QUANTO BASTA


Può sembrare un movimento automatico. O forse dovremmo considerarla un’azione dai tratti scontati. Fatta per convenzione naturale e senza un fine diverso da quello che è. Il meccanismo prende le mosse dall’istinto. Quando il desiderio, la voglia, ha un incipit preciso. Sale dalla pancia, dalla pelle o, il più delle volte, dalla gola. Eppure non importa da quale strada parta, ciò che conta è dove arriva. La richiesta arriva nella testa e ci dice: “hai sete…bevi”. Allora, senza troppi formalismi, come semplicità impone, cerchiamo la bottiglia. La prendiamo, a mo di trofeo, riponendo nel suo contenuto la consapevolezza che ben presto, magari, ne saremo appagati. O, probabilmente, cambieremo bottiglia perché ciò che vogliamo è qualcosa di fresco, di buono, che ci lasci sulle papille quel determinato sapore. Allora svitiamo il tappo, afferriamo con l’altra mano il bicchiere e dentro ci versiamo quanto ci serve per placare la sete. Quanto basta. Quanto ci basta. Eppure in questa istintiva e naturale azione ci sono risvolti più profondi di quello che sembrano. Da come riempiamo il bicchiere c’è una chiara indicazione di quello che siamo e di quanto ne vogliamo. C’è chi lo riempie voracemente sino all’orlo. Sono quelli che chiamiamo “eccessivi”. Il liquido cade nel bicchiere e fa dei capitomboli, come i rivoli di una cascata. Battono sul fondo e, per ragioni di spazio, qualche goccia salta fuori. Il bicchiere diventa pieno, immediatamente, ci si ferma giusto in tempo per non farlo debordare. Così poi, per bere, bisogna appoggiarci lentamente le labbra. Bisogna essere cauti nei movimenti. Al minimo sussulto il liquido cadrebbe sul pavimento o sui vestiti ed andrebbe irrimediabilmente perso. Altri ne versano poco per volta. Assaporano e gustano a piccoli sorsi. Per timore che sia troppo freddo. Per timore di una congestione. O forse per timore e basta. Altri ne mettono, a loro parere, il giusto. Lasciano un dito o mezzo dall’orlo. Senza eccessi. Senza riduzioni. Sono quelli che fanno del “mezzo pieno” una virtù. Ma ci siamo chiesti cosa ci fa dire basta? Quanto deve essere alta o bassa la linea che divide il vuoto dal pieno? Quella linea ben può essere la misura dei nostri bisogni, dei nostri desideri. Siamo noi a deciderla. Spesso siamo noi che valutiamo quanto deve essere riempito il bicchiere. E quanto deve essere riempito lo decidiamo in base a quello che ci stiamo versando dentro. A volte ci accontentiamo di un sorso. Altre volte, il più delle volte, quel sorso non è abbastanza. Questo capita per l’amore. Più ne versiamo e più siamo assetati. L’amore è qualcosa che si rigenera da se stesso. Che riparte dalla fine. Che rinasce ogni volta desiderio, mai veramente sazio, di averne ed averne ancora. Altre volte siamo portati a bere senza volerlo. Perché non siamo noi a riempire il bicchiere, lo fa la vita, quando ci versa dentro il dolore. In quel caso assaporiamo e beviamo l’amaro senza riuscire a sputarlo. L’istinto ci dice di spaccare il bicchiere contro il muro ma poche volte ne siamo capaci. Poche volte ci ribelliamo. Spesso dal dolore ci lasciamo assuefare. E lo beviamo anche quando dovremmo semplicemente posare il bicchiere, dire basta. Eppure, come per tutti gli eccessi, anche le cose positive, prese in sovrabbondanza, mutano, non rimangono tali. Prendiamo ad esempio di nuovo l’amore. Quando è troppo, quando sovrabbonda, ci stacca i collegamenti con la ragione e con la realtà. La visuale diventa un cono. Si restringe. Sino a catapultarci nell’eccesso opposto. Quella meravigliosa luce che sino a poco prima brillava nel bicchiere ora diventa accecante. La vista inizia a sfocare. I colori sono indistinguibili. Quel liquido che stiamo bevendo, ad un certo punto, da zuccheroso ed appagante, diventa alcolico ed anestetizzante. Ubriacati di quell’eccesso facciamo le cose più assurde ed anche sbagliate. Vediamo ciò che non è. Ma forse questo è il punto. Bisognerebbe capire quanto basta. Quanto basta di tutto. Anche delle cose belle. Altrimenti potremmo essere assuefatti e drogati anche dalle cose positive. Il rischio è il coma, anche d’amore. Forse dovremmo fare come dicevano i latini: “In medio stat virtus”. O magari alzare la linea del bicchiere giusto di una tacchetta ma, per amor di Dio, niente eccessi. 

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