La prediletta



La mente costruisce spiegazioni che non dovrei contestare. Taci, le dico. Per un attimo cancella la scienza, la ragione, la medicina. Lasciami il pensiero, il sogno, il risveglio in una vita diversa. Se riuscissi a prendere quell’immagine, se le mie gambe riuscissero a dare quella spinta che mi serve, mi slegherei da questo corpo. Nell’indifferenza del mondo non mi sento abbandonata. Rinchiusa o buttata in una prigione, l’anima mia richiede liberazione, voli senza confini. Mi basterebbe prendere l’idea per farne carne, per diventare una donna nuova, evanescente, quasi senza pelle, eppur pregnante di vita e di passioni. Non devo affannarmi a cercarla. Mi basta rimanere in silenzio. Posso captare la sua vita posando la mano sul petto. Questo battito, che incessante mi tiene legata alla terra, mi dice che quella ragazza esiste. Lei vive in simbiosi con la mia anima, diventa, ogni giorno, mistura balsamica di nuove energie. È la mia compagna silenziosa. Mi parla del presente, non ha paura del futuro. Si riversa nell’inchiostro fluido, cullandomi nei momenti di pura fantasia. Quella ragazza esiste: è Vania, sono io la compagna di me stessa. Io e lei, il buio e la luce, coabitiamo nello stesso corpo, nello stesso tempio labirintico dove non esiste alcuna via d’uscita. Diverse in tutto. Dormiamo, mangiamo, parliamo, ridiamo, piangiamo, litighiamo. Facciamo ogni cosa contrastandoci nelle passioni della vita. Così, se lei ride, io piango. Se io piango, lei ride. Ci facciamo la guerra e ci perdoniamo, in questa incessante lotta per rimanere vive ed ancorate all’illusione. Antidoto per non pensare quanta sofferenza ci resti da vivere. Signore, quando ho compreso il significato della tua devozione ho chinato il capo, dimenticando la rabbia, cancellando la paura. Mi sono lasciata invadere da questo immenso dono che mi avevi riservato. La fede considera questo mondo un passaggio. Non lo metto in dubbio. Eppure, quando arriva il tramonto, quando le luci si accendono, forzate, in questa stanza. Quando il sole cancella l’arcobaleno impresso sui muri, rimane la carrozzella e chi vi è seduta sopra. Quella sono io? Mi chiedo, posando gli occhi solo un secondo sullo specchio. La risposta non tarda ad arrivare. Come ritraggo lo sguardo, lanciate da archi invisibili, non una ma mille frecce avvelenate si conficcano nelle membra. Tagliano le forze, la passione. Il cuore martoriato si gonfia, soffre e si rivolta contro la mente. La rabbia esplode senza limiti. È allora che appare la perdizione di avere le gambe rivestite di cemento. In quei momenti neanche la luna esce più a fare compagnia alle stelle, gli unici occhi che scrutano nel mio mondo sommerso e nel rifugio che la vita mi ha costruito. Tutto è pieno e vuoto allo stesso tempo. Nessuna aspirazione, bramosia, ricerca, niente di tutto questo. Si materializza l’inferno, la mia oscura prigione. In quei momenti vorrei riuscire a non respirare. Vorrei liberare la vita, farla evadere velocemente dalla prigione. Vita che morde pensieri e volontà, che sopprime illusioni, che abbatte la speranza come un albero senza radici. Non posso essere la donna che un uomo desidera, quella che si ama più di ogni altra cosa al mondo. Non posso essere l’amante, quella che si stringe con vigore in una notte di passione. Non posso essere la fidanzata, quella che si bacia sotto il portone di casa, quella che sale le scale col cuore in gola. Non posso e non lo sarò mai, anche se non sono io ad aver scelto di nascere e di vivere in questo corpo immobile. Ma se voi guardaste oltre le limitazione di questo corpo, se guardaste con lo sguardo di chi trapassa le membra alla ricerca dell’ideale di donna da amare, dello spirito puro e assoluto, della piccola rosa di campo che fa capolino tra l’erba alta, sono certa che mi vedreste veramente. Vedreste quali sciarade multicolori sprigiona la mia fantasia, il piccolo diamante incastonato nella pietra più nera e che illumina la caverna come una torcia che mai si spegne. Allora qualsiasi altro sentimento chinerebbe il capo di fronte al bene immenso che si libera dall’anima mia. Vedreste me: Vania, la ragazza, la prediletta. Che sciocchi, avete perso troppo tempo. La vita è una lancetta di spugna. Quando finisce, cancella il male. La morte mi ha ridato le gambe. Ora danzo tra quelle nuvole calde, affondando i piedi nell’infinito. Lasciatemi vivere per sempre in questo paradiso

In ricordo di Vania Palmieri

Il canto delle Muse. I libri del mio tempo

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