LA STRADA DEL RITORNO

Quella mano, la destra, è pietrificata. La pelle, i muscoli, le ossa, ogni minuscola cellula, sono diventati orfani. Orfani del calore. Derubati di una stretta che profumava di latte. Derubati del loro stesso sangue. Mano ora immobile nel gesto di dare ancora asilo ad una vita che stenta a tornare su. In attesa di chi, vincendo il buio di quella voragine, potesse davvero risalire ed afferrarla di nuovo. L’altra mano, la sinistra, trema. Assuefatta dalla paura si muove senza logica. Tocca e si infila tra i capelli, li smuove, li tira. Sembra voler strappare la realtà di quel momento e far posto alla speranza. Speranza che è ferma, intrappolata negli ingranaggi di un ascensore bloccato. Mano che cerca, senza riuscirci, di spostare l’attenzione su una scena che non è capace di mutare. Mano che articola movimenti, gesti, uniti a sei parole “Era qui, di fianco a me”. Parole che fuoriescono impietose, sempre uguali, sempre le stesse. Una cantilena incredula che strozza ad ogni secondo, minuto, ora che passa, anche l’ultimo anelito di speranza. Parole che rimbalzano sui muri della metropolitana ed esplodono prendendo mille traiettorie diverse tra la folla che si assiepa per guardare. Parole che coprono la voce della mente. Mente che urla, grida, senza emettere alcun suono. Mente che usa parole diverse. Mente che da asilo alla follia di un pensiero impossibile. “Ritorna, ridammi la mano.” Mente che guarda ed osserva la solitudine plasmarsi in quell’immagine. Immagine svanita nel nulla e che ricompare, severa, in mille gocce. Mille chiodi di lacrime che si conficcano sul pavimento. Lacrime che escono senza sosta da quegli occhi squarciati. Aperti in due e mai più richiusi quando l’allarme ha iniziato a suonare. Da quel momento il tempo, che non era stato donato per tutti, ha avuto una brusca frenata ed il presente si è chiuso quando le porte si sono aperte. Lei esce, passa nella porta del futuro. Marco resta, risucchiato nel passato, nell’intercapedine tra due mondi che mai più apparterranno ai suoi anni. Anni che si riavvolgono nella mente di sua madre. Madre che incredula, anestetizzata da quel dolore atroce, ancora parla con lui: “Marco, la strada del ritorno era nostra. Avremmo dovuto ripercorrerla insieme. Avremmo dovuto prendere la strada soleggiata. Quella dove i tigli sembrano aprire le braccia ed i fiori profumati ricamano tappeti meravigliosi. Le nostre impronte veloci li avrebbero smossi giusto un po’ ma la bellezza di quel paesaggio sarebbe rimasta immutata. La strada doveva essere quella: il sentiero della vita. Della nostra vita insieme. Mano per mano, come sempre, tu ed io. Avremmo guardato il percorso, ci saremmo scambiati un sorriso, non avremmo detto una parola. Poi tu mi avresti chiesto “Posso?” ed io ti avrei lasciato un attimo la mano. Ti avrei donato la libertà di fare l’ultimo tratto di corsa. Quei pochi metri che ti mancavano per abbracciare tuo padre. In quel momento solo il vento e l’aria del mattino avrebbero carezzato il nostro quotidiano. Alla fine saremmo giunti a casa, evitando di perderci. Ma la strada del ritorno aveva un bivio e l’altra direzione portava nella foresta, dove il buio ed il silenzio modificavano ogni percezione di serenità. Li era notte. Notte inoltrata. Amore mio, perché sei fuggito? Perché hai preso la strada della foresta? Io sono sola e non riesco più a vedere dove sei. La mia mano, quella che ti teneva, adesso si è annichila in un pugno, le unghie sono conficcate nella pelle ma non sento alcun dolore. Il mio cuore si è perso nel silenzio di quel vuoto che ti ha ingoiato senza che io potessi fare nulla. Se svegliandoti, stamattina, avessi potuto vedere che la morte si era svegliata con te, avrei richiuso le serrande e ti avrei lasciato dormire per tutta la vita. Invece ti ho perso così, nel silenzio di chi vive insieme e poi si lascia per sempre senza darsi neanche l’ultimo bacio di addio. Di te, ora che l’ignoto ha preso forma e sostanza, ho solo il tuo corpicino, corrotto da una caduta terribile e senza senso. C’è chi lo chiama destino, chi fatalità, chi errore umano. Io non so come si chiama morire a 4 anni in una metropolitana. So solo che la tua strada del ritorno è stata diversa dalla mia.”

In memoria di Marco

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