venerdì 22 agosto 2025

Vera Mocella e "l'epifania del nascosto" - di Claudia Iandolo


E se anche la materia fosse spirito? Se anche la materia fosse luce? Il lavoro di Vera Mocella si apre con una domanda, declinata come fossero due, che segna anche una pista interpretativa. Se anche la materia è spirito e luce, la vita stessa non sarebbe che un continuum in cui non esiste separazione alcuna. Nessuna lontananza tra il qui e l’altrove, nessuna distinzione tra il finito e l’infinito. Il respiro di ogni creatura è un solo respiro, l’alito di un mistero che tutto avvolge e per cui tutto pulsa.

L’autrice spiazza il lettore fin dall’inizio con un’opera che è al tempo stesso una confessione e un dialogo. L’alternanza di prosa e poesia è solo apparente perché tutto il lavoro è poetico nel senso alto del termine. Ogni parola, ogni pausa determinano un rimando, un’eco precisa che risuonano di bellezza nella profondità dell’anima. Si tratta di una sorta di epifania del nascosto in cui, appunto, il mistero dell’esistenza si illumina e si rivela perfino attraverso il dolore e le lagrime. Mistero che può essere solo intuito e mai spiegato. La confessione è confessione di una mancanza fisica che coinvolge in maniera totalizzante. Dell’altro, di chi si ama, manca tutto: le braccia muscolose e forti, le labbra profumate di muschio, gli occhi di lacrime e gioia, i passi che ogni amante aspetta trepidante. Siamo di fronte ad una scrittura squisitamente femminile e mistica. Come Margherita Porete e Angela da Foligno, Vera Mocella usa le parole per abbattere limiti e convenzioni. Il Tu al quale si rivolge ama e tormenta. Abbaglia con la sua bellezza e devasta come carta vetrata sul cuore. Non usa parole e quelle dell’amante, forse, non lo raggiungono. È capriccioso, conduce in luoghi spaventosi e sorprendenti.

Ma a volte è lui a farsi condurre. Ecco lo scandalo. Le mistiche non hanno ritegno, pensano a Dio come a un amante, lo sentono nel corpo, ne fanno una questione di baci e di ansimi e nel frattempo realizzano in pieno lo sconcerto e il turbamento della comunione con l’Altro. Separazione e mancanza non sono che apparenze che si perdono nella finzione del tempo, giacché ogni tempo non può che essere l’hic et nunc in cui l’Amore rivela se stesso. Per sempre. In eterno. L’Amore esige che gli amanti si denudino, che dichiarino apertamente sentimenti ed intenzioni. Esige, come nell’opera di Porete, Lo specchio delle anime semplici, che si oltrepassi l’amore fino all’annullamento del sé e allo schianto. Ed è allora che anche l’ultima distanza si colma, che non esiste nessuna separatezza tra i due amanti. L’abbraccio tra il creatore e la creatura è il senso della vita stessa. Spazio e tempo non esistono e non esiste la morte. La creatura si accorge, finalmente, di nuotare in un Tutto. Riconoscendo l’Altro ha finalmente riconosciuto se stessa. Vera Mocella incanta con una scrittura elegante e curata in cui s’incastonano riferimenti a Wim Wenders, Walt Whitman e alla Bibbia. Il dettato terso è però densissimo. Ogni rigo rincorre il respiro dell’Anima Mundi e del suo segreto contenuto in ogni singola cellula di un mistero chiamato Vita.

L’immagine che abbiamo creato
sarà l’immagine
che accompagnerà la mia morte.
In questa immagine avrò vissuto.
Solo lo stupore su di noi.
Lo stupore dell’uomo
e della donna fatto di me, un uomo.
Io ora so ciò che nessun angelo sa.

Wim Wenders
da Il cielo sopra Berlino


Una poesia estratta

Risorge sempre l’Amore


Si decanta il passato in vivide immagini
tasselli di passione, rimpianti, angosce
adesso annegano lontano da noi.
Quello che ci unì non fu amore
quello che ci unì non fu desiderio
fu magma incandescente di passione.
Ciò che ci unirà non sarà la morte,
ma l’eterna speranza di essere insieme,
il desiderio incontrollato, insaziabile di amore
il desiderio incontrastato di Bene.
La felicità fanciulla
che si dissolse in quell’attimo
in cui spezzai l’incanto.
Non sapevo amore, le cose che ora so,
l’Amore non si spezza, l’Amore non si uccide,
risorge sempre,
sempre risorge l’intatto Amore.


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