PICCOLO PAESE MIO...

Ti prego, non lasciarmi, raccogli quello che resta di me in questa sera di luna senza lucciole. Ho l’anima ferita eppure riesco ancora a vedere nel riflesso dei tuoi occhi pietrosi la voglia di tenermi stretta, di farmi rimanere. Piccolo paese mio, parli come un padre afflito davanti alla disperazione di una figlia che vuole perdersi nelle sacche oscure della notte. L’evasione potrebbe essere la soluzione, ma a che prezzo. Come in un simulacro di cartapesta la pelle attira il battito del cuore che rifiuta di arrendersi, che vuole resistere all’inedia del presente. Una falena vola all’impazzata e si uccide cercando di rimanere quanto più vicina possibile alla luce, labilissima ma fondente, di un piccolo fuoco di stoppie. Potrebbe essere il mio destino e la paura mi assale repentina, mi arde la gola. Dalle pietre risale un sospiro che nessuno può sentire. Impercettibile eppure intenso, fa tremare ogni cosa. Come una spina velenosa punge l’anima. Povero spirito inquieto, non ha sangue per soffrire eppure si dimena e si annienta nell’agonia di questo silenzio. Ho in mano un filo che mi riporta verso il borgo della mia infanzia. Lo riannodo al gomitolo e ritorno bambina, scendo fin nel grembo di mia madre. Poi rinasco e nuovamente mi trovo nel punto da cui sono partita. Eccomi, quella sono io che beve alla fontana della piazza, che si disseta senza conoscere il senso del domani, inconsapevole di esistere nella terra dei lupi. Se solo qualcuno volesse prenderne un capo potrei condividere questo immenso bene che ho per la mia terra, eppure, urge il desiderio di fuggire, anche se pesa di più la voglia di rimanere, non per sopravvivere ma per esistere. La terra mi chiama per nome, con quella voce soave e pur cangiante. Un brivido mi trattiene, trasfigurando una presenza. Uno spirito ancestrale si materializza nel tempo, poggia una coperta sulle mie spalle, mi avvolge il passato all’improvviso, nasconde la debolezza dalla luce del giorno. Ha lasciato che i miei sensi non vacillassero davanti alla voglia di evasione ed io ho deciso di richiudere le ali in questo paradiso dipinto dall’uomo e dalla natura, fatto di pietre e stemmi senza tempo, un cesello senza eguali nel verde di questa montagna.
Sono un passero che non migra al calare dell’inverno. Nessuna esitazione, quando si apre la visione nello specchio della vita, prendo quel che offre il tempo in questo momento, in attesa di vivere il futuro mentre il passato mi osserva, muto attende una fiamma che lo ravvivi nel ricordo. La solitudine è un’abitudine di cui non vorrei mai fare a meno. Qui ho tutto il silenzio e la quiete che mi serve per sentirmi viva. Il fragore ed il frastuono lo rilego in quel pezzo di mondo che non mi appartiene. Nei piccoli paesi di questa immensa irpinia, simile ad un pezzo d’argilla, si forma la speranza di poter vivere ancora, di battere l’accecante dilagare del malcostume, di riprendersi ciò che ci appartiene, salute, lavoro, la vita tutta intera, la dignità senza prezzo. Nelle gambe ho ancora i passi che mi ricongiungono con la vita che ho deciso di vivere. Rimango perché so che altrove potrei morire. Ogni altra cosa si perde nella tormenta del quotidiano assalto alle nostre terre. Lasciateci in pace, non vogliamo essere salvati da chi depreda le nostre speranze più elementari.






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