Magenta. Laura Serluca
Orbene, già questo stralcio basterebbe a chiarire la portata della poetica che Laura ha inserito in questo libro che, a mio modesto avviso, scandaglia nelle profondità dell'animo umano, con la passione e la tenacia di un "essere", che è donna e bambina al tempo stesso, che riesce a fare metempsicosi completa delle sue emozioni con il resto del mondo, con le sue storture e le sue bellezze che questo quotidianamente ci impone, come peso sul cuore e sul nostro senso di vivere, o ci regala come afflato di necessaria sopravvivenza.
Ma se vogliamo, insieme a voi, proseguire nell'analisi, seguendo lo schema del testo, quindi passando per un'altra valutazione dell'opera fatta da Vanna Carlucci, si dovrà aggiungere: "...leggere questa raccolta di versi di Laura Serluca significa compiere un attraversamento. Certo, la Poesia rappresenta una dimensione di soglia, quel varco oltre il quale la realtà ci appare nella sua nuda verità, spogliata di tutto. Così Laura Serluca sembra rievocare tutta questa cosmogonia dell’attraversamento («di soglia in soglia», direbbe Celan) attraverso lo sforzo della ripetizione: - Perle / Da luogo a luogo /Perle / Da luogo a luogo – / - Perle.
Ed ancora, la stessa poetessa, nell'introduzione così si esprime: "La Poesia è testimone dell’incontro con la meraviglia del “sentire”. È un’armatura scucita riflessa in uno specchio. La si sente respirare piano, sorvegliandosi. È un altrove sospeso che fluisce impetuoso. Lo si sente screpolarsi flessuoso in una fortunata rinascita".
Allora mi sono chiesta, dopo tutte queste "valutazioni" a cosa sarebbe servita la mia? Cosa avrebbe potuto aggiungere a quello che, già così bene e così autenticamente, era stato detto di quest'opera? Non lo so, probabilmente la mia analisi andrà ad arricchire il bagaglio emozionale della poetessa perché si sa che ogni elemento nuovo, e aggiungo decisamente in positivo, che accompagna l'opera è qualcosa fortifica la necessità di continuare a scrivere, di non fermarsi per un eventuale inciampo di questa o quella critica poetica. Spesso mi rendo conto che chi fa poesia non ha bisogno soltanto di sentirsi letta ma anche e soprattutto capita nel suo modus operandi e quasi scoperta, ovviamente in minima parte e per quello che è possibile, nell'anima pulsante che si riversa, a cascata, nelle parole da dire, in quelle da non dire e che, per questo, creano la variopinta architettura della poesia stessa.
La consapevolezza di questo, di un evidente assioma di morfologico cambiamento, aspirante al dialogo serrato tra conscio e l'inconscio è insito, a mio avviso, sin dalla prima poesia "Il tuo volto sotterrato da segni/Diretti alla lampada del Cristo/Da giorni è ricoperto/ Di occhi ovunque/ Di occhi ovunque./Dal principio/ Incastrato e congiunto/Da una serpe/ In cornici grossolane e fiorite" (...) "Torno a sbucciarmi le ginocchia salate/E mi ricordo viola ovunque/ Con la Luna tra le gambe/ E animali apparecchiati nel petto./ Nelle loro bocche/ Galleggiano colleriche foreste."
La lirica che si dipana nel libro è emotiva, introspettiva e si allaccia alla percezione di un'entità che superiore avvolge le fasi vitali dell'esistenza: "Traffico negli occhi/ Furbi e caldi/ Dell’angelo allacciato a me/ Da spesse corde/ Costruite sullo slancio/ Di una radiosa promessa/ Dalla gloria compagna/ E dal fervore dei fiori tutt’intorno."
E il cosmo. nella sua immensa evoluzione e peccaminosa involuzione, insieme all'ego, al perspicace intimo abitante di ogni essere umano, a quell'inquilino a volte preponderante e potente, altre volte soggiogato dai casi della vita, si strappano e si sfilano reciprocamente per poi ricucirsi nell'agonia e nel singulto della "...potenza del sangue frenetico/ Trattenuto nell’ultima visione/ Tra iride e pietra/ Per proseguire/ Taciturno/ Sopra tutte le foglie./ Lo ritrovo poi sulle mani/ E sotto gli occhi/ Nel mio ventre sporcato/ E fasciato. "
La scia delle "visioni oniriche" che accompagnano le singole poesie sono collegate all'iper-surrealismo emozionale e sintattico della parola che scrive e dipinge mondi trascendenti, scale senza direzione o voragini che assorbono o cieli che appagano nella ludica e, a volte, empirica concezione dell'esistenza.
Un punto di commistione e fusione di esperienze catartiche e di paralleli ambienti emotivi che si muovono a creare nella poetessa la grande dinamicità della parola e la sua tendenza a smuovere fanghi d'immobili presenti.
Quindi cosa rappresenta il Magenta del titolo? Probabilmente essendo un colore in grado di stimolare desideri ed emozioni intense a questo l'autrice si rapporta nella colleganza l'originale e nella derivazione di quel rosso che richiama immagini legati al sangue e all'istinto di sopravvivenza nonché ad aspetti connessi alla sfera sessuale. Ma anche il verde, da cui trae complementarità, ci dice di una simbiosi essenziale con la natura, con quella dea Madre Gea che, appunto "genera" ogni cosa, sempre gravida di vita e sempre sottoposta alle cattiverie dell'umanità, che "germoglia" senza sosta pur se continuamente violentata dall'inquinamento derivante dalle umani attività, non solo materiali ma per lo più immateriali come l'odio, il rancore, la cattiva sensibilità o la completa assenza di questa.
La poetica di Serluca appare come la "metamorfosi" della crisalide, perfetta simbologia del cambiamento positivo della naturale evoluzione alla luce anche di quelle vite che partono dal buio, stretto e asfissiante, originale. Un parto o una rinascita che evidenzia la nutrita anima vagante dell'autrice in viaggio costante come un'Odissea tutta al femminile sulle vie, di mare e terra, del mondo moderno, per alcuni versi ancorata al passato e poco (o in minima parte) rivolta al futuro.
Si muove, senza restare nel suo mondo di tela, non solo "Penelope" ma anche il ricercato "Ulisse", nella battaglia più intima dell'autrice, comunque proiettata alla dimensione del bello, della crescita, della nuova fioritura, nonostante le agonie dei momenti, le rivoluzioni sofferenti dell'attimo o del tempo che si scaglia, rapace, contro i giorni a venire. "In ginocchio ti affronto fino a/ Fiorirmi/ Sentirmi imprecisa per l’intera metà/ Sono spettacolo e candela/ Nell’ombra ricucita/ Della stanza in preghiera/ Per costringere le vene/ Alla natura/ E tornare all’albero bianco."
In questo pugnare, quasi senza sosta e senza una ragione apparente, la nostra poetica guerriera aspira al "re Birth" con le peculiarità di un Dio o una Divinità: "Io rinasco invulnerabile/ E avventurosa/ Nell’alfabeto svettante placo/ Gli allarmi della voce mendace/ Sorveglio i suoi corridoi disadorni/ E le sue scale di vetro e pioggia/ Calpestate/ Dallo schema e dall’ uovo."
E' proprio qui il simbolismo del "Magenta", non so quanto voluto o quanto automaticamente sentito come afflato di evoluzione, di rinnovamento, che viene maggiormente in evidenza, che si ramifica anche nelle possibili sopravvivenze dopo un'apparente sconfitta che tale non è se la vita è ancora legata al respiro quotidiano: "Sono sopravvissuta/ Su uno spicchio/ Di Luna - madre/ Ho abitato/ Il cesto e tutto l’ incendio/ Ho ascoltato/ L’Angelo e la Primavera/ E spoglia e splendore/ Sono stata condotta/ Nel bacio – tutto vivo/ Come corpo nuovo."
Nel bagaglio lirico dell'autrice "madre, luna, angelo, primavera" sembrano le quattro fasi delle stagioni più intime, alla cui esistenza appartengono, seppur marginalmente legate al ciclo di quelle terrene, che aspirano ad essere nido, sogno, fede, rinascita (nell'esatto e predetto ordine). Nell'entropia dell'humanitas la ricerca è a rimescolare le carte del disordine dei tempi per sistemare le aspirazioni, le speranze, i desideri di quiete, di pace, come in un lasciarsi andare nella corrente limpida di un "per sempre".
Per questo la poetica di Serluca è, a mio avviso, anche "magia" svincolata dal tempo e dallo spazio. Un incantesimo naturale che accompagna il seme nella crepa della morte e lo fa risalire, dopo la distruzione naturale, a nuova vita, albero e frutto insieme. Un sortilegio che spinge la fine a diventare principio, miracolosamente, muovendosi dalla terra al mare in un viaggio bidimensionale e senza necessità di ancore di salvezza perché la salvezza è il principio stesso di quel "fruttuoso" peregrinare: "La crepa/ Scompare nello scomparire/ E nel ri-nascere ora/ Io sono miracolo – miniera./ Ho un cuore turchese – innamorato/ E sono tutta sparsa/ Fuori da questo frutto/ Che ritorna a mescolarsi/ Con la testa – conchiglia/ Dell’eroe – corteccia/ Che ha visto il mare/ Nella mia testa".
Ci sarebbero tanti altri mondi da analizzare, altre lune da visitare. altre entità da eviscerare così come infinite sono le porte che la poesia di Serluca apre in ogni singola creazione. Il lavoro di comprensione di un testo, di questo testo, dei suoi motti esistenziali, delle sue battaglie sentimentali, delle vite e delle inesistenze o parti mancati, ci parlano di una donna che comprende il dolore, lo fa proprio, lo rinnova e lo porta alla semina della speranza per farne frumento nuovo e utile a nutrire l'essere umano.
Sicuramente la maggiore consapevolezza di questi mondi paralleli, nelle visioni astrali di chi scrive, delineano una sensibilità sovrumana, capace di stanare le paure più recondite, ripulirle, farle diventare cosa buona da utilizzare per imparare da queste a non cadere nei tranelli del quotidiano andare. La capacità di bonificare il male è un miracolo dei sensi, qualcosa che non facilmente si realizza ma quando viene portata a dimora nell'animo umano ha risultati spettacolari. La difficoltà sta nello scandagliare a fondo gli antri più nascosti ed oscuri, prendere quell'ombra che è in ognuno di noi e portarla in superficie, metterla sotto la luce del sole e delle nostre emozioni, l'iride attenta potrà rimanere sconvolta ma sicuramente riuscirà nell'impresa di fortificarci. Di costruire quelle difese utili a trattenere gli assalti del tormento. E la fede nelle potenzialità dell'essere umano, visto come: "...bambino inesploso/ Una locomotiva nutriente e prodigiosa/" ci restituisce la visione della centralità essenziale dell'uomo nella capacità di autorigenerarsi, di vincere le ingiurie delle patologie, di scardinare il concetto di medicina innaturale, agganciandosi alla capacità di autorigenerazione e di riemersione dal dolore.
Ci sono momenti in cui cadiamo in un abisso profondo, ci troviamo in un vicolo cieco e non sappiamo cosa fare. Sebbene in quel momento arriviamo a pensare che tutto sia perduto, alla fine abbiamo l’opportunità di abbracciare il nostro dolore e avviarci verso una rinascita emotiva. Non è un percorso semplice né veloce. Avremo bisogno di un piccolo esercizio di fede e sforzo: i risultati arriveranno dopo che avremo preso decisioni importanti e iniziato a impegnarci. Del resto "Come potresti rinascere senza essere prima ridotto in cenere?" lo diceva Nietzsche. Ebbene Magenta, come la fenice, prende il volo dopo un evento che le ha causato grande dolore e sofferenza guardando in faccia la propria angoscia e, con coraggio, decide di seguire altre direzioni. La prima di questa è "partorire" una poetica capace di comprende l'incomprensibile, che si lega al Dio superiore ma che non disdegna di indagare sulle potenzialità interiori di ogni singola entità terrena, materiale, ossia fatta di sangue, carne ed ossa. Questo perché in ognuno di noi esiste una "divinità" in grado di mutare il corso degli eventi e di combattere col destino sempre in attesa di farci cadere in fallo. Nulla è banale o scontato. Nulla è davvero compreso sino in fondo. Permane un mistero che aleggia sulla sintassi, sulle parole, sui punti mancanti, sulle ripetizioni volute, sugli spazi e sulle paure, sulle mirabolanti creazioni dell'incoscienza e sulle realistiche immagini della coscienza. Un andirivieni di pause, slanci, corse, passi, senza fine e senza un percorso netto a cui aspirare.
Leggere Magenta è come bere una pozione salvifica che, per alcuni istanti, ci annebbia la mente per poi catapultarci nella ricomposizione di tutti i pezzi del puzzle permettendoci di avere una visione nitida del tempo e del suo mutamento. E' energia che si origina da noi stessi, da quella fonte vitale che tira ed aspira dal terreno linfa utile alla crescita. Il centro del mondo è l'Io pensante, mutante, mai statico, complementare e dinamico, libero e primordiale, unico e raro, solitario e solstizio di plenilunio insieme.
Concludo con la "visione prodigiosa" della poesia che sottoscrivo quasi come fosse un manifesto a cui aderire, principi sacri di cui non si può fare a meno per non essere considerato, ciò che si scrive, scontatamente "pensiero poetico" che, per sua natura, non è "poesia".
È un residuo.
È rinascere indietro.
È voce su altre voci.
È sangue recitato.
È ritmo che si sporge in avanti.
È tutto il corpo.
È bellezza sacrificata.
È segno di altri segni.
È il doppio sparso.
È silenzio che s’ingrossa.
È cucitura.
È radice che dice che si deve.
È pensiero che s’irrigidisce.
È Primavera che pulsa nella bocca.
È un Amore con le api intorno.
È prodigi
Dimenticavo un'ulteriore nota di merito a questo libro: l'accortezza e l'attenzione rivolta al lettore a cui l'autrice regala un pezzetto di quelle pagine per creare una sorta di commistione necessaria e ricercata per riscoprire, comprendere, espandere e veicolare qualcosa di magico: "A te che hai letto questo libro, lascio fogli bianchi per poter postillare i versi che ti hanno colpito, i tuoi stati d’animo, le emozioni o sensazioni che queste poesie hanno suscitato in te. Ti auguro di avvertirne la magia e di usare questo soffio di parole come tempio e respiro..."