domenica 22 giugno 2025

Pensieri Stravaganti - La disfida dello Smartphone

A cura di Mino Mastromarino - La leggenda del telefonino che fa tutto, e lo fa sempre bene 

Quando il Ministro dell’Istruzione ripristinò – nel dicembre 2022 - il divieto di uso dei cellulari durante le lezioni, lo fece sulla scorta di pareri scientifici univocamente dimostrativi dei  danni per l’attenzione e l’apprendimento degli alunni, nonché per l’autorità e l’autorevolezza del corpo docente. Epperò, scattò immantinente la reazione contro il luddismo governativo della Grande Stampa Illuminata. Cominciò, con una buona dose di ovvietà, Gramellini: “Non si ferma il vento con le mani”. Antonio Polito, sempre sul Corriere della Sera, almanaccò: “ Se ci pensate, l’uso dello smartphone è ormai perfettamente compatibile con tutte le altre nostre attività. Al lavoro lo usiamo di continuo, per rispondere a un messaggio WhatsApp, fare di conto con la calcolatrice, verificare un dato. Nel tempo libero, pure. Perfino di notte, ci facciamo luce con la torcia del telefonino. lo smartphone non danneggia affatto la nostra capacità di concentrazione, ma anzi ci facilita l’azione, aumentandone l’efficienza. Rappresenta quasi un’espansione delle nostre abilità mentali. Ma pensate a quali effetti interattivi in classe…gli studenti potrebbero «farsi» la lezione da sé, o «farla» insieme con il prof, invece di «riceverla» in una relazione unidirezionale “. 

Se veramente, il Nostro, ci avesse pensato, non avrebbe perorato banalità didattiche  come l’autolezione: cioè, la lezione che il professore dovrebbe preventivamente concordare con lo studente in luogo di quella tradizionale e unidirezionale. Per l’ efficienza formativa basterebbe dunque applicare il principio dei vasi comunicanti: sarebbe sufficiente, cioè, collegare lo smartphone dell’insegnante con quello (spento, non sia mai ! ) dello scolaro per il miracolo dell’apprendimento infuso. Del resto – è il concetto sotteso all’ oltranza progressista – essendo tramontato il vecchio rapporto di gerarchia educativa,  si tratterebbe soltanto di trasferire nozioni da un soggetto ad un altro, al fine di aumentare l’efficienza ( pratica, sic !) del destinatario. La lezione, quindi la Scuola, non serve più. C’è lo smartphone, che sa fare tutto, e lo fa sempre meglio e bene. Espande finanche la mente. Parole ancora più urticanti provennero da  Francesco Merlo il quale insorse  contro “ i cretini intelligenti (“cognitivi”) che ancora si battono contro i telefonini. Tutte le innovazioni hanno seguito la stessa sorte: approvate dalla stragrande maggioranza degli uomini sono state condannate dai cretini cognitivi di tutte le epoche. È successo con il treno, con la penna biro, il cinema e la tv.  L’offesa alla lingua e alla logica non fu data tanto dall’aver conguagliato lo sviluppo  tecnico con quello intellettivo; quanto dall’aver abbinato, in regime di confusione e per mera vanità ossimorica, sia i cretini che gli intelligenti ai cognitivi. Che significa e chi è il cretino cognitivo ?  Cretini intelligenti possiamo esserlo tutti; su tale fisiologico rischio è stato pubblicato addirittura un libro scientifico dal titolo  ‘Quando persone intelligenti hanno idee stupide’. 

Se il riferimento, pur inappropriato, è a chi ritiene la relazione educativa diretta il principio costitutivo dell’istituzione scolastica,  non ci disturba affatto far parte di questa categoria,  cui vanno  iscritti brillanti giornalisti ( Nicholas Carr). E illustri neuroscienziati, come  Manfred Spitzer, autore del celebre testo scientifico intitolato  ‘Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi’, con  cui  ha documentato la nocività del cellulare in classe provandone l’effetto impeditivo della normale assunzione delle competenze linguistico-logico-matematiche da parte degli studenti dai 6 ai 15 anni. Lo studioso sostenne che l’utilizzo, anche a scopi didattici, del congegno  interferiva malevolmente con il rendimento scolastico e  con l’acquisizione delle capacità cognitive di base, fino a pregiudicarli in maniera irreversibile. Valditara  non si lasciò condizionare dalla insana tendenza a trascinare la scuola nella vacua contrapposizione tra apocalittici e integrati, o peggio, tra cretini intelligenti e cretini cognitivi. 


Tanto è vero che, pochi giorni fa, è intervenuta la decisione ministeriale di vietare i cellulari a tutti anche nelle scuole superiori e perfino per finalità di insegnamento. Il ministro ha detto che              « dobbiamo aiutare gli studenti a disintossicarsi». L’espressione, pur di scabro impatto,   è tuttavia  coerente con le ultime  evidenze scientifiche che hanno attestato gli effetti esiziali certi dello  smartphone sulla psiche infantile e adolescenziale. Sebbene con maggior pudore, anche questa volta si è invocata la ineluttabilità del progresso. Per i perplessi a prescindere, l’uso consapevole del digitale dovrebbe diventare la principale materia scolastica. La didattica dovrebbe guardare avanti, imparare le poesie a memoria non risolve il problema e il mutamento tecnologico non va castigato quando c’è una nuova grammatica da studiare. Non si vieta ciò che va compreso (così Aldo Grasso, caustico critico televisivo). 

La conclusione del ragionamento è fallace almeno quanto le sue premesse. Innanzitutto, smartphone, digitale e intelligenza artificiale non sono sovrapponibili. Bandire  l’utilizzo del primo durante l’orario scolastico non implica la rinuncia automatica  all’introduzione curricolare  del secondo e della terza. La esclusione del cellulare dalle aule svolge la fondamentale funzione di evitare - ex ante - interferenze con l’attività formativa, e ostacoli all’ apprendimento. Le anime belle dello smartphone taumaturgo dovrebbero spiegarci a cosa e a chi - docente o discente – possa essere utile il telefonino durante l’orario scolastico.  A nessuno, infatti. 

Men che fatua, quindi insensata, è l’idea di istruire i ragazzi sull’uso cosciente della tecnologia, in quanto – come è noto - la consapevolezza e la competenza di fruizione dei dispositivi e relative applicazioni diminuiscono con l’incremento anagrafico. Ma soprattutto perché l’utilizzo consapevole del device presuppone un grado di  capacità critica che, prima dei diciotto anni,  è inesistente e inesigibile.

Con buona pace degli integrati, la commendevole quanto ingenua finalità di mitridatizzare  i bambini e gli adolescenti contro i pericoli (peraltro, di natura e provenienza meramente umane) del cellulare, del digitale e dell’IA si persegue – invece e paradossalmente – proprio  con l’imparare i versi a memoria e con lo studiare la grammatica  della propria lingua. Come minimo. 

Nel nostro caso, siamo di fronte a un divieto proattivo. E salutare.