Dicono che esista un locus, capace di prendere la forma dell’assenza, è qui che il silenzio, nel precedere il fiato, slaccia la pronuncia della parola. Due palmi d’aria compressa, un incavo che si libera e apre nell’attimo sospeso tra un respiro e quello successivo. In questo perimetro indefinito vive e si agita, nel senso buono del termine, una tempesta al contrario, capace di edificare e non distruggere: mi riferisco all’arte di Cristina Bevilacqua.
Dire performer sarebbe riduttivo, ci troviamo davanti a una “cucitrice ancestrale" capace di custodire, in sé, frammenti di vite che trasforma in poesia sonora attraverso l’espressività, autentica, versatile, e anche profonda, della sua voce. Anche se la città eterna le ha dato i natali, è nell’universalità delle emozioni che ha trovato casa. Si muove con disinvoltura come vocalist dalla formazione classica, attrice capace di abitare personaggi diversi, autrice che plasma “esistenze verbali” come argilla, speaker capace di far vibrare l’aria con le sue modulazioni vocali. Ma è forse nei suoi “post-it” - piccole e luminose perle di creatività condensata - che troviamo la prima matrice del suo dna, del suo talento: un appuntamento atteso, un rifugio per chi cerca autenticità in un mondo spesso veloce e frenetico, decisamente incapace di fermarsi ad ascoltare.
Li vedi, sembrano libellule, che toccano appena lo specchio del quotidiano, capaci di distillare memorie nel dono di una voce, ora vellutata ora graffiante, che materializza una dimensione quasi tattile. Nel tempo che incalza, nella carne viva, nei ricordi indelebili, in quello che è stato e in quello che verrà, e negli istanti, la sua “espressività vocale” si fa ponte tra ieri e domani, tra memoria e ultima spes, dolore e slancio di rinascita. Con le sue duttilità espressive ogni singola sillaba viene vista, pesata, insieme alle pause, alle inflessioni, per raccontare un mondo parallelo a quello che le parole delineano.
Durante il periodo della quarantena, quando il mondo sembrava sospeso in un limbo di incertezza, Cristina ha trasformato l’isolamento in creatività pura. I suoi post-it sono diventati compagni di viaggio per molti, piccole luci nell’oscurità di giorni “asetticamente” uguali. Riuscendo a impastare con dovizia di senso e sentimento, cura, quasi materna, anche il dialetto romano, lo trasforma, poi, da vernacolo a linguaggio universale. Le cadenze, le espressioni colorite, la musicalità intrinseca di questa parlata diventano strumenti per scavare più a fondo nell’esperienza umana.
In un’epoca in cui tutto sembra gridare per attirare l’attenzione, Cristina Bevilacqua sceglie spesso la via del sussurro, della parola misurata, del silenzio eloquente. Non ha bisogno di effetti speciali o di artifici: la sua autenticità è il suo superpotere, la sua vulnerabilità è la sua forza, mentre il suo cuore “metodologico” rifiuta copioni rigidi, e si lascia guidare dall'istinto e dall'emozione del momento, permettendo la creazione di connessioni autentiche con chi ascolta. La sua capacità di passare dal drammatico al comico, dalla nostalgia alla gioia, mantenendo sempre un'autenticità di fondo, rappresenta una delle sue caratteristiche più significative. Cristina adotta una poetica della "crepa", della "vulnerabilità" che rilancia, riannoda come forza, che rifiuta effetti speciali e artifici inutili per concentrarsi sull'essenza dell'espressione umana che, come un mantra sciamanico, richiama all’ascolto.
Qui un esempio dei suoi Post-It