Cara Marinella, caro Marco, cari familiari ed amici di Aldo Marandino,
vi
chiedo scusa per l’assenza, ma la vita è ormai fatta così: ci
sfugge di mano e non siamo più padroni del tempo, come, forse, una volta.
Credetemi,
avrei voluto leggere io queste mie (poche) righe, perché oltre la forma ed il
contenuto anche la prosodia conta: credo che tutti ricordiamo Ungaretti leggere
l’Odissea in TV.
Bene:
cercate di sentire la mia voce e andiamo a cominciare.
L’argomento
su cui dobbiamo riflettere è apparentemente semplice, tuttavia a ben pensarci
si rende subito evidente la complessità del tema: non si tratta di mettere in
relazione la nuova Scuola così come si è definita negli anni ed il ruolo
avuto da Aldo Marandino, in qualità di Preside; bensì di come Aldo avesse
disegnato e realizzato una Scuola veramente nuova, proprio mentre a
livello nazionale ci si interrogava sullo stesso obiettivo.
A
parlarne saremo in più persone e, pertanto, differenti saranno gli aspetti che
andremo a sottolineare: per questa ragione è importante, in via preliminare,
definire il contesto della spiegazione, che non può prescindere dalle persone
coinvolte, cioè noi, me ed Aldo.
E
così velocemente voglio tratteggiare il rapporto tra me e lui, ricordando, a
chi non lo sapesse, che dal 1996 al 2004 – per ben nove anni - sono
stato il suo Fiduciario nel Liceo di Caposele, e che dal 2005-2007
– per tre anni – sono stato il suo Vicepreside a Sant’Angelo, con
esonero dall’insegnamento e con il compito prevalente di rapportarmi ai
docenti ed agli alunni.
Fino
al 1992, Aldo Marandino
era per me sicuramente un nome importante ma essenzialmente estraneo alla mia
esperienza personale: per me egli era stato un amico di mio fratello – entrambi
dell’Azione cattolica del periodo Conciliare, con Don Antonio Tenore a
fare da guida - e, ancora giovane, soprattutto un intellettuale di valore, che
faceva parlare di sé negli ambienti scolastici e studenteschi per la sua
profonda preparazione in greco e latino, ma anche, o soprattutto, per la sua autorità.
E
che aveva già dato prova di essere non solo un brillante insegnante, ma anche
di saper guardare al destino delle nostre terre con le armi della critica e
della politica: il libro collettivo Nella terra di Francesco De Sanctis
100 anni dopo, ricerca di psicologia sociale e politica, pubblicato nel
1976 con il Gruppo Il Dialogo di Sant’Angelo, guidato dalla sociologa
Angiola Masucco Costa, lo aveva visto tra i protagonisti.
Inoltre,
a Sant’Andrea, mio fratello Antonio sindaco, si discuteva
del destino del giardino dell’Episcopio, da poco acquisito al patrimonio
comunale: Aldo con altri suoi amici della rivista Civiltà Altirpina
diedero vari contributi di idee per realizzare un museo della civiltà
contadina, anche se poi non se ne fece nulla, poiché si optò per il teatro
all’aperto: ecco, questo è quello che mi era noto di lui, ma senza conoscerlo
direttamente.
La
nostra vera condivisione di idee ed azioni iniziò, finalmente, nel lontano 1992
grazie al liceo scientifico di Guardia dei Lombardi, sezione staccata
del liceo di Sant’Angelo, che lui dirigeva e dove io insegnavo Scienze, ed è
durata oltre il 2007, allorquando lasciai l'Istituto Superiore De Sanctis di
Sant'Angelo dei Lombardi per andare a dirigere l'Istituto Superiore Maffucci
di Calitri.
Le
vicende vissute e portate avanti in questi oltre 15 anni sono state
davvero tante, troppo difficile da riassumere, ma è oltremodo facile
individuare quel filo rosso attorno a cui tutto può essere ricondotto.
E
allora comincio a riassumere dal 1993, allorquando egli seppe ispirare il
Distretto scolastico Alta Irpinia – allora diretto dal prof Rocco
Ruocco - a costruire il progetto Scuola Ambiente in chiave Europea nella
logica che poi portò al progetto DEURE – Dimensione EURopea dell’Educazione
– ed ai partneriati Socrates Comenius con altre nazioni europee.
Questo
progetto ci portò in Spagna nella Valle del Tietar e in Irlanda nel
Wexford Meridionale – per poi accogliere tutti gli ospiti qui da noi - per
approfondire le tematiche comuni alle zone rurali e a rischio declino (trentadue
anni fa!).
Già
in quei giorni vissuti assieme ed in contesti così diversi dal nostro, nacque
tra noi una intesa che partendo dal ruolo della Scuola si allargava fino
ad includere quella riforma morale e civile di cui parlava Gramsci, del
quale si sentiva in parte erede, e per la quale anch’io mi impegnavo in classe.
Scuola militante era uno dei tanti suoi modi per esprimere l’esigenza di
partire dallo studio rigoroso e intenso; per capire questo mondo grande e
terribile (Gramsci) e per raggiungere la realtà circostante e possibilmente
cambiarla in meglio, come auspicava il filosofo barbuto di Treviri.
Per
un anno scolastico, il 1994/95, ci perdemmo - in parte - di vista,
poiché il Liceo scientifico di Caposele, sede associata del liceo scientifico
di Calitri, aveva avuto autorizzata la maxi-sperimentazione Brocca,
così che per costituire la mia cattedra erano sufficienti le ore di Caposele:
ma nel 1995-96 il liceo scientifico di Calitri smise di esistere e noi
di Caposele, acquisita la sua disponibilità ad accoglierci, decidemmo di aggregare
Caposele da Calitri al Liceo De Sanctis di Sant'Angelo dei Lombardi.
Già
in quell’atto si espresse la sua visione territoriale della Scuola in
Alta Irpinia e subito si adoperò per renderlo significativo: capì che bisognava
ampliare l’offerta formativa affinché ogni ragazzo e ragazza avesse potuto
esprimere al meglio il proprio dàimon.
E
fu così che tra le prime decisioni del nuovo Collegio docenti ci furono
quelle di attivare il liceo Brocca socio psico pedagogico a Caposele e
quello scientifico tecnologico a Sant'Angelo già a partire dal nuovo
anno 1996-97.
Da
quello che era stato un nobile Liceo Ginnasio, il Preside Aldo Marandino
stava delineando una Istituzione scolastica forte di ben cinque licei con un
corpo docente molto ben assortito e disponibile a confrontarsi con i nuovi
bisogni dei giovani studenti, allora ancora vivaci.
Così
quando nel 1997 l’allora ministro Bassanini promosse la legge n.59,
che all’art. 21 prevedeva L'autonomia delle istituzioni
scolastiche e degli istituti educativi come parte del processo di
realizzazione della autonomia e della riorganizzazione dell'intero sistema
formativo, Marandino era già pronto a prendere concretamente nelle
proprie mani la direzione autonoma della sua Istituzione scolastica, nonostante
le tante responsabilità derivanti dall'attribuzione della personalità giuridica,
forte della conoscenza delle esigenze della situazione locale e nel rispetto della
varietà dei bisogni e delle potenzialità.
Marandino,
considerato che l’Autonomia si concretizzava anche mediante la dotazione
finanziaria fu subito consapevole che in tal modo si apriva una prospettiva
ricca di confronto dialettico, sia all’interno che all’esterno della Scuola.
Egli
sapeva bene che con nuove risorse finanziarie, attribuite senza eccessivi vincoli
di destinazione, quello che avrebbe caratterizzato ogni singola scuola sarebbe
stato misurato dalla capacità di utilizzarle proprio per lo svolgimento efficiente
ed efficace delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento in
itinere ed in uscita tipiche di ciascun indirizzo di Scuola.
La
sfida, che accettò con entusiasmo, poteva essere vinta se ogni Scuola fosse
stata in grado di costruirsi dal basso, facendo convivere alti contenuti
didattici e pedagogici da un lato, con la flessibilità, l'efficienza e
l'efficacia dell’insieme dei servizi scolastici dall’altro: la scuola come vera
palestra di paidea, per rendere ogni allievo un futuro cittadino
consapevole!
Egli
sapeva, inoltre, che per realizzare una simile Scuola, ogni Istituzione avrebbe
dovuto prevedere e organizzare il miglior utilizzo delle risorse e delle
strutture, e soprattutto avrebbe dovuto ampliare l'introduzione di tecnologie
innovative e il coordinamento con il contesto territoriale.
E
così fece sua l’Autonomia scolastica: in pratica, ci aiutò a spaziare liberamente,
ci guidò nell’ immaginare nuove modalità di fare scuola, addirittura superando
i vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell'unitarietà del
gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti.
Non
sono parole lasciate sul foglio, fu esattamente quello che Aldo riuscì a farci fare,
mettendoci (consentitemi, a tal proposito, un richiamo a Domenico Cicenia,
prematuramente scomparso!) prima nelle
condizioni di discutere le nuove disposizioni di legge, poi (1998) di
costruire i saperi minimi (i contenuti essenziali per la formazione di
base) e di elaborare nuovi schemi organizzativi, con classi aperte, compresenze
e riorganizzazione dei tempi delle lezioni: solo per dirne una, a Caposele – anticipammo
lezioni per classi parallele e quella che poi è diventata la CLIL,
prevedendo la compresenza tra Scienze e Inglese.
E
così quando nel 1999 l’allora ministro Berlinguer fece approvare il DPR
275, il Regolamento dell’Autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, con
l’obbligo di presentare il Piano dell’Offerta Formativa – POF - (oltre ai
nuovi Esami di Stato con tutte le novità, a partire dal Documento del Consiglio
di classe ai crediti, alla composizione delle Commissioni ed al Colloquio), il
nostro Istituto fu tra i più pronti a discutere e a contribuire con propri
documenti inviati al Ministero.
E
così quando una inchiesta del Corriere della Sera incoronò il nostro tra
i magnifici sette Istituti Scolastici Superiori d’Italia, non ci fu
eccessiva sorpresa: la nostra Scuola, sotto la sua guida, era diventata davvero
un faro per l’intera provincia e non solo!
Ormai
l’attività didattica si dispiegava in tutte le direzioni e con l’avvio delle
Funzioni Strumentali al piano dell’offerta formativa, il Collegio dei docenti –
forte di circa cento insegnanti – fu organizzato in una rete di complessità in
cui ogni elemento era in grado di interagire, con input e output in una chiara
struttura organica: la struttura organizzativa da lui proposta e fatta
deliberare costituì di sicuro uno degli aspetti in cui l’opera di Marandino si
espresse al massimo grado!
Date
queste premesse, fu facile realizzare e consegnare alla BDP di Firenze il primo
POF d’Italia!
La
Scuola così disegnata diventava un avamposto di civiltà, una interfaccia
osmotica tra le attività didattiche e il territorio, come scrivemmo a più
riprese nei POF: la Scuola nel Territorio, il Territorio nella Scuola.
Quando nel 2001 si aggregò anche l’ITC Bartolomei,
l’Istituto De Sanctis divenne davvero una Istituzione unica nel suo genere, con
oltre 1000 alunni e 51 classi!
Allorquando
a partire dal 2000 si avviarono i Progetti Europei finanziati dal Piano
Operativo Nazionale (PON) Scuola, con Fondi FSE e FESR, si diede luogo alla
più grande progettazione che una Scuola meridionale avesse mai conosciuto: dai
corsi sulle nuove tecnologie – base ed avanzati - per alunni, per docenti e ATA,
agli stage aziendali; dai corsi per l’apprendimento in lingua inglese a quelli
per prevenire la dispersione scolastica (il teatro che tanto ha caratterizzato
specie l’indirizzo classico era finanziato dal FSE!); dai corsi per le donne a
quelli per gli adulti.
Senza
dimenticare le tante spese per investimenti e acquisti, dai laboratori alla
rete ai videoproiettori che hanno reso la didattica sempre più accattivante e
coinvolgente.
E
poi ancora: l’organizzazione dell’IFTS sul turismo; gli OFIS e il corso
sperimentale di alternanza scuola lavoro con stage alla Feudi di San Gregorio;
il Convegno sul formaggio Carmasciano a Frigento e le decine di incontri
nell’auditorium opportunamente dedicato a Falcone e Borsellino dopo
avere accolto le loro sorelle (Rita e Maria). Ed Isabella Allende
figlia del Presidente Salvator Allende, e Sergio Staino e tanti
altri ospiti di eccezione per discutere su ogni ambito del sapere.
Ed
ancora: la grande decisione di consentire momenti di cogestione tra docenti
ed allievi, con l’organizzazione seminariale pre-universitaria, che
trasformavano i ragazzi da alunni ad insegnanti.
Non
eravamo alla quadratura del cerchio, ma quasi: didattica rigorosa, ma
coinvolgente, per affinare conoscenze e competenze; analisi del territorio e
proiezione Europea!
Credo
opportuno cedere a lui la parola perché i fatti che ho descritto autorizzavano
a buon diritto queste riflessioni, scritte nel 2004, oggi più attuali
che mai:
«Questo [Piano dell’Offerta Formativa] costituisce
il momento di sintesi, direi “alta” (e lo dico consapevolmente con poca
modestia, eppure con enorme soddisfazione), di un ampio e democratico concorso
di docenti, studenti, personale A.T.A. e genitori. Non c’è iniziativa che non
abbia coinvolto, seppur per aree, le varie componenti, e che non sia scaturita
dal libero confronto di proposte, da una rilevazione attenta e diffusa di
esigenze prettamente scolastiche e più generalmente territoriali. Mi sembra
questo un segno fondamentale di quell’ordine democratico (la romana formula,
adeguatamente attualizzata e contestualizzata, della concordia civium), che
costituisce la più solida garanzia per l’esercizio dei doveri e dei diritti in
un settore particolarmente sensibile e di sicuro insostituibile di ogni
civiltà, in qualsiasi tempo e sotto qualsiasi cielo essa si sviluppi. L’ordine
democratico nella Scuola rappresenta anche la risposta culturalmente più matura
a certe sollecitazioni verso lo snaturamento aziendalistico o, peggio ancora,
populistico. È un sentiero lungo quello intrapreso, irto di difficoltà,
bisognoso di impegni e sacrifici, ma l’unico possibile e valido per inserire
veramente la Scuola altirpina nella nuova storia dell’Europa, senza tradire le
grandi ed eterne radici mediterranee. Senza tradire, anche e soprattutto, la
grande civiltà politica italiana nata con la Resistenza».
E
ancora:
«[…]
L’Europa ci sembra, per altro, l’unica affidabile scialuppa di salvataggio per
la nostra terra. I giovani lo hanno compreso da tempo. Che senso avrebbe
una Scuola in controtendenza con la loro sensibilità e con le loro
aspettative? Un’Europa la loro, e quindi la nostra, criticamente percepita
e ovunque evocata, civilmente progressiva e ben saldamente ancorata ai suoi
millenari valori etico-civili».
Si
può pensare che io mi stia attenendo al latino nisi bonum, allora
consuetudine verso i defunti, che stia indulgendo all’autoesaltazione, ma
non è così, perché non era così.
Chi
lo ha conosciuto davvero, sa bene che in Aldo aleggiasse una sorta di perenne
insoddisfazione, perché in lui non era mai assopita quella capacità autocritica
che sola è in grado di spingere ad andare sempre oltre.
Anzi,
in lui prevaleva una tendenza ad ingrandirli i problemi, sebbene sapesse che ciascuna
struttura complessa deve saper vivere ed affrontare inevitabilmente mille
contraddizioni.
Ecco,
ad esempio, quali problemi descrisse in una riunione della Giunta di Collegio
- limiti e carenze nella comunicazione
sia verso l’interno sia verso l’esterno;
- collegialità talora più dichiarata
che praticata, più formale che sostanziale;
- disomogeneità nella pratica
didattica e valutativa, spesso all’interno dello stesso Consiglio di
classe;
- carenza di ricerca ed assenza di
innovazione didattica, con un alto tasso di ripetitività nei contenuti e
nelle metodiche di insegnamento;
- assenza di continuità fra biennio e
triennio;
- progressiva demotivazione allo
studio ed alle regole etico - civili degli studenti;
- modesto senso dell’appartenenza.
Si
potrebbe continuare a lungo nel descrivere quale visione muovesse l’agire di
guida di Aldo Marandino, sempre aperto e disponibile al nuovo, alla ricerca del
nuovo: da studioso che era sapeva bene che senza tensione alla ricerca, la
Storia diventa cronaca.
E
credo – come tanti di noi - sia stato anche fortunato, poiché il nostro
mestiere, di educatori per sempre e per sempre a contatto con le giovani
generazioni, non può mai scadere nella routine e perdere di vivacità.
Ed
è con questo suo richiamo ai giovani che vado a concludere, poiché era ai
giovani dell’Alta Irpinia che ha dedicato la sua vita professionale e di
studioso, appunto.
«Questi
giovani – ebbe a scrivere - costretti a vivere in un contesto sotto ogni
profilo precario, “agro” avrebbe detto il Bianciardi; costretti a non poter
progettare un futuro credibile; costretti spesso a emigrare per gli studi
universitari e per una speranza di lavoro; costretti a inseguire modelli
effimeri per sognare; costretti talvolta a non poter manifestare liberamente i
propri sentimenti e le proprie idee».
E
continuava: «Per questa loro condizione la Scuola non può che essere il
luogo della speranza, del sogno, della libertà».
Ecco,
a me pare che la Scuola che Aldo Marandino sognava, per sé e per l’Alta Irpinia,
sia questa, e che per molti versi egli sia riuscito – almeno per un lungo tempo
– a rendere percepibile il motto di Vico, ossia quel verum et factum
convertundur.
Gli
storici di fronte a personalità di alto profilo discettano su quanto sia da
attribuire al contesto e quanto all’autore: per Aldo si può senz’altro
affermare che egli seppe amalgamare i tempi con la sua sapienza riuscendo a
produrre un’opera eccezionale su cui si dovrà indagare, ancora e in profondità.
Certo,
si sa, col tempo si tende a dimenticare tutto e non c’è bisogno di rifarsi al
Leopardi di più di lor non si ragiona; anzi, spesso si assiste a chi
viene in seguito e si illude di annullare quanto realizzato prima, anche solo per
farsi grande, dimenticando che ognuno di noi è un nano che se è riuscito a vedere
più lontano è soltanto perché è salito sulle spalle di giganti.
Dubito
che anche qui a Sant’Angelo, quelli che sono saliti sulle sue spalle, quelli
che ne hanno utilizzato l’eredità, abbiano compreso fino in fondo la grandezza
di cui si sono appropriati.
Per
quanto mi riguarda, nei miei tredici anni in cui ho fatto il DS, di fronte ad
una scelta, nel dubbio, mi sono sempre chiesto: come avrebbe agito Aldo?
E
trovavo sempre, cercando nella memoria, una risposta, di qualità.
Grazie,
Aldo.