Se non respiri attraverso la scrittura, se non piangi nello scrivere, o canti scrivendo, allora non scrivere, perché alla nostra cultura non serve. - Anaïs Nin -
Un mio racconto apparso su Comunità Provvisoria
- Tratto da Anatomia di Anime -
PROLOGO
Il sole di questi giorni mi ispira…invitandomi a ripercorrere i luoghi dell’infanzia.Una passeggiata in auto, lungo la strada che da Guardia porta ad Andretta ed il ricordo del percorso mi apre uno scenario indefinito. Da bambina mio padre mi portava sempre, ogni anno, alla festa della Matinella e lungo la strada mi raccontava storie fantastiche, incantate, fatte di personaggi che si animavano nelle ore notturne.Sono passati quasi trent’anni da quelle passeggiate ed il sole non è più lo stesso, sembra avere un velo che lo nasconde, la giornata non è delle migliori. Il vento carezza appena le foglie degli alberi sparsi a macchia nei campi. Intorno un silenzio impressionante, rotto solo dal richiamo delle cicale. Guardo il paesaggio e terra, aria e sole…questo è quello che abbiamo e questo è quello che non avremo più. Il caso della discarica di Andretta è emblematico. La si può paragonare ad un racconto di Allan Poe, per i tratti oscuri che presenta.
Proviamo ad immaginare una storia che la rappresenti.
Un’anima velenosaIn un tempo indefinito, avvolto nelle ombre della mezzanotte, mentre i piccoli di casa dormivano, nei loro letti scavati nel legno di faggio, d’un tratto, si udì un colpo pesante. La porta d’ingresso vibrò tremendamente. Il padrone di casa, trasecolando dal torpore del sonno, seduto innanzi ad un ceppo quasi spento, si alzò di scatto. Si strofinò velocemente gli occhi e si chiese se aveva ben udito:“Chi mai poteva essere a quell’ora?”. Di certo si era lasciato prendere dagli effluvi del vino….e rimuginò qualcosa aggiustandosi la vecchia coperta poggiata sulle gambe.Il fuoco proiettava una piccolissima ombra sul pavimento ed il silenzio di quella casa, rotto dal colpo alla porta, pareva ansimare un vociare di fantasmi, improvvisamente liberati dal rumore. Il colpo si avvertì nuovamente. L’ansia scaturita da quella presenza, improvvisa ed inaspettata, gli fece immaginare un viandante sperduto. La neve copiosa, caduta lungo la strada, l’aveva forse tratto in inganno ed era sicuramente incappato nel tranello del fosso, lungo il sentiero del campo di grano.Subitamente lo stesso si diresse sull’uscio e fatto girare tre volte la chiave di ferro, aprì tremolante un piccolo spiraglio nel buio della notte. “Signore – disse una voce greve – fatemi entrare ho qualcosa di importante da recapitarvi…”A questo punto, con una spinta proveniente dal di fuori, la porta si aprì per intero. Accompagnato dalle tenebre della notte e dal flebile chiarore della luna, una figura distinta nei tratti si faceva strada. Dall’uscio si portava innanzi al camino.Scrutando quella figura misteriosa ed inaspettata, adocchiandola a malapena con il suo monocolo lesionato, il padrone di casa non riusciva ad intendere il perché avesse consentito ad un estraneo di entrare in quel modo in casa sua. Così, rimase a lungo, impaurito e diffidente, tale che non ebbe neppure l’ardire di chiedere: “Chi siete…” - segue -
Se volete leggere come finisce dovete cliccare sul link qui sotto http://comunitaprovvisoria.wordpress.com/2008/08/26/unanima-velenosa-emanuela-sica/
PROLOGO
Il sole di questi giorni mi ispira…invitandomi a ripercorrere i luoghi dell’infanzia.Una passeggiata in auto, lungo la strada che da Guardia porta ad Andretta ed il ricordo del percorso mi apre uno scenario indefinito. Da bambina mio padre mi portava sempre, ogni anno, alla festa della Matinella e lungo la strada mi raccontava storie fantastiche, incantate, fatte di personaggi che si animavano nelle ore notturne.Sono passati quasi trent’anni da quelle passeggiate ed il sole non è più lo stesso, sembra avere un velo che lo nasconde, la giornata non è delle migliori. Il vento carezza appena le foglie degli alberi sparsi a macchia nei campi. Intorno un silenzio impressionante, rotto solo dal richiamo delle cicale. Guardo il paesaggio e terra, aria e sole…questo è quello che abbiamo e questo è quello che non avremo più. Il caso della discarica di Andretta è emblematico. La si può paragonare ad un racconto di Allan Poe, per i tratti oscuri che presenta.
Proviamo ad immaginare una storia che la rappresenti.
Un’anima velenosaIn un tempo indefinito, avvolto nelle ombre della mezzanotte, mentre i piccoli di casa dormivano, nei loro letti scavati nel legno di faggio, d’un tratto, si udì un colpo pesante. La porta d’ingresso vibrò tremendamente. Il padrone di casa, trasecolando dal torpore del sonno, seduto innanzi ad un ceppo quasi spento, si alzò di scatto. Si strofinò velocemente gli occhi e si chiese se aveva ben udito:“Chi mai poteva essere a quell’ora?”. Di certo si era lasciato prendere dagli effluvi del vino….e rimuginò qualcosa aggiustandosi la vecchia coperta poggiata sulle gambe.Il fuoco proiettava una piccolissima ombra sul pavimento ed il silenzio di quella casa, rotto dal colpo alla porta, pareva ansimare un vociare di fantasmi, improvvisamente liberati dal rumore. Il colpo si avvertì nuovamente. L’ansia scaturita da quella presenza, improvvisa ed inaspettata, gli fece immaginare un viandante sperduto. La neve copiosa, caduta lungo la strada, l’aveva forse tratto in inganno ed era sicuramente incappato nel tranello del fosso, lungo il sentiero del campo di grano.Subitamente lo stesso si diresse sull’uscio e fatto girare tre volte la chiave di ferro, aprì tremolante un piccolo spiraglio nel buio della notte. “Signore – disse una voce greve – fatemi entrare ho qualcosa di importante da recapitarvi…”A questo punto, con una spinta proveniente dal di fuori, la porta si aprì per intero. Accompagnato dalle tenebre della notte e dal flebile chiarore della luna, una figura distinta nei tratti si faceva strada. Dall’uscio si portava innanzi al camino.Scrutando quella figura misteriosa ed inaspettata, adocchiandola a malapena con il suo monocolo lesionato, il padrone di casa non riusciva ad intendere il perché avesse consentito ad un estraneo di entrare in quel modo in casa sua. Così, rimase a lungo, impaurito e diffidente, tale che non ebbe neppure l’ardire di chiedere: “Chi siete…” - segue -
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Anatomia di Anime: Nuove Voci
Anatomia di anime è stata scelta dal Gruppo Albatros
- per far parte della collana NUOVE VOCI:
http://www.irpinianews.it/CulturaEventi/news/?news=67301
(leggi l'articolo completo su IRPINIANEWS).
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Una goccia d’acqua per l’Anatomia di anime - a cura di Paolo Saggese
"Quante volte ho pensato di essere solo un soffio di vento, buttato lì per caso, in una mattina soleggiata di maggio inoltrato …” “Ma il più delle volte …ho immaginato di essere una goccia d’acqua che, caduta da un nuvolone carico di grigio, scivola lentamente su un albero ricurvo per poi inebriare, rimbalzando su una foglia rinsecchita, una piccola gemma pronta a schiudersi” (da Amico – Monologo in ricordo di un amico carissimo).
Nel presentare questo libro non autobiografico – sebbene ogni libro sia in un certo senso autobiografico, comunque, una raccolta di racconti e monologhi quasi classicamente distribuiti, partirei da uno dei pochi spunti autenticamente autobiografici per comprendere il senso di questa scrittura.
Per Emanuela Sica, gia promettente poetessa, scrivere non e un lusus, uno di quei giochi futili che nell’era del post-moderno equivale al cruciverba oppure alla chattata quotidiana, ma innanzi tutto esigenza vitale di un’anima, che vuole continuare a vivere, che non vuole essere semplicemente “un soffio di vento …buttato lì per caso”, ma quella “goccia d`acqua” che sappia “inebriare…una piccola gemma pronta a schiudersi”.
Almeno, questo e l`effetto che ha prodotto su di me lettore, sin dalle prime battute, sin dai primi righi del primo dei racconti.
Infatti, non mi stancherò mai cli ripeterlo, la scrittura è cosa seria, non è per gente annoiata che non sa che fare, non è per il lettore distratto in attesa di una telefonata o del programma serale, ma è dono agli altri e per gli altri, è ansia continua di ricerca, è moto dell`anima che vuole farsi idea e costrutto, è un contributo piccolo al moto continuo del pianeta che senza la spinta degli uomini “di buona volontà” rotolerebbe come un pallone che non raggiungerà mai la porta.
Talvolta, il pessimismo della ragione ci porterà a pensare che i goal si segnano solo la domenica, e non nella vita, ma il libro di Emanuela Sica e un tiro che va a segno, è una giocata riuscita.
Questa giovane scrittrice ci insegna cosi tante verità, ci dice che dobbiamo lottare e possiamo sperare, ci dice che la parola e la poesia ci possono essere di aiuto, se noi siamo in grado di ascoltare e di ascoltarci, se siamo in grado di ascoltare i tanti silenzi che ci sono interno, di riconoscerci negli altri, di riconoscere negli altri i nostri fratelli, di creare una catena di umanità e di solidarietà, di pensare che un mondo migliore é pur sempre possibile ed é dovere di ognuno contribuire a crearlo, che la vita è una sfida e che ogni giorno dobbiamo costruire la casa della pace e della Fratellanza.
Non so perché questo libro è ricco di fascino, anzi so perché, perché pur parlando dei mali del mondo ci riconcilia con la vita e con noi stessi, ci da l’idea che la speranza é possibile, e che può essere trovata nei tanti gesti quotidiani che sano cattedrali di bene e che ognuno deve costruire.
Questo è il dovere della scrittura oggi, questo è il dovere della cultura oggi. Perché “La notte sta per arrivare…se qualcuno avra bisogno di legna da ardere…io sarò pronta a donate i miei rami”.
Nel presentare questo libro non autobiografico – sebbene ogni libro sia in un certo senso autobiografico, comunque, una raccolta di racconti e monologhi quasi classicamente distribuiti, partirei da uno dei pochi spunti autenticamente autobiografici per comprendere il senso di questa scrittura.
Per Emanuela Sica, gia promettente poetessa, scrivere non e un lusus, uno di quei giochi futili che nell’era del post-moderno equivale al cruciverba oppure alla chattata quotidiana, ma innanzi tutto esigenza vitale di un’anima, che vuole continuare a vivere, che non vuole essere semplicemente “un soffio di vento …buttato lì per caso”, ma quella “goccia d`acqua” che sappia “inebriare…una piccola gemma pronta a schiudersi”.
Almeno, questo e l`effetto che ha prodotto su di me lettore, sin dalle prime battute, sin dai primi righi del primo dei racconti.
Infatti, non mi stancherò mai cli ripeterlo, la scrittura è cosa seria, non è per gente annoiata che non sa che fare, non è per il lettore distratto in attesa di una telefonata o del programma serale, ma è dono agli altri e per gli altri, è ansia continua di ricerca, è moto dell`anima che vuole farsi idea e costrutto, è un contributo piccolo al moto continuo del pianeta che senza la spinta degli uomini “di buona volontà” rotolerebbe come un pallone che non raggiungerà mai la porta.
Talvolta, il pessimismo della ragione ci porterà a pensare che i goal si segnano solo la domenica, e non nella vita, ma il libro di Emanuela Sica e un tiro che va a segno, è una giocata riuscita.
Questa giovane scrittrice ci insegna cosi tante verità, ci dice che dobbiamo lottare e possiamo sperare, ci dice che la parola e la poesia ci possono essere di aiuto, se noi siamo in grado di ascoltare e di ascoltarci, se siamo in grado di ascoltare i tanti silenzi che ci sono interno, di riconoscerci negli altri, di riconoscere negli altri i nostri fratelli, di creare una catena di umanità e di solidarietà, di pensare che un mondo migliore é pur sempre possibile ed é dovere di ognuno contribuire a crearlo, che la vita è una sfida e che ogni giorno dobbiamo costruire la casa della pace e della Fratellanza.
Non so perché questo libro è ricco di fascino, anzi so perché, perché pur parlando dei mali del mondo ci riconcilia con la vita e con noi stessi, ci da l’idea che la speranza é possibile, e che può essere trovata nei tanti gesti quotidiani che sano cattedrali di bene e che ognuno deve costruire.
Questo è il dovere della scrittura oggi, questo è il dovere della cultura oggi. Perché “La notte sta per arrivare…se qualcuno avra bisogno di legna da ardere…io sarò pronta a donate i miei rami”.
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