lunedì 12 maggio 2025

La Scuola Nuova di Aldo Marandino - Una lettera di Gerardo Vespucci


Cara Marinella, caro Marco, cari familiari ed amici di Aldo Marandino,

vi chiedo scusa per l’assenza, ma la vita è ormai fatta così: ci sfugge di mano e non siamo più padroni del tempo, come, forse, una volta.

Credetemi, avrei voluto leggere io queste mie (poche) righe, perché oltre la forma ed il contenuto anche la prosodia conta: credo che tutti ricordiamo Ungaretti leggere l’Odissea in TV.

Bene: cercate di sentire la mia voce e andiamo a cominciare.

L’argomento su cui dobbiamo riflettere è apparentemente semplice, tuttavia a ben pensarci si rende subito evidente la complessità del tema: non si tratta di mettere in relazione la nuova Scuola così come si è definita negli anni ed il ruolo avuto da Aldo Marandino, in qualità di Preside; bensì di come Aldo avesse disegnato e realizzato una Scuola veramente nuova, proprio mentre a livello nazionale ci si interrogava sullo stesso obiettivo.

A parlarne saremo in più persone e, pertanto, differenti saranno gli aspetti che andremo a sottolineare: per questa ragione è importante, in via preliminare, definire il contesto della spiegazione, che non può prescindere dalle persone coinvolte, cioè noi, me ed Aldo.

E così velocemente voglio tratteggiare il rapporto tra me e lui, ricordando, a chi non lo sapesse, che dal 1996 al 2004 – per ben nove anni - sono stato il suo Fiduciario nel Liceo di Caposele, e che dal 2005-2007 – per tre anni – sono stato il suo Vicepreside a Sant’Angelo, con esonero dall’insegnamento e con il compito prevalente di rapportarmi ai docenti ed agli alunni.    

Fino al 1992, Aldo Marandino era per me sicuramente un nome importante ma essenzialmente estraneo alla mia esperienza personale: per me egli era stato un amico di mio fratello – entrambi dell’Azione cattolica del periodo Conciliare, con Don Antonio Tenore a fare da guida - e, ancora giovane, soprattutto un intellettuale di valore, che faceva parlare di sé negli ambienti scolastici e studenteschi per la sua profonda preparazione in greco e latino, ma anche, o soprattutto, per la sua autorità.

E che aveva già dato prova di essere non solo un brillante insegnante, ma anche di saper guardare al destino delle nostre terre con le armi della critica e della politica: il libro collettivo Nella terra di Francesco De Sanctis 100 anni dopo, ricerca di psicologia sociale e politica, pubblicato nel 1976 con il Gruppo Il Dialogo di Sant’Angelo, guidato dalla sociologa Angiola Masucco Costa, lo aveva visto tra i protagonisti.

Inoltre, a Sant’Andrea, mio fratello Antonio sindaco, si discuteva del destino del giardino dell’Episcopio, da poco acquisito al patrimonio comunale: Aldo con altri suoi amici della rivista Civiltà Altirpina diedero vari contributi di idee per realizzare un museo della civiltà contadina, anche se poi non se ne fece nulla, poiché si optò per il teatro all’aperto: ecco, questo è quello che mi era noto di lui, ma senza conoscerlo direttamente.   

La nostra vera condivisione di idee ed azioni iniziò, finalmente, nel lontano 1992 grazie al liceo scientifico di Guardia dei Lombardi, sezione staccata del liceo di Sant’Angelo, che lui dirigeva e dove io insegnavo Scienze, ed è durata oltre il 2007, allorquando lasciai l'Istituto Superiore De Sanctis di Sant'Angelo dei Lombardi per andare a dirigere l'Istituto Superiore Maffucci di Calitri.

Le vicende vissute e portate avanti in questi oltre 15 anni sono state davvero tante, troppo difficile da riassumere, ma è oltremodo facile individuare quel filo rosso attorno a cui tutto può essere ricondotto.

E allora comincio a riassumere dal 1993, allorquando egli seppe ispirare il Distretto scolastico Alta Irpinia – allora diretto dal prof Rocco Ruocco - a costruire il progetto Scuola Ambiente in chiave Europea nella logica che poi portò al progetto DEURE – Dimensione EURopea dell’Educazione – ed ai partneriati Socrates Comenius con altre nazioni europee.

Questo progetto ci portò in Spagna nella Valle del Tietar e in Irlanda nel Wexford Meridionale – per poi accogliere tutti gli ospiti qui da noi - per approfondire le tematiche comuni alle zone rurali e a rischio declino (trentadue anni fa!).

Già in quei giorni vissuti assieme ed in contesti così diversi dal nostro, nacque tra noi una intesa che partendo dal ruolo della Scuola si allargava fino ad includere quella riforma morale e civile di cui parlava Gramsci, del quale si sentiva in parte erede, e per la quale anch’io mi impegnavo in classe.

Scuola militante era uno dei tanti suoi modi per esprimere l’esigenza di partire dallo studio rigoroso e intenso; per capire questo mondo grande e terribile (Gramsci) e per raggiungere la realtà circostante e possibilmente cambiarla in meglio, come auspicava il filosofo barbuto di Treviri.

Per un anno scolastico, il 1994/95, ci perdemmo - in parte - di vista, poiché il Liceo scientifico di Caposele, sede associata del liceo scientifico di Calitri, aveva avuto autorizzata la maxi-sperimentazione Brocca, così che per costituire la mia cattedra erano sufficienti le ore di Caposele: ma nel 1995-96 il liceo scientifico di Calitri smise di esistere e noi di Caposele, acquisita la sua disponibilità ad accoglierci, decidemmo di aggregare Caposele da Calitri al Liceo De Sanctis di Sant'Angelo dei Lombardi.

Già in quell’atto si espresse la sua visione territoriale della Scuola in Alta Irpinia e subito si adoperò per renderlo significativo: capì che bisognava ampliare l’offerta formativa affinché ogni ragazzo e ragazza avesse potuto esprimere al meglio il proprio dàimon.

E fu così che tra le prime decisioni del nuovo Collegio docenti ci furono quelle di attivare il liceo Brocca socio psico pedagogico a Caposele e quello scientifico tecnologico a Sant'Angelo già a partire dal nuovo anno 1996-97.

Da quello che era stato un nobile Liceo Ginnasio, il Preside Aldo Marandino stava delineando una Istituzione scolastica forte di ben cinque licei con un corpo docente molto ben assortito e disponibile a confrontarsi con i nuovi bisogni dei giovani studenti, allora ancora vivaci.   

Così quando nel 1997 l’allora ministro Bassanini promosse la legge n.59, che all’art. 21 prevedeva L'autonomia delle istituzioni scolastiche e degli istituti educativi come parte del processo di realizzazione della autonomia e della riorganizzazione dell'intero sistema formativo, Marandino era già pronto a prendere concretamente nelle proprie mani la direzione autonoma della sua Istituzione scolastica, nonostante le tante responsabilità derivanti dall'attribuzione della personalità giuridica, forte della conoscenza delle esigenze della situazione locale e nel rispetto della varietà dei bisogni e delle potenzialità.

Marandino, considerato che l’Autonomia si concretizzava anche mediante la dotazione finanziaria fu subito consapevole che in tal modo si apriva una prospettiva ricca di confronto dialettico, sia all’interno che all’esterno della Scuola.

Egli sapeva bene che con nuove risorse finanziarie, attribuite senza eccessivi vincoli di destinazione, quello che avrebbe caratterizzato ogni singola scuola sarebbe stato misurato dalla capacità di utilizzarle proprio per lo svolgimento efficiente ed efficace delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento in itinere ed in uscita tipiche di ciascun indirizzo di Scuola.

La sfida, che accettò con entusiasmo, poteva essere vinta se ogni Scuola fosse stata in grado di costruirsi dal basso, facendo convivere alti contenuti didattici e pedagogici da un lato, con la flessibilità, l'efficienza e l'efficacia dell’insieme dei servizi scolastici dall’altro: la scuola come vera palestra di paidea, per rendere ogni allievo un futuro cittadino consapevole!

Egli sapeva, inoltre, che per realizzare una simile Scuola, ogni Istituzione avrebbe dovuto prevedere e organizzare il miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, e soprattutto avrebbe dovuto ampliare l'introduzione di tecnologie innovative e il coordinamento con il contesto territoriale.

E così fece sua l’Autonomia scolastica: in pratica, ci aiutò a spaziare liberamente, ci guidò nell’ immaginare nuove modalità di fare scuola, addirittura superando i vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell'unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti.

Non sono parole lasciate sul foglio, fu esattamente quello che Aldo riuscì a farci fare, mettendoci (consentitemi, a tal proposito, un richiamo a Domenico Cicenia, prematuramente scomparso!)  prima nelle condizioni di discutere le nuove disposizioni di legge, poi (1998) di costruire i saperi minimi (i contenuti essenziali per la formazione di base) e di elaborare nuovi schemi organizzativi, con classi aperte, compresenze e riorganizzazione dei tempi delle lezioni: solo per dirne una, a Caposele – anticipammo lezioni per classi parallele e quella che poi è diventata la CLIL, prevedendo la compresenza tra Scienze e Inglese. 

E così quando nel 1999 l’allora ministro Berlinguer fece approvare il DPR 275, il Regolamento dell’Autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, con l’obbligo di presentare il Piano dell’Offerta Formativa – POF - (oltre ai nuovi Esami di Stato con tutte le novità, a partire dal Documento del Consiglio di classe ai crediti, alla composizione delle Commissioni ed al Colloquio), il nostro Istituto fu tra i più pronti a discutere e a contribuire con propri documenti inviati al Ministero.

E così quando una inchiesta del Corriere della Sera incoronò il nostro tra i magnifici sette Istituti Scolastici Superiori d’Italia, non ci fu eccessiva sorpresa: la nostra Scuola, sotto la sua guida, era diventata davvero un faro per l’intera provincia e non solo!

Ormai l’attività didattica si dispiegava in tutte le direzioni e con l’avvio delle Funzioni Strumentali al piano dell’offerta formativa, il Collegio dei docenti – forte di circa cento insegnanti – fu organizzato in una rete di complessità in cui ogni elemento era in grado di interagire, con input e output in una chiara struttura organica: la struttura organizzativa da lui proposta e fatta deliberare costituì di sicuro uno degli aspetti in cui l’opera di Marandino si espresse al massimo grado!

Date queste premesse, fu facile realizzare e consegnare alla BDP di Firenze il primo POF d’Italia!

La Scuola così disegnata diventava un avamposto di civiltà, una interfaccia osmotica tra le attività didattiche e il territorio, come scrivemmo a più riprese nei POF: la Scuola nel Territorio, il Territorio nella Scuola.

Quando nel 2001 si aggregò anche l’ITC Bartolomei, l’Istituto De Sanctis divenne davvero una Istituzione unica nel suo genere, con oltre 1000 alunni e 51 classi!

Allorquando a partire dal 2000 si avviarono i Progetti Europei finanziati dal Piano Operativo Nazionale (PON) Scuola, con Fondi FSE e FESR, si diede luogo alla più grande progettazione che una Scuola meridionale avesse mai conosciuto: dai corsi sulle nuove tecnologie – base ed avanzati - per alunni, per docenti e ATA, agli stage aziendali; dai corsi per l’apprendimento in lingua inglese a quelli per prevenire la dispersione scolastica (il teatro che tanto ha caratterizzato specie l’indirizzo classico era finanziato dal FSE!); dai corsi per le donne a quelli per gli adulti.

Senza dimenticare le tante spese per investimenti e acquisti, dai laboratori alla rete ai videoproiettori che hanno reso la didattica sempre più accattivante e coinvolgente.

E poi ancora: l’organizzazione dell’IFTS sul turismo; gli OFIS e il corso sperimentale di alternanza scuola lavoro con stage alla Feudi di San Gregorio; il Convegno sul formaggio Carmasciano a Frigento e le decine di incontri nell’auditorium opportunamente dedicato a Falcone e Borsellino dopo avere accolto le loro sorelle (Rita e Maria). Ed Isabella Allende figlia del Presidente Salvator Allende, e Sergio Staino e tanti altri ospiti di eccezione per discutere su ogni ambito del sapere.    

Ed ancora: la grande decisione di consentire momenti di cogestione tra docenti ed allievi, con l’organizzazione seminariale pre-universitaria, che trasformavano i ragazzi da alunni ad insegnanti.

Non eravamo alla quadratura del cerchio, ma quasi: didattica rigorosa, ma coinvolgente, per affinare conoscenze e competenze; analisi del territorio e proiezione Europea!

Credo opportuno cedere a lui la parola perché i fatti che ho descritto autorizzavano a buon diritto queste riflessioni, scritte nel 2004, oggi più attuali che mai:

«Questo [Piano dell’Offerta Formativa] costituisce il momento di sintesi, direi “alta” (e lo dico consapevolmente con poca modestia, eppure con enorme soddisfazione), di un ampio e democratico concorso di docenti, studenti, personale A.T.A. e genitori. Non c’è iniziativa che non abbia coinvolto, seppur per aree, le varie componenti, e che non sia scaturita dal libero confronto di proposte, da una rilevazione attenta e diffusa di esigenze prettamente scolastiche e più generalmente territoriali. Mi sembra questo un segno fondamentale di quell’ordine democratico (la romana formula, adeguatamente attualizzata e contestualizzata, della concordia civium), che costituisce la più solida garanzia per l’esercizio dei doveri e dei diritti in un settore particolarmente sensibile e di sicuro insostituibile di ogni civiltà, in qualsiasi tempo e sotto qualsiasi cielo essa si sviluppi. L’ordine democratico nella Scuola rappresenta anche la risposta culturalmente più matura a certe sollecitazioni verso lo snaturamento aziendalistico o, peggio ancora, populistico. È un sentiero lungo quello intrapreso, irto di difficoltà, bisognoso di impegni e sacrifici, ma l’unico possibile e valido per inserire veramente la Scuola altirpina nella nuova storia dell’Europa, senza tradire le grandi ed eterne radici mediterranee. Senza tradire, anche e soprattutto, la grande civiltà politica italiana nata con la Resistenza».

E ancora:

«[…] L’Europa ci sembra, per altro, l’unica affidabile scialuppa di salvataggio per la nostra terra. I giovani lo hanno compreso da tempo. Che senso avrebbe una Scuola in controtendenza con la loro sensibilità e con le loro aspettative? Un’Europa la loro, e quindi la nostra, criticamente percepita e ovunque evocata, civilmente progressiva e ben saldamente ancorata ai suoi millenari valori etico-civili».

Si può pensare che io mi stia attenendo al latino nisi bonum, allora consuetudine verso i defunti, che stia indulgendo all’autoesaltazione, ma non è così, perché non era così.

Chi lo ha conosciuto davvero, sa bene che in Aldo aleggiasse una sorta di perenne insoddisfazione, perché in lui non era mai assopita quella capacità autocritica che sola è in grado di spingere ad andare sempre oltre.

Anzi, in lui prevaleva una tendenza ad ingrandirli i problemi, sebbene sapesse che ciascuna struttura complessa deve saper vivere ed affrontare inevitabilmente mille contraddizioni.

Ecco, ad esempio, quali problemi descrisse in una riunione della Giunta di Collegio   

  1. limiti e carenze nella comunicazione sia verso l’interno sia verso l’esterno;
  2. collegialità talora più dichiarata che praticata, più formale che sostanziale;
  3. disomogeneità nella pratica didattica e valutativa, spesso all’interno dello stesso Consiglio di classe;
  4. carenza di ricerca ed assenza di innovazione didattica, con un alto tasso di ripetitività nei contenuti e nelle metodiche di insegnamento;
  5. assenza di continuità fra biennio e triennio;
  6. progressiva demotivazione allo studio ed alle regole etico - civili degli studenti;
  7. modesto senso dell’appartenenza.

 

Si potrebbe continuare a lungo nel descrivere quale visione muovesse l’agire di guida di Aldo Marandino, sempre aperto e disponibile al nuovo, alla ricerca del nuovo: da studioso che era sapeva bene che senza tensione alla ricerca, la Storia diventa cronaca.

E credo – come tanti di noi - sia stato anche fortunato, poiché il nostro mestiere, di educatori per sempre e per sempre a contatto con le giovani generazioni, non può mai scadere nella routine e perdere di vivacità.

Ed è con questo suo richiamo ai giovani che vado a concludere, poiché era ai giovani dell’Alta Irpinia che ha dedicato la sua vita professionale e di studioso, appunto.

«Questi giovani – ebbe a scrivere - costretti a vivere in un contesto sotto ogni profilo precario, “agro” avrebbe detto il Bianciardi; costretti a non poter progettare un futuro credibile; costretti spesso a emigrare per gli studi universitari e per una speranza di lavoro; costretti a inseguire modelli effimeri per sognare; costretti talvolta a non poter manifestare liberamente i propri sentimenti e le proprie idee».

E continuava: «Per questa loro condizione la Scuola non può che essere il luogo della speranza, del sogno, della libertà».

Ecco, a me pare che la Scuola che Aldo Marandino sognava, per sé e per l’Alta Irpinia, sia questa, e che per molti versi egli sia riuscito – almeno per un lungo tempo – a rendere percepibile il motto di Vico, ossia quel verum et factum convertundur.

Gli storici di fronte a personalità di alto profilo discettano su quanto sia da attribuire al contesto e quanto all’autore: per Aldo si può senz’altro affermare che egli seppe amalgamare i tempi con la sua sapienza riuscendo a produrre un’opera eccezionale su cui si dovrà indagare, ancora e in profondità.

Certo, si sa, col tempo si tende a dimenticare tutto e non c’è bisogno di rifarsi al Leopardi di più di lor non si ragiona; anzi, spesso si assiste a chi viene in seguito e si illude di annullare quanto realizzato prima, anche solo per farsi grande, dimenticando che ognuno di noi è un nano che se è riuscito a vedere più lontano è soltanto perché è salito sulle spalle di giganti.

Dubito che anche qui a Sant’Angelo, quelli che sono saliti sulle sue spalle, quelli che ne hanno utilizzato l’eredità, abbiano compreso fino in fondo la grandezza di cui si sono appropriati.

Per quanto mi riguarda, nei miei tredici anni in cui ho fatto il DS, di fronte ad una scelta, nel dubbio, mi sono sempre chiesto: come avrebbe agito Aldo?

E trovavo sempre, cercando nella memoria, una risposta, di qualità.

Grazie, Aldo.