Dal mio punto di osservazione, osservo. È il privilegio di non avere una vita. Liberarsi dall’ingombro dell’io, trasformarsi in puro punto di vista. Gli aerei che volano. Le macchine. Negozi aperti per nessuno. Le parole degli uccelli che cadono giù dai rami. Il rimbombo della musica di un baraccone. Camion che scaricano merci -per chi? Ascolto uno scampanìo di bottiglie e non vedo i bevitori. Passano giovani come fantasmi scampati a un’inondazione. Sembra che l’umidità dell’aria li abbia sommersi. È finito l’impero romano. È caduto, i messi non sono ancora arrivati, ma ne parlano gli uccelli, gli ideogrammi funebri degli uccelli che cadono giù dai rami. La rivoluzione francese deve ancora arrivare, la croce sulle chiese è la croce di Ildebrando di Soana, San Francesco e Rousseau devono ancora venire a trasformare gli schiavi in uomini liberi. Il borgo vivrebbe anche senza di noi. Le foglie si accartoccerebbero e diventerebbero rosse, i bambù del ristorante di pesce -aperto per chi?- diventerebbero decrepiti e poi diventerebbero morti. I ristoranti cafoni, l’insegna che lampeggia APERTO, i biliardini, resterebbero tutti come fossili dopo un’inondazione. Gli uccelli manderebbero i loro segni a un vento libero di parole. Passerà la vita del borgo, resterà il borgo.
*
Ci regaliamo il frutto delle notti, gli anni vissuti senza di noi.
Un incendio, una morte, una rinascita, un rifondare l’uno nell’altra le nostre città. Il tuo corpo è una storia d’amore. Porta i segni di tutto il mio amore. Modellato con mani da vasaio, con pazienza creato, scolpito.
Sei intensa come l’odore dei tropici. Sei ambra, lava etnea, gorgoglio di risacca e profumo di menta. Sei monumento di marmo e donna viva. La tua voce è voce di velluto, canto della notte. Hai gli occhi scuri d’Andalusia. Ogni tua sfaccettatura è una persona. Un mondo intero di porti, di case, brulicante di esseri umani. Sei sempre una e sempre nuova, come le onde sulla superficie del mare. E tutto questo nelle mie mani che ti ricreano. Che custodiscono dolore e splendore. Che si donano mentre attingono da te.
Hai un desiderio selvaggio di riprenderti la vita che ti è stata tolta. Riprendiamocela, io ti aiuto a riprenderla. Mia come il palmo delle mie mani, tuo come il colore dei tuoi occhi, riprendiamo possesso del mondo. Sei vorace di tutto e tutto annienti. Cadono affascinate anche le pietre. Ma non cado io. È più forte la mia passione e ti vince, e tu ami essere vinta. Amo la tua arroganza, il viso e il portamento alteri e gelidi, la rabbia che fa franare le montagne, la troppa forza che cerca sempre nuove passioni su cui sfogarsi. Amo quel corpo sodo, caldo come il sole, le gambe d’avorio e acciaio, la plasticità aggressiva del portamento. Amo l’incarnato di terra, il Mediterraneo dei sensi. Le fiocinate della tua tenerezza, la tua raffinatezza di nata povera. Sei di pane duro. Quando arrivi ogni cosa è al suo posto, ognuna ha il profumo che la individua. Ed io sono intrecciato a te come la vite al suo tralcio. Siamo un’orchestra, un coro: innalziamo alla vita un’unica musica.
Io mi arrampico in te come linfa che scorre nell’albero, dalle radici alla punta dei rami. Ti circolo nelle vene e ti rigenero. Ti sradico, ti fulmino, ti tolgo i tuoi tesori per mostrarteli. Non alzare muri, li abbatto. Non resistermi, ti vinco. Non temermi perché la tua paura è nulla in confronto al mio amore. Io ti inchiodo a me, serro le tue mani alle mie e con gli occhi piantati nei tuoi occhi ti anniento e ti ricreo nella passione. Appesa alla stella più alta tu rinasci, rivivi. Con me.
Ma le parole cessano. L’amore non è fatto di parole. L’amore ha un corpo. E il cuore, quando è caldo, non parla.
Solo una cosa rimane. Tu. Noi.
*
Vita
Ho sentito la voglia di vivere nella vongola che, quando cercavo di aprirla, serrava le valve in un estremo tentativo di non farsi uccidere.
La gallina aveva gli occhi di spavento quando la contadina pigliò le forbici.
E il bambino, alla morte del nonno, sapeva che qualcosa di irreparabile era accaduto.
Qualunque cosa che vive possiede una sua scienza della morte.
Nota biografica
Giorgio Galli è nato a Pescara nel 1980 e si è laureato a Siena. Vive a Roma dove ha gestito una libreria indipendente. Ha pubblicato La parte muta del canto (Joker, 2016), Le morti felici (Il Canneto, 2018), Il matto di Leningrado (Gattomerlino, 2021) e Un quoziente di gioia (Fve, 2023). Per RCS libri ha scritto le biografie di Slobodan Milošević, Douglas McArthur e Tito nella collana “I signori della guerra”, La scomparsa di Mauro De Mauro nella collana “Grandi misteri d’Italia” e La conferenza di Jalta nella collana “Giorni che hanno fatto la storia”. Scrive su “Morel, voci dall’isola”, “Niederngasse”, “Neobar” e “Il Detonatore”. Gestisce il blog letterario “La lanterna del pescatore”.