattato?”

Il dott. Sugiura aveva reso pubblica la tecnica nel 1983, ma in giapponese, che ovviamente nessuno leggeva o capiva e quindi il merito fu attribuito tutto a Livraghi. 

Il prof. Giorgio non nasconde la propria soddisfazione nel ricordare che i principali protagonisti e i competitori dei giapponesi erano proprio loro, quei giovani che avevano osato sfidare le accademie, imponendo l’alcolizzazione immediatamente, anche surclassando la chirurgia - che era l’unica tecnica curativa - poiché essa era gravata da mortalità e complicanze elevate che arrivavano fino al 45 per cento e che poteva essere praticata solo in pochissimi casi, perché i pazienti erano tutti cirrotici . 

Tonino aggiunge: «Lo spirito, (vale a dire l’alcool etilico puro, come lo chiamo io anche nei congressi internazionali) invece aveva una mortalità dello 0,6 per cento e una sopravvivenza uguale a quella della chirurgia con la differenza che i chirurghi dovevano selezionare moltissimo i loro pazienti. Mettiamo, poi, che la tecnica era ambulatoriale! Non so se ci si rende conto: il paziente veniva in ospedale con un nodulo di 3 cm, e con solo due, tre sedute ambulatoriali era finita, tornava alla vita normale!»

Già nel 1995 Livraghi, Giorgio ed altri (Radiology, 1995) pubblicarono i risultati della sopravvivenza a 5 anni:

«Venne fuori che tale valore era pari al 50% dei pazienti trattati (un grande risultato!): era esattamente uguale a quelli ottenuti con la chirurgia, ma con la differenza che essi (i chirurghi) dovevano effettuare una selezione fortissima, sempre con mortalità e complicanze come detto sopra, mentre noi operavamo in ambulatorio!»

A fronte di simili evidenze, i pazienti, sia per Giorgio che per Livraghi, divennero migliaia; Giorgio, col suo gruppo al Cotugno, effettuava più di 900 sedute l’anno!

Sempre nel 1995, Livraghi coordinò uno studio multicentrico a livello nazionale, analizzando i risultati su 796 pazienti con epatocarcinoma su cirrosi, trattati con alcolizzazione percutanea eco guidata.

Giorgio ricorda soddisfatto quei risultati incredibili, perché: «questa tecnica, non solo aveva gli stessi risultati a cinque anni della chirurgia, che ancora veniva considerata la tecnica di elezione per il trattamento dell’HCC, ma presentava un numero nettamente minore di complicanze e di mortalità, comparata con la resezione chirurgica.  In più, ricordiamo che la resezione chirurgica era riservata a pazienti nettamente selezionati (di fatto, meno del 20% dei pazienti con HCC su cirrosi, mentre la nostra tecnica veniva applicata anche a pazienti con ridotta funzionalità epatica. L'altro dato che venne chiaramente fuori fu che, ovviamente, più era piccolo il nodulo maligno (< 3 cm) e più migliorava la sopravvivenza.»

Ulteriore conferma della bontà di questa tecnica, giunse dopo pochissimo tempo con un altro studio di sondaggio delle complicanze dell’alcolizzazione su 1066 pazienti. Lo studio, coordinato dai medici di Piacenza, dimostrò che sui mille e passa pazienti alcolizzati si era verificato un solo decesso: praticamente un successo totale, specie se comparato con l’alta mortalità insita nell’intervento chirurgico.

A questo punto niente più poteva precludere il successo dell’alcolizzazione: essa si diffuse in tutto il mondo con una rapidità impressionante e migliaia e migliaia di pazienti vennero trattati e curati. Addirittura, nell’anno 2000 a Barcellona giunse il riconoscimento ufficiale: durante la Consensus Conference (vale adire la riunione di esperti per indicare le linee guida del management dell’HCC) la PEI venne indicata come intervento curativo dell’HCC su cirrosi, al pari dell’intervento chirurgico e del trapianto di fegato

Fu, per noi, un grandissimo riconoscimento.

Il grande successo dell’alcolizzazione aprì le porte ad una serie di ulteriori ricerche per migliorare le tecniche ablative -cioè come far sì che il nodulo tumorale venisse “cotto” con il calore. Per prima arrivò la radiofrequenza, ossia la tecnica che consisteva nell’introduzione nel tumore, sempre sotto guida ecografica, di un ago, collegato ad un generatore di onde a radiofrequenza, e la cui punta si riscaldava a cento gradi. Successivamente si è inserita l’ablazione con le microonde, una tecnica di derivazione cinese, che aveva una potenza maggiore della radiofrequenza: questa metodica è capace di cuocere (ablare) anche piccoli noduli vicini alla periferia del tumore (cosiddetti noduli satelliti), che l’alcool non raggiunge; le microonde, a loro volta, sono in grado di indurre la distruzione di noduli di grosse dimensioni, anche in una sola seduta. Oltre che per l’HCC su cirrosi, questa metodica andava bene anche per il trattamento delle metastasi epatiche.

A queste tre tecniche principali, ci dice il dott. Giorgio, «si è aggiunta infine, un’ultima metodica chiamata Elettroporazione Irreversibile (IRE) che utilizza il passaggio della corrente elettrica tra due o più aghi, sempre sotto la guida dell’ecografia: è quella che ultimamente utilizzo meglio, ma è più costosa e con indicazioni estremamente particolari. Di tutte queste metodiche usate per l’ablazione percutanea guidata dall’ecografia dei tumori del fegato, i mie gruppi, prima all’Ospedale Cotugno di Napoli, che sicuramente ha rappresentato l’eccellenza italiana e internazionale per l’alcolizzazione, e poi, nelle altre cliniche, una volta lasciato l’Ospedale , hanno continuato ad eccellere in queste tecniche con centinaia e centinaia di pazienti trattati: basti dire che i dati pubblicati da me e dal mio gruppo, nel 2019, sull’Elettroporazione Irreversibile, rappresentano ancora la casistica più numerosa in Italia».

Gli ho chiesto se ci fosse ancora in questi anni una grande frequenza di tumori epatici o malattie gravi del fegato, considerato che negli ultimi tempi, grazie alla prevenzione con la vaccinazione per l’epatite B ed al trattamento con i nuovi farmaci antivirali per l’epatite C, si sarebbe dovuto limitarne i casi. 

Ecco la sua risposta: «una nuova patologia, chiamata Steatosi Epatica non Alcolica (NAFLD), ha preso il posto delle infezioni virali come causa di cirrosi ed HCC. L ‘aumento infatti del diabete, delle persone sovrappeso e degli obesi ha portato alla cosiddetta sindrome metabolica (diabete, ipercolesterolemia, obesità ,ipertensione arteriosa , malattie cardiovascolari) per cui il termine NAFLD è stato cambiato in MASLD vale a dire Metabolic-disfuntion assiociatde steatotic liver disease che significa alterazioni metaboliche –diabete ecc. come detto prima- in pazienti non bevitori e comporta un accumulo di grasso nel fegato , la cosiddetta steatosi epatica, con gravi insufficienze funzionali del fegato.»

Siamo giunti alla fine di questo notevole excursus ed un sentimento mi assale e mi preme esprimere: stima infinita ed immensa gratitudine verso questo grande medico che ancora oggi, da alcuni anni in pensione, trova la sua ragione di vita nel sentirsi utile ai pazienti, che quasi ogni giorno aiuta a vivere, operando in alcune cliniche della Campania.

Se fosse vissuto in altra epoca ed altro luogo, al dott. prof. Antonio Giorgio sarebbero stati tributati lodi ed onori, ma i tempi oscuri, in cui ci tocca vivere, sono pieni di mediocrità e questo scatto di riconoscenza non può certo accadere. Ma, vien voglia di dire con gli antichi, nihil novum sub sole, e lo stesso Leopardi, due secoli fa, ormai, ci aveva ammoniti con l’esergo de La Ginestra: Gli uomini preferirono le tenebre alla luce!