NEL BATTITO LA SUA CONDANNA
Spesso la luna ha un volto familiare. È uno sguardo severo che niente dice ma che indaga nel nostro lato di mondo, nella nostra vita, quella che spesso teniamo celata agli sguardi indiscreti, come un segreto inconfessabile.
Muta, immobile, un pezzo di luce che tenta di schiarire un colore cupo e quasi spettrale. Cosa potremmo aggiungere a questa esistenza se non la parola fine?
Se potessimo scappare da questo corpo, che ci lega anima e cuore al presente, potremmo trovare la forza di darci delle risposte, eppure ci lasciamo travolgere dalle domande. Intanto il sangue scorre e continua a inondare la nostra pianta di nutrimento.
Se solo potessimo fermarlo, se solo potessimo farlo uscire e farlo tornare purificato, allora accetteremmo il dissanguamento senza fiatare, senza perdere i sensi. Chi non ha mai concesso asilo al dolore?
Ognuno di noi lo ha fatto. Spesso consapevolmente altre volte senza rendersene conto. È entrato e non è uscito il dolore così come è entrato e non è uscito l’amore. Ogni cosa, anche opposta ed incompatibile, rimane impressa nel cuore.
Eppure nessuna ombra prende forma se il cuore non vuole. Nessuna parola vibra nella testa se il cuore non la fa sua. Nessun sorriso ti libera dalla tristezza se il cuore non decide di lasciarsi liberare. Nessuno sguardo ti trafigge se il cuore non decide di perdersi in quegli occhi. Nessuna carezza ti scopre nelle difese se il cuore non si lascia scoprire. Nessun abbraccio ti avvolge se il cuore non si lascia avvolgere. Niente e nessuno entrerà nella nostra vita se la porta del cuore rimane chiusa, tranne il dolore.
Quello entra senza chiedere il permesso, senza dare al cuore alcuna alternativa. Vorremmo poter guardare senza gli occhi, vorremmo poter sorridere senza la bocca, vorremmo poter correre senza le gambe, ma nessuna di queste azioni è possibile senza una determinata parte del corpo, ognuna dipende dall’altra, non ci sono storie.
Solo il cuore è condannato a fare tutto da solo, a vivere il dolore nella carne, giorno per giorno. Povero cuore costretto a indossare, spesso, abiti che non gli stanno a dovere, a stringere i pugni per non lasciarsi corrompere dal resto del mondo, a sfiancarsi nonostante la stasi degli altri muscoli, perché il cuore batte anche quando il corpo riposa e nel battito è insita la sua condanna. Scala le montagne del nostro ego, si precipita verso la meta, alla fine riprende fiato e ricomincia la discesa, in un moto senza interruzioni, in un solstizio di sensazioni. Ha resistenza, soffre, si dimena, si graffia, sanguina ma non si scoraggia, sembra sconfitto, vorrebbe cedere la staffetta, ma non c’è nessuno che lo aiuti. Il cuore batte, sempre e comunque, in estrema solitudine.
Basterebbe concedergli un po’ di riposo anche solo per un secondo, o poco meno, giusto il tempo di spegnere la luce e resettare ogni cosa. Un lampo di sogno basterebbe. Ogni pensiero ed ogni emozione che fa male potrebbe essere eliminata per dare al cuore la possibilità di pulsare ancora, il secondo seguente, senza pesi e senza strascichi di sofferenza.
Solo l’amore basterebbe a dargli la speranza di non battere invano.