FORSE


Il buio le aveva rubato il paesaggio circostante. Si era impadronito dei suoi passi. Le aveva cancellato la meta, soffiando con crudeltà sulla fiamma. Aveva spento le torce che portava negli occhi, saccheggiando quel colore intenso, azzurro misto ad ambra, che le era stato donato da sua madre. Ora, che ogni cosa aveva perso la sua sembianza, non riusciva a capire da quale parte andare. Si era appena risvegliata da un torpore di incoscienza. Forse aveva sognato. O forse era ancora dentro a quel sogno. Non riusciva a capirlo. Ricordava solo il dolore. Un cuneo che si conficca nelle tempie. Che la svuota d’ossigeno, riempiendola di lacrime. Lacrime che non erano le sue. Eppure la sua memoria aveva fatto dei giri enormi alla ricerca di risposte. Cercava un tepore nascosto, la dolcezza di un alito caldo, un abbraccio inaspettato, manciate di solida fiducia, la tremante incredulità di occhi che ti appartengono senza sapere il perché. Tutto questo era reale o solo puro desiderio? Era china sul pozzo dei ricordi e cercava di capire cos’era stata la sua vita, il suo passato. E qual era adesso il suo presente. Poi d’un tratto intravide, nella sua mente, una piccola radura. Conosceva quel posto. L’erba fresca dove aveva poggiato, da piccola, i piedini scalzi, senza alcuna paura o tormento. Dove aveva plasmato la spensieratezza della sua infanzia. E lì vide anche lui. Lui che aspettava un suo cenno per avvicinarsi. Fu in quel momento che le sembrò che ogni cosa iniziasse a riprendere la sua forma. La sua naturale sostanza. Quella così tante volte idealizzata. Sentì un profumo intenso. Era la fragranza penetrante della sua giovinezza perduta. La purezza delle prime emozioni. La simbiotica paura di amare e non saperlo dire. Come trovare un vecchio diario e rileggere frasi che albeggiavano oggi come allora nella sua mente. Non sapeva chi fosse ma avrebbe voluto dirgli, forse sottovoce: “ti appartengo, sono tua”. Eppure un freno aveva lasciato cadere la parola. La spinta del cuore, verso quel lido sereno, si era marmorizzata. Rimaneva, immobile, in quel corpo disteso. Radici che si infilavano in quel letto, quasi un terreno paludoso, e non le davano modo di alzarsi. Di proseguire nel cammino. Ferma come davanti ad un portone. Il tempo che scorre e due anime destinate a incontrarsi. O forse a non incontrarsi mai. Ma quando lei aveva scorto il suo profilo. Quando la sua immagine era diventata finalmente desiderio pulsante nella sua mente, allora le sembrò di averlo sempre conosciuto. Era lui quello che la chiamava nei viaggi verso mete imprecise. Era lui quello che muoveva le gambe nel cammino faticoso, era lui la bussola che orientava le sue scelte. Giuste o sbagliate che fossero. Era sempre lui. Così gli fece cenno di avvicinarsi. Ed iniziò a sentire i suoi passi. Tremò all’idea di averlo presto davanti, ma lui si mostrò sotto forma di tramonto. La chiamò a gran voce, implorandola di consentire alla sua ombra di prendere forma nei suoi occhi spenti. Con i pugni serrati e priva di speranza, lei, accennò un vile passo nella direzione opposta. Ma una folata di vento le impose di cambiare rotta. La paura le guidava lo sguardo. Gli occhi bassi quasi a non voler prendere coscienza di quello che stava succedendo, mentre lui iniziava a carezzarla dolcemente. Fu allora che il suo essere si mostrò prima all’anima e poi al corpo. Ed allora finalmente capì. Era lui la consolazione del suo tormento, l’appagamento della ricerca, la serenità dopo le intemperie del fato, la cognizione di una vita non più vissuta in difesa, senza amore, senza amicizia, senza solidarietà, senza supporto, senza possibilità di scegliere, senza trasporto, senza passione, senza desiderio e senza slancio. Lei accennò un sorriso. Lo strinse forte a se ed il destino prese un’altra direzione. Ma in quel momento le sue gambe iniziarono a tremare. Non avrebbero retto la via del ritorno. Allora lui la prese in braccio, come se fosse stata la sua bambina, con la dolcezza di un gentiluomo che coglie un bocciolo nel roseto. E lei, ancorata al porto sicuro, rapita dalle essenze profumate del suo animo, gemma rara e senza eguali, iniziò a guardare chi era diventata. O cos’era tornata ad essere. Una donna,  ancora viva, dopo un grave incidente, stretta nelle braccia del suo angelo custode. Angelo che l’allontanava da quelle nubi asfissianti per riportarla sulla terra. Per farla sorridere, per farla innamorare e per essere a sua volta amata, forse per la prima volta…ora che finalmente era uscita dal coma.

Il canto delle Muse. I libri del mio tempo

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