DEAMOSTRUOSA

Da quando si ingoia il primo respiro, a quando si perde l’ultimo, pochi secondi prima dell’oblio, sembra un organo incompleto. Nei primi istanti dell’esistenza, quando la vita è ancora acerba, quando si è ancora nudi, ricoperti del sangue materno, è un miscuglio di gorgheggi, di suoni quasi inconsapevoli.
Poi, quando il presente prende forma, quando ci si rapporta ad un altro essere, quando si ha necessità di captare le attenzioni, diventa segno di presenza. Riesce, per lo più, a modulare quel bisogno di sopravvivenza, senza troppe pretese. Quando si è piccoli è scevra di pensieri. Fluida, senza briglie. Quasi disinibita nella sua ambizione di trovare espressioni sempre più precise, sempre meno incomprensibili. Però è ancora pulita dalle convenzioni. E’ materia cellulare utile ad esplicare una parola, un concetto semplice. In seguito, quando la società, i costumi, intervengono sulla materia, quando il vissuto diventa maturità, è solo allora che prende la sua forma originaria. Quella per cui sarebbe stata creata. Sarebbe, perché non sempre il progetto assume la forma ideale. Qualcuno, suo malgrado, per un ingiusto segno del destino, è costretto a convivere con la sua assenza. Si dice che questa sia una delle più atroci sofferenze che l’uomo possa subire. Chi la possiede, invece, sa di avere una dea bellissima, come compagna di viaggio. Eppure dovrebbe sapere che possiede anche Medusa. C’è stato un tempo in cui Medusa era una bellissima fanciulla. Il suo nome rappresentava i cicli del Tempo, con i suoi stadi di passato, presente e futuro. I Cicli della Natura, con i suoi stati di nascita, morte e rinascita. Medusa, guardiana di immensi tesori e grande mediatrice dei regni del cielo, della terra e di quello sotterraneo, aveva in sé la capacità di costruire e distruggere. Era la verità ultima oltre ogni possibile dualismo. Eppure, nell’immaginario Greco, denotò un salto, un filo che si spezza. Sembra sia stata tutta colpa di Atena: in un impeto di rabbia e di antagonismo femminile trasformò la stupenda Gorgone, amata da Poseidone, in un mostro. La capigliatura tramutata in un groviglio di vipere, i suoi denti in zanne. Un mostro il cui sguardo pietrifica ogni creatura vivente. Ciò che l’uomo possiede è, quindi, un grande tesoro oppure un immenso tormento. E’ la lingua: il segno distintivo dell’uomo dall’animale. Tuttavia è ambigua, spesso mutevole. Ha parecchie vite che si confrontano e si scontrano a ripetizione. Spesso in accordo, altre volte in antitesi. Spinta dal cervello, dal ragionamento, scatta a comando, si muove negli argini della riflessione. Spinta dall’impulso non si lascia frenare. Perde ogni cognizione di causa. Diventa un aggeggio convulso, travolgente. Avere un cervello pensante senza una lingua che riproduce quei pensieri in suoni, parole, è come avere la chiave di accesso al paradiso e non trovare mai la porta. Provare delle emozioni, le più disparate e non poterle esprimere in verbo significa mostrare il fianco all’incomprensione, spesso al malinteso. La lingua è uno strumento fondamentale per l’essere umano, per essere ciò che vogliamo. La lingua articola vocaboli, ci fa parlare. La lingua articola pensieri, ci fa ragionare. La lingua definisce un concetto per la condivisione all’esterno, ci fa comunicare. La lingua analizza i sapori, ci fa gustare. La lingua misura la passione di un bacio, assapora quella sensazione, quel sentimento, che comunica l’altro corpo.  La lingua pesa la dolcezza o la freddezza di un amore che inizia o che non ha più significato. La lingua è al nostro servizio ma può anche sottometterci. Può farci inchinare al male, alle cattiverie, alle invidie. È uno strumento di difesa e di offesa. È un’arma a doppio taglio. Diventa lama affilata, una spaccatura sull’esistenza, una frattura, un segno di distruzione. Talvolta è foriera di morte, quando esprime un concetto definitivo senza diritto di replica, senza appello. E non è solo la morte fisica il suo obiettivo. La lingua è capace di uccidere anche senza le armi convenzionali. È capace di materializzare la fine di una persona. È capace di generare la morte sociale. In quel caso diventa discredito, maldicenza, denigrazione, calunnia. Diventa una freccia avvelenata che si conficca nel tessuto sociale e crea una percezione ingannevole della realtà. Altre volte, usata a dovere, diventa strumento di accusa. Fondamento di prova. Testimonianza di verità. Quando si prende coscienza che dire il vero può distruggere un sistema di illeciti, allora diventa paladina della giustizia. Diventa unico argine alla criminalità delle coscienze assopite dal non vedo, non sento, non parlo. Allora diventa catarsi, ci purifica dagli spettri che si agitano sul mondo. Ecco cos’è la lingua. Può consegnarci al paradiso dell’anima e dei sensi, attraverso la poesia del linguaggio, della ragione. Oppure può gettarci nella Geenna della perdizione e, come Medusa, può pietrificare ogni cosa.

Il canto delle Muse. I libri del mio tempo

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