Credo che l’amore, l’affettività in senso lato, sia qualcosa di indefinibile. Di non sussumibile con ragionamenti scientifici o logici. Questo perché nell’affettività ritroviamo due componenti, le emozioni ed i sentimenti che, pur sembrando elementi di identica derivazione, sono diversi e configgenti. Le emozioni sono sensazioni evanescenti, brevi, a volte intense, ma di natura fugaci. I sentimenti, invece, rappresentano una vera e propria ossatura, ciò che permane più intenso e duraturo nel tempo. In quest’ottica l’amore è appunto un sentimento e, per naturale contrappasso, dovremmo dire che anche l’odio è un sentimento, a volte più intenso dell’amore stesso. In realtà la parola contrappasso sarebbe errata perché, inversamente a quanto si pensi, l’opposto dell’amore non sarebbe l’odio bensì l’indifferenza che cristallizza ogni tipo di emozione conscia ed inconscia. Quando nel nostro io compare l’indifferenza, nei confronti di una determinata persona, è allora che la nostra relazione o il nostro rapporto, sia di amicizia, di affetto o di passione amorosa, può considerarsi davvero finito, estinto, trapassato. L’odio non segna affatto la fine di un legame (qualsiasi legame esso sia) ma porta ad una sorta di ambivalenza affettiva che modifica le nostre percezioni e le sensazioni come un abile trasformista. L’odio si nutre di sensazioni esponenzialmente contrastanti, di incomprensioni, di cose dette o non dette, di risentimento ed è, spesso, così ben nascosto nei meandri della nostra mente che, per alcuni versi, è difficile, se non impossibile da sradicare. A volte ha radici così profonde che, per assurdo, si può nutrire dello stesso odio verso se stessi. Eppure odio ed amore sono due facce della stessa medaglia: la passione. Spesso, o forse dovremmo dire sempre, si tende ad odiare ciò che si ama e non si può avere, oppure si tende ad amare ciò che distrugge. Nelle infinite sfaccettature dell’animo umano, vivere un’esistenza senza passione, senza travolgimenti e capovolgimenti affettivi, appare misera, infinitamente povera, quasi asfittica. Già Catullo, nel suo famoso epigramma ODI ET AMO, senza l’aiuto di alcun encefalogramma, percepiva la stretta relazione tra i due sentimenti. Secoli dopo alcuni ricercatori dell’University College London hanno chiarito “scientificamente” il principio che “gli opposti sono tendenzialmente portati ad attrarsi”. I ricercatori hanno fotografato la mente di un gruppo di volontari impegnati a guardare la foto di qualcuno che detestavano con tutto il cuore ed hanno scoperto che a livello cerebrale esiste il c.d. “circuito dell’odio” che si sovrappone, in parte, con quello dell’amore. “Circuito” che va a coinvolgere una zona della corteccia frontale ed altre due distinte strutture della sottocorteccia: il putamen e l`insula. La prima rappresenta la parte esterna e rossastra del nucleo lenticolare connessa alla percezione di disprezzo o disgusto e può essere coinvolta nella preparazione di atti aggressivi anche, magari, in un contesto romantico (pensiamo alla presenza di un rivale in amore). La seconda rappresenta un’attivazione di risposta a segnali di agitazione ed ansia. Nell’attivazione di queste due zone della sottocorteccia sarebbe insita la ragione per cui amore ed odio sarebbero interconnessi. Difatti entrambe le aree si attivano anche nel caso dell’amore romantico. In questo caso la prima potrebbe essere coinvolta nella fase di preparazione di azioni aggressive all’interno di un contesto amoroso (esempio quando sussiste un potenziale rivale) mentre la seconda potrebbe essere coinvolta come risposta agli stimoli della sofferenza, un viso amato o odiato potrebbe costituire un segnale di sofferenza. Volendo sintetizzare, la sottile differenza tra odio ed amore sarebbe la seguente: una vasta area della corteccia cerebrale si DISATTIVA nel caso dell’amore mentre nel caso dell’odio solo una MINIMA AREA SI DISATTIVA. Ci troveremmo di fronte ad una sorta di INTERRUTTORE “a zone” della corrente elettrica cerebrale. Ma allora esiste un interruttore dei sentimenti? (fine seconda parte – EmanuelaSicaCopyright).
Se non respiri attraverso la scrittura, se non piangi nello scrivere, o canti scrivendo, allora non scrivere, perché alla nostra cultura non serve. - Anaïs Nin -
LA CHIMICA...
L’ho detto sempre, ho sbagliato mestiere. Avrei dovuto seguire le mie inclinazioni naturali e scegliere di studiare chimica e non giurisprudenza. Effettivamente mi sarebbe servita una buona dose di cognizioni chimiche per capire il senso delle cose, o forse di ogni cosa. A partire da quelle più importanti fino ad arrivare a quelle più leggere. Quelle che, per intenderci, ci fanno battere il cuore. Avrei scoperto con largo anticipo che il cuore, a quanto pare, non serve assolutamente a farci amare le persone. A farci essere ciò che siamo. In effetti andrebbe relegato alla mera condizione di muscolo che, meccanicamente, ci tiene in vita. Se poi qualcuno si azzarda a dire che ha qualche implicazione nel fenomeno “chimico” dell’amore…può essere tacciato di estrema ignoranza. Vediamo di capirci qualcosa. Secondo un recente studio antropologico in ogni processo vitale e sensibile un ruolo preponderante se non unico appartiene alla chimica. In sostanza dalla base cellulare alla costruzione dell’essere vivente tutto è riportato a fenomeni chimici. E fin qui nulla-quaestio. Particolare attenzione è caduta sul ruolo della chimica in amore, quello di cui parlavo all’inizio riferendomi al ruolo, praticamente assente, del cuore. Quello che renderebbe “eterno” l’amore non sarebbero la comprensione, l’affetto, l’impegno reciproco (o altre emerite fandonie che ci propinano filosofi e psicologi). La lunghezza infinita del sentimento amoroso (c.d. “eternità”) sarebbe essenzialmente collegata a due sostanze chimiche presenti nel cervello. L’uomo avrebbe, ben nascosti nei gangli cerebrali, quattro tipi di personalità: gli esploratori, i costruttori, i direttori ed i negoziatori. Ognuna di queste personalità differisce dall’altra a causa, appunto, della chimica cerebrale. Precisamente quello che modifica l’atteggiamento è la variazione dei livelli di dopamina e serotonina. Sostanze che, sempre secondo questo studio, sarebbero implicate con il ruolo svolto dal testosterone e dagli estrogeni. La serotonina determina un atteggiamento fedele, pacifico, tranquillo, dando vita ad una personalità “costruttiva”. Se invece è presente in maggior quantità la dopamina allora è possibile che la personalità non sia per niente fedele o tranquilla ma che sia sempre alla ricerca, per così dire, di novità (e non aggiungiamo altro). Per contro, chi presenta elevati livelli di estrogeni ha una personalità alquanto fantasiosa e decisamente socievole. Chi, invece, ha alti livelli di testosterone mostra una mentalità concettualmente severa, rigida. In questo calderone di chimica emozionale persino le fasi dell'amore possono essere rilette alla luce dello studio antropologico predetto. Quello che chiamiamo (a questo punto impropriamente) “amore romantico” sarebbe essenzialmente legato alla produzione di dopamina. Cosa avviene nel nostro corpo quando cadiamo nella rete (chimica) dell’amore romantico? Si inizia col non dormire, si mangia pochissimo o nulla, segue la perdita di peso ed il nostro pensiero è totalmente devoto all’altra persona. Insomma si diventa ossessionati o ossessivi per i bassi livelli di serotonina. Anche l’elevato tasso di testosterone provocato dall’eccitazione sessuale può indurre un’elevata produzione di dopamina nel cervello e scatenare l’amore. E la fase passionale? Qui invece la fa da padrone la feniletilamina (PEA) (un ormone eccessivamente delinquente simile all’anfetamina) che produce esaltazione, unito (ovviamente) all’aumento delle prestazioni psicofisiche. Questa condizione ormonale, sostanzialmente, droga il cervello provocandone assuefazione e se viene a mancare scatena una reazione depressiva come quella che avviene nel caso di astinenza. Studiosi hanno trovato tracce di PEA nell’acqua di rose e nel cacao e forse è proprio per questa ragione che si regalano rose in fase di corteggiamento e si mangiano cioccolatini (o interi barattoli di nutella) quando finisce un amore. Esiste poi la terza fase dell’amore, quella che porta due persone a consolidare ed ad attaccarsi a lungo termine. Ed anche in questo caso, il nostro cuore non conta nulla. Tutto e ridotto ad un ormone che stimola l’affetto reciproco, quello che poco fa abbiamo chiamato con il nome di attaccamento: l'ossitocina. Un altro pilastro chimico ormonale prodotto dall’ipofisi. Alcuni esperimenti (crudeli) hanno costatato che somministrando ai topi maschi ossitocina questi contribuivano a costruire il nido e a proteggere la prole; se si bloccava la produzione dì questo ormone, invece, divoravano i figli. A sentire queste cose vengono i brividi ma secondo gli scienziati anche i nostri uomini (e non solo le donne) potrebbero essere come i topi (?!). Nella successiva fase dell’amore, quella della maturità, la coppia continua ad essere legata sempre e solo grazie alla chimica. Se si producono endorfine si rimane maturi insieme. Le endorfine sono proteine prodotte dal cervello che hanno un effetto analgesico e calmante. A stimolare tale produzione è la costante presenza del partner. Non so a voi ma a me tutta questa chimica mi inquieta….(fine prima parte - Emanuela Sica©Copiright)
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