Variazione Madre. Federico Preziosi


INCIPIT

Variazione Madre è una silloge poetica, nata dalla feconda e sonora penna di Federico Preziosi, inserita nella collana di Controluna: Lepisma floema, I poeti segnalati da Giuseppe Cerbino. Il libro si articola in due sezioni: Canti e Disincanti. La dedica del libro è "Alle madri che mi hanno messo alla luce" a cui segue una citazione di Amelia Rosselli "la verità è un evento/di cui bisogna vendicarsi" tratta da Appunti sparsi e persi

🔗Piccola notazione, la scrivo in corsivo e in un carattere più piccolo perché serve più a me che al lettore il quale, volendo, la potrà del tutto escludere dalla sua attenzione. Quando mi preparo alla lettura di un libro "salto" sempre la prefazione (se esiste). La "salto" e non la elimino del tutto bensì vado a leggerla soltanto alla fine, quando ho concluso l'opera. Questo non perché disdegni quello che scrivono illustri poeti, scrittori o critici letterari, la motivazione è più semplice, diciamo quasi terra terra. Non amo immergermi nella conoscenza di un libro avendo già una parte della strada tracciata. Preferisco inoltrarmi nelle parole e nelle emozioni che mi provoca ciò che sto leggendo con una sorta di pulizia mentale che non mi faccia propendere verso una cosa piuttosto che un'altra. Anche in questo caso è andata così. Tuttavia, per costume stilistico, inserisco nell' "Incipit" (di ciò che poi vado a scrivere) un piccolo estratto della prefazione per raccontare tutto quello (o quasi) che c'è all'interno del testo, per provare a sfogliarlo con chi mi sta leggendo, poi proseguo con "Quello che penso di ..." in cui rappresento quello che "a me" ha comunicato il poeta o lo scrittore attraverso il suo libro. 

Giuseppe Cerbino, nella prefazione così ne parla: "Federico Preziosi propone, in questo suo libro, una scrittura che cerca, attraverso la variazione di tipo musicale, di recuperare questa visione ormai annebbiata, questa sapienza perduta nelle lotte e nelle guerre dei sessi. Nei femminismi come nei maschilismi prevale sempre la differenza che “occhi e orecchie” testimoniano e paradossalmente non fanno davvero “vedere” e “sentire”. Quando Flaubert, per esempio, dice: «Madame Bovary sono io» ripete in fondo questa sapienza perduta. Se non ci si occupa dell’umano non possiamo entrare nemmeno nelle particolarità che in esso si dispiegano; se non ci si occupa dell’umano non possiamo dire “io” impersonando una donna senza il rischio di ambiguità di genere. Oggi siamo abituati a pensare che dolore e felicità siano ad appannaggio di certe categorie umane che vengono o umiliate o esaltate e in questa polarizzazione cisi dimentica che siamo tutti all’interno del consesso umano. Nelle più classiche espressioni della letteratura, il mondo femminile è sempre stato dall’uomo idealizzato sulla base di alcuni paradigmi. Basti pensare ai modelli danteschi e alla figura di Beatrice, giusto per fare un esempio stranoto. (...) Il tentativo dei testi che compongono questa silloge di Federico Preziosi non è più quello di una “sacralizzazione” del femminile attraverso cui, in vari modi, il maschio viene sottratto al suo inferno (pensiamo alla figura di Clizia in Montale) ma quello di avviare un processo di immedesimazione con l’inferno femminile a cui nessuna donna pare sia stata sottratta. Il libro si apre con dei versi che danno la misura di questo percorso. Sono nata dall’incesto di una Madre/da un sangue rappreso in due palmi di mani/cosparso sul ventre in un mattino/in novembre, sul tramonto dell’autunno.

QUELLO CHE PENSO DI VARIAZIONE MADRE

Sono su un 45 giri che si muove, nella sua naturale dimensione e produce la sua essenziale materia sonora, in un tempo indefinito che sa di passato, di presente e tira sguardi al futuro senza restarci appeso. In questo giro la mia mente si slega dal corpo, lo fa perché attraversata da molteplici note di canti che, lentamente, vanno a smaterializzare quel "reperto" musicale tale da far comparire, al suo posto, una traccia semantica di sonorità ultra evolute, moderne, eppure attrattive, cardine di scardinamenti emotivi. Come se qualcuno incastrasse dei puzzle che, prima di comporre un'immagine, emettessero dei suoni. L'immediata percezione, alla lettura di Variazione Madre, è (per me) questa. La musicalità delle parole, legate al filo conduttore dell'idea o dell'essenza femminile, si riannoda stretta eppure fugace alle metempsicosi del poeta che trasmigra senza una meta predestinata nei corpi e nelle anime delle sue immaginazioni che hanno come figura inziale un corpo di donna ma che non si riducono solo a quello. 

Il magma del vissuto e dell'alea del domani - di quello che c'è nel substrato della pianta e di quello che la pianta porta come frutti alla luce, nelle caverne scavate dalle radici alla ricerca del nutrimento, come il feto che si lega al cordone per trarre vita e vitalità dalla terra che lo raccoglie, il ventre della madre - si muove nel dire del poeta che si allinea con le stagioni del suo vivere e ripaga il tempo della lettura con creazioni poetiche eufoniche* senza alterazioni rilevabili, senza interruzioni o tratti di diplofonia, con le armoniche ben rappresentate.  

Le poesie di Federico sono, ognuna, un parto fecondo che ha legami con il mondo e con i suoi innumerevoli particolari senza generalizzazioni, senza le stasi asfittiche dello scontato, del principio che indica la necessaria inclinazione dell'uomo, senza qualcuno che, come un "profeta", indichi delle verità assolute. La crasi, che fa di necessità e virtù, delle liriche parte dall'appropriarsi del suono, del timbro e della sua esclusiva intenzione ma senza volersi fare obbligo per chi legge. 

La parola non è abbellita è denudata, la si percepisce nella sua carnalità, nella sua pulsazione più intima e non sottaciuta, il poeta si ribella quasi alla tela del non detto ma dice e lo fa come falda che dal sotterraneo del suo vissuto arriva alla superficie e pretende di venire alla luce: "leccherei terminando l’ora/ il pianto sulla pelle: dell’orgoglio non ho pietà/ fingendo la bellezza e la poesia."

Viene così disvelata e scoperta non una ma tante, innumerevoli nascite, tante quante sono le madri che le mettono al mondo ma anche gli aborti che, necessariamente, mettono i puntini sulle i come inganni, indecisioni, incomprensioni, ingiurie, incesto…tali da indurire le coscienze di chi ha vissuto senza la carezza rassicurante dell'amore. 

Chiaro è il concetto basilare da cui l'autore parte. Non si nasce una volta sola e da una sola esistenza, da un solo corpo, da un solo caldo liquido amniotico, ma rinasciamo in ogni singola circostanza che ci accade, che ci assale, che ci avvolge e ci travolge. Ribaltata del tutto la concezione distintiva uomo donna, non solo sessuale ma anche simbolica e organica, l'immedesimazione è partecipazione attiva, fin nel limbo cellulare, alla femmina-madre-donna ma anche con quella che questa triade la rifiuta, la rinnega, la allontana, giocoforza o per volontà di sopravvivenza, dal proprio orizzonte. Sicuramente la donna è anche dolore ma prevale la sensualità, almeno nell'accezione più bella del termine, senza i preconcetti materialistici del corpo oggetto ma come soggetto che della sua eleganza e dei suoi tratti delicati si rivela, comunque, concerto di primavera. Senza tendere la mano all'osso delle forme e dei destini che si fondono e ribaltano spesso la concezione stessa dell'essere al mondo, nonostante tutto e tutti le armonie suonano e si riversano "...in canzoni a colpi di suoni/ e faccio di fughe continui raggiri/ nei raggi del verso/ il nesso mi strugge/ cade la stella e rido che scema!"

Nella sua opera poetica l'autore cola argilla su quello che è un suo "sentire" tale da renderlo palpabile, "toccabile" perché inscindibile dal modello tattile, a chi si avvicina alle sue emozioni. Il diventare qualcosa che non si è tuttavia non solo è un funambolico gioco mortale ma può essere un esperimento di "riviviscenza" che ha, al suo interno, un significato più profondo. Trovare equilibrio dove equilibrio non esiste, rappresentare l'origine del sesso femminile e i misteri che lo circondano, renderlo virale nelle sue caratteristiche più pregnanti senza scadere nel preconcetto o nel tabù o addirittura nel dogma è un processo di indagine in cui l'autore si immerge come un investigatore dell'ignoto e non dell'occulto, perché è una ricerca di ciò che è sotterrato nella sua coscienza e che si mescola a percezioni vecchie e nuove spesso irrisolte, violate o addirittura abusate dagli archetipi patriarcali maschili. Da qui l'autore rilancia essenze delicate e severe allo stesso tempo in un andirivieni di tesi ed antitesi, molto spesso senza alcuna via d'uscita. Ma forse la bellezza o la stranezza di alcuni percorsi è proprio che non ci siano vie d'uscita. E ancora, nell'ottica della vita e dei suoi disarticolati compromessi, la percezione è quella disillusa e fatta "...di giochi e finzioni. la vita/ come la morte. il ciglio/ come il burrone. la sedia/ come il trono."

Se poi pensiamo cosa voglia dire variazione e perché la si colleghi alla madre il passo è breve ma non semplice come appare. Prendiamo, un attimo, spunto dalla Treccani solo per quanto attiene la parola e i suoi risvolti musicali, tralasciando il resto: Variazióne s. f. [dal lat. variatio -onis, der. di variare «variare»]. – 1. Con riferimento al valore trans. del v. variare: a. Il fatto di variare, di portare o di subire qualche cambiamento nell’aspetto, nell’ordine, nell’andamento di qualche cosa, e la modificazione che ne risulta. Nella composizione musicale, modificazione di un pensiero musicale in sé compiuto ottenuta intervenendo sulla melodia, sul ritmo, sull’armonia, sulla strumentazione (ove vi siano più strumenti), sulle combinazioni contrappuntistiche di esso, operando separatamente o no ma in modo tale da consentire la riconoscibilità del tema di partenza; tale procedimento composito ha dato origine alla forma del tema con variazioni, in cui a un tema iniziale solitamente breve e di semplice stesura seguono un certo numero di ripetizioni di esso, variate secondo tali criterî. 

Ebbene, il titolo non deve trarci in inganno, chi si aspetta di trovare nel libro le immagini stereotipate delle donne rimarrà deluso. In Variazione Madre non vi è né Beatrice, per dirla con le parole di Dante, né Pina (Anna Magnani in Roma città aperta) per dirla con le parole di Rossellini. Le donne di cui l'autore prende la pelle - in una sorta di vestizione e immedesimazione catartica - sono esseri fragili, cristalli incandescenti, ancora in evoluzione (o involuzione dipende dai lati di indagine) in una stanza piena di statue di pietra. Certo non sono modelli che rassicurano il lettore ma sono i più reali possibili. In uno schema quasi anatomico, come quello che si compie su un letto di marmo, o esame post-mortem, vengono dissezionate tutte le interiorità e lasciate, nella loro autenticità, alla comprensione di chi legge. E forse tutti non ne comprenderanno davvero il senso. Dettagli, la poesia vive anche nei dubbi che genera, tanto in quella che si spalma come significato intrinseco, direi balsamico, nel pensiero, quanto in quella che s'ammassa come sabbia a soffocare la ragione. 

Per Federico la donna è un "essere" atomico dotato di forze straordinarie e anche di debolezze estreme. Forza creatrice ma, al tempo stesso, elemento sessuale in cui valgono le declinazioni, tutte, che lui stesso da al ventre. In quel luogo ancestrale e magico, conosciuto per alcuni versi ma sconosciuto per altri, avvengono tutte le fasi della vita. Dalla nascita, passando per la fecondazione ed ancora prima per l'amore che muove quell'atto materiale, anche quando è ridotto a puro sesso, ed ancora passano per quell'antro, che è buio e luce insieme, avviene altresì il mutamento, l'evoluzione ed anche il lutto. 

In questo la donna ha, rispetto all'uomo che non lo possiede, una visione dell'esistenza a 360 gradi in ogni sua minima consistenza, fatalmente sanguigna, nella duplice accezione di Grande Madre - come divinità femminile primordiale rinvenibile nelle popolazioni preistoriche e la cui figura rimanda al simbolismo materno della creatività, della nascita, della fertilità, della sessualità, del nutrimento e della crescita, continuò ad essere conosciuta (per i Fenici era Ashtoreth, per gli Egizi era Hathor, per i Greci era Cibele ed esprimeva l'interminabile ciclo di nascita-sviluppo-maturità-declino-morte-rigenerazione) - e anche in quella demoniaca di Lilith - il demone femminile associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazia, malattia e morte, rappresentata da un insieme di demoni e spiriti legati al vento e alla tempesta e che nell'Ebraismo era demone notturno, una civetta che lancia il suo urlo capace di portare danno ai bambini di sesso maschile e caratterizzata dagli aspetti della femminilità considerati negativi: adulterio, stregoneria e lussuria. Una figura questa che, associata al concetto della Grande Madre, alla fine dell'Ottocento, in parallelo alla crescente emancipazione femminile nel mondo occidentale, diventa il simbolo del femminile che non si assoggetta al maschile.

La sintesi di quest'opera [a mio avviso straordinaria e innovativa] può essere ricondotta a una sola parola: metempsýkhosis ossia "trasmigrazione dell’anima" [da metempsychôusthai: trasmigrare da un corpo a un altro + da émpsykhos "essere animato" + psykhé "anima" col prefisso en che vuol dire "in" unito al prefisso prefisso meta che vuol dire "oltre"] di una, cento, mille donne nella mente del poeta e che, come tanti personaggi in cerca d'autore, lo hanno convinto a raccontarle, a farle venire alla luce.  

*Dal latino tardo euphònia, dal greco euphonía, composto di êu 'bene' e phoné 'voce'. ... In sé l'eufonico racconta ciò che produce un gradevole effetto all'udito, e si oppone al cacofonico.

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