LA FINESTRA

"Perché un dolore diviso è dimezzato ma la felicità divisa o condivisa è raddoppiata".
“Sembra quasi che il sole faccia fatica ad uscire. Si scorge in trasparenza. Un cuore che pulsa nella fredda gabbia toracica. Ecco cos’è. Vuole liberarsi da quella cappa di grigio e gelo. I raggi, quelli più forti ed fendenti, cercano di infilarsi tra le crepe del cielo. Provano ad aprire dei piccoli varchi tra le nubi cariche di neve. Se neanche stavolta riesce a vincere la sua battaglia, credo nevicherà ancora. Sai, stanotte è caduta tantissima neve. Riesco a vedere le colline tutt’intorno. Fanno da cornice ai tetti imbiancati delle case che portano su al paese. Secondo me è la fame ma sembrano delle grandi fette di pandoro, lasciate lì per caso da un pasticciere sbadato. Se mi sporgo verso sinistra riesco a vedere un piccolo stagno. Nella forma simile ad una foglia vite. È ricoperto da una spessa lastra di ghiaccio. Lungo i bordi frastagliati si addensano delle montagnole di neve. Deve fare molto freddo fuori eppure sembra che non ci sia vento. Non riesco a percepire, nonostante li veda con precisione, i movimenti degli alberi che ho di fronte. Intendo gli alberi del grande bosco. I loro rami scheletrici si allungano verso il cielo silenzioso, incoronati da fiocchi di neve e merletti di ghiaccio. Mi sembra di vedere un piccolo sentiero. È costeggiato da un basso muretto. Forse per questo riesco a intravederlo in questo paesaggio che è di un solo colore: il bianco. Le pietre sembrano essere fatte di un materiale che non fa attaccare la neve. Solo il lungo dorso è imbiancato. I fianchi si vedono perfettamente. Riposte con cura, le une sulle altre, a formare un puzzle perfetto. Se corro con lo sguardo lungo il muretto vedo, più in fondo, un vecchio cascinale. Le scale diroccate. I balconi chiusi. I vetri rotti. Disabitato da chissà quanto tempo. Sembra una dimora di fantasmi. Quasi irreale, ricoperto di rovi e sprazzi di bianco brillante. Dal tetto, per metà sfondato, pendono lunghi ghiaccioli trasparenti. Uno è così grande che sembra una stalattite. Ecco. Vedo delle figure che risalgono dal sentiero. Sono dei bambini. Due, quattro, sei. Riesco a distinguere i volti simpatici, le gote rosse. Il fiato che esce dalle narici crea delle strisce di fumo caldo. Tutti incappucciati ma non sembrano per niente infreddoliti. Si avvicinano ad un cumulo di neve fresca. Il più piccolo ha fatto una pallina di neve velocemente. L’ha tirata, forse in maniera sbilenca, ma ha colpito il più grande. Facendogli cadere il cappello. Quello con la pallina rossa e grigia. Anche se non riesco a sentire le voci concitate si danno battaglia. Sorridono divertiti. Comunque da lontano, verso sud, il cielo annuncia minacce. Credo si prepari una bufera. Ah, finalmente! Il sole è uscito vittorioso. Ha squarciato l’ultima resistenza. Ora vedo il riflesso abbagliante sulla neve. Non riesco a tenere gli occhi aperti tanto è accecante. Con questa luce, i vetri della finestra diventano uno specchio. Devo decidermi a fami la barba. Ho i capelli dritti, spettinati, ogni ciuffo per suo conto. Sembro uno spaventapasseri. Amico mio vorrei dormire un po’, sono stanco.” Così dicendo Antonio abbassò per metà la tapparella premendo un pulsante. Dalla sedia si spostò leggermente per infilarsi nel letto. La finestra era una di quelle molto grandi. Di vetro spesso ed acciaio, forse l’unica cosa bella, o meglio, apprezzabile in quella stanza. Accanto a quella finestra un letto. Quello di Antonio ed una sedia. L’altro letto, quello di Michele, più distante, vicino al muro. Poi il giorno lasciò il posto alla sera ed Antonio quella notte peggiorò. La mattina dopo non riuscì più ad alzarsi dal letto, come sempre faceva per raccontare delle meraviglie che vedeva da quella finestra. A mezzogiorno venne portato di corsa in sala operatoria ma da lì non ritornò mai più. Il mattino seguente, Michele, ancora disperato e frastornato da quello che era accaduto al suo compagno di stanza, chiese all’ infermiera di potersi spostare nel letto accanto alla finestra. Lui che era costretto, dalla sua grave malattia, a rimanere sempre disteso. Voleva provare a vedere le cose che Antonio gli raccontava con così tanta precisione e ineguagliabile poesia. Quando fu spostato nell’ altro letto, lentamente e dolorosamente si sollevò su un gomito per affacciarsi e vedere, per la prima volta, il mondo esterno. Ma vide che la finestra dava su muro bianco. Chiese all’ infermiera cosa poteva aver spinto il suo amico a descrivere quelle cose così meravigliose. L’infermiera, sorpresa, disse che Antonio era cieco e non poteva neanche vedere il muro. “Forse voleva darti coraggio, donandoti immagini felici” disse uscendo dalla stanza. Si. Era così. Antonio era felice nel rendere felice il suo amico, anche a dispetto della propria situazione: “Perché un dolore diviso è dimezzato ma la felicità divisa o condivisa è raddoppiata”. 

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