sabato 25 aprile 2015

Resto - Sono nell'anima un lupo

In questa immensa Irpinia voglio vivere il presente, attendere il futuro. 
Resto, inconsapevolmente vivo, nella terra dei miei natali. 
Senza il bisogno di sapere perché, senza attendere la salvezza. 
Perché sono nell'anima un Lupo ed il mio spirito è vincolato a lei. 
La terra che mi ha generato.
Io la vedo e Lei non ha modo di nascondersi, è ovunque.  
Lascia che il mondo le cammini addosso. Senza dire una parola. Senza fiatare. Accoglie ogni cosa, la fa sua, marchiandola con il fuoco del suo nucleo vitale. 
Ed anche quando una fame vorace l'assale, fertilizzante per la sua linfa, si prende giusto il tempo di morire per poi rinnovarsi nuovamente. 
Non serve girare lo sguardo nel vuoto, basta fermarsi in un campo incolto. Raccogliere una zolla, sfregala nella mano. 
Ha consistenza e colore, quasi una fragranza familiare. 
Solco che incolla la vita ad una vita, ci sporchiamo di lei, di quello che è. Ancestrale è la sua origine. In essa ogni cosa si fonde.  
Se mi fermo ad ascoltare, posso sentire la sua voce.
Dalle profonde depressioni delle vallate, si inerpica lungo i crinali. 
L’esplosione del mattino la moltiplica. 
Infinite schegge si conficcano nelle cellule di ogni essere vivente e prende dimora dentro di noi, senza fare differenza.
Afflato e lignaggio di tutto quello che sarà, si fonde nel tempo, il nostro tempo. Tempo che la rende uguale e diversa ogni giorno. 
Tempo che scorre, impaziente, per vedere le orme dei miei passi che si fermano a riposare. 
E quando sarò lì, sentirò il caldo ventre della nascita. 
Ha braccia solide e profonde per accogliermi al sicuro dagli spettri della notte. Morire per lei non sarà mai una fine ma la riscoperta di quello che eravamo in principio. 
Lei è la terra, quello che eravamo prima di prendere forma e respirare.  Lei è la madre e la matrigna, il principio e la fine di ogni cosa. 
Ed io, in questa terra, mi sento un figlio ed un padrone. 
Dallo strappo ombelicale al primo vagito, la mia carne prende forma, la voce segue il passo. 
Ululati che prendono la salita di un respiro. Respiro prima asfittico e poi così grande da contenere tutta una vita: la mia. 
Mi ritrovo come nel cono di una bottiglia, la terra mi chiama. 
Vuole essere abitata, vissuta, amata, protetta, anche con i denti. 
Denti affilati, taglienti, magari sporchi di sangue. Sangue di fame e miseria. Sangue di lavoro e abbandono. Sangue di silenzio e umiliazioni. Sangue di illusioni e negazioni. 
Sangue necessario per la sopravvivenza.
Da dove esco entro: dal grembo di mia madre alle verdi terre di questo immenso paesaggio dipinto dalla storia.  
Il destino ha segnato questa carne nella terra dei lupi, scenari e dimensioni che tracciano un silenzio quasi assurdo. 
Appartengo a questo luogo, spazio condiviso con l'anima inquieta. Sintesi di giorni neri e bianchi. Senza, potrei diventare evanescente, sparire. 
La genesi è questa, un lupo che scende dai boschi. 
Un cesello di rabbia nella quiete di luoghi meravigliosi. 
Potrei cibarmi solo di ricordi, rimarrei un cucciolo per sempre. 
Eppure non si può evitare il pensiero di fuggire. 
Vedo una via d’uscita, l’angolo dove incuneare il distacco. 
Se corro e non mi fermo, potrei lasciarla senza rimpianti, romperei il vetro, anelerei la fusione in altre vite. 
Non ho il coraggio di scappare. Ho la forza di restare.  
Voglio rimanere, gli spiriti chiedono vite da osservare, fiammelle per rischiarare le notti del passato. 
Non c’è nessuno che voglia essere veramente dimenticato. 
In questa immensa Irpinia voglio vivere il presente, attendere il futuro. 
Resto, inconsapevolmente vivo, nella terra dei miei natali.
Senza il bisogno di sapere perché, senza attendere la salvezza. 
Perché sono nell'anima un Lupo ed il mio spirito è vincolato a lei. 
La terra che mi ha generato.

lunedì 20 aprile 2015

LINEE...

"se siamo pronti a correre il rischio possiamo finalmente vedere che la vita…dall'altra parte del confine…è spettacolare"

A volte basta un giro di sguardi per comprendere quello che ci circonda. Per recepire quello che separa o avvicina una cosa, una persona, al nostro nucleo di vita. Distanze e vicinanze, due elementi interdipendenti che possiamo calcolare anche in termini geometrici. La vicinanza è qualcosa che ci mette a pochi centimetri dall’altro. Quando è intima diventa senso di appartenenza. In questo caso il nostro nucleo si fonde con quello di un altro ed i centimetri spariscono. Pensiamo al rapporto madre/figlio oppure a due amanti. Quando è amicale, la maglia si allarga e si sviluppano relazioni tra persone che si sentono a proprio agio, si è più obbiettivi e meno invischiati come accade nella relazione intima. Quando è sociale, infine pubblica, aumenta lo spazio. Qui ci sono i contatti meno profondi, più convenzionali, formali o quelli regolati da precisi protocolli (ad esempio la distanza che separa l’insegnante dalla classe, il manager dai dipendenti). Possiamo però, in ogni caso, azzardare che all’origine di tutto esiste una linea. Linea che fruttifica altre linee dando origine ad una reticolata architettura fatta di confini. Confini che dividono spazi. E non parliamo di spazi territoriali/geografici bensì della nostra geografia emotiva. Di quei confini tra noi e gli altri. In questo caso oltre alla vista, che ci aiuta nell’empatia o nel rifiuto (pensiamo ai neuroni specchio che ci mettono nella condizione di avvicinarci all’altro), altri sensi giocano un ruolo importante nella percezione delle distanze. Il tatto ci permette di toccarle, sentirci vicini; di respingerle, sentirci lontani. L’olfatto ci permette di mediare la vicinanza o lontananza in base all’odore che ha l’altro. L’udito invece ci permette di recepire informazioni sulla vicinanza emozionale. Il tono, il timbro della voce, ci mostra l’emotività dell’altro e quindi la sua distanza da noi. Così, se andiamo oltre il raggio della realtà, ecco cosa appare nel territorio dell’essere umano, quello seminato dalla vita. Il più delle volte esistono delle barriere che mettiamo tra noi e l’altro. Altre volte sono delle interfacce, un modo per dividere ma anche per mettere a contatto pressioni contrapposte, fonti potenziali di conflitti e tensioni. I confini che l’uomo stesso traccia, invisibili, nella sua vita, diventano relazioni con il simile e contrapposizioni col diverso. Qui i confini sono definiti per creare differenze, per distinguerci dagli altri. Creando differenze incidiamo sulle probabilità, modificandole. Rendiamo certi eventi probabili, altri meno, se non addirittura impossibili. Poi ci sono quelli che chiamiamo confini spontanei, creati naturalmente per evitare una commistione. Ogni confine, però, ha una falla che spesso espropria il concetto stesso di identità privata. Di quella proprietà sentimentale o intellettuale che ci siamo creati. Parliamo del destino. Destino che modifica i confini facendo nascere incontri, interazioni, creando fusione di orizzonti cognitivi. Questa è (chiamatela come volete) l’innaturale o naturale risposta a chi crede che il confine protegga dall'inatteso e dall'imprevedibile. Quando si ha paura, quando si è paralizzati dalle preoccupazioni che ci rendono incapaci di agire, in quel momento facciamo subentrare i confini. Le linee spinate che ci separano e dove, virtualmente, ci muoviamo e ci diamo sicurezza. Ma, facendo questo, riduciamo tutto ad una questione di linee, di confini. E’ vero però che, molte volte, le barriere sono necessarie per sopravvivere. Spesso gli altri sono troppo complicati o troppo opposti e confliggenti con il nostro mondo privato che, nell’ipotetica interazione, sappiamo già chi sarà ad uscirne ferito. Ed allora occorre mettere dei particolari confini, chiamiamoli di sopravvivenza. Tracciare quella linea immaginaria e pregare intensamente che nessuno sconfini, che nessuno l’attraversi contro la nostra volontà. Poi, ad un certo punto della storia, si comprende, che i confini non tengono solo fuori gli altri ma servono a soffocarci. Se abbiamo scelto di vivere in uno spazio che ogni giorno traccia un nuovo confine, vediamo che il nostro metro quadrato si restringe a dismisura. Allora comprendiamo che abbiamo due opzioni: sprecare la vita a tracciare confini oppure decidere di vivere superandoli (anche se ci sono, spesso, dei confini che è decisamente troppo pericoloso varcare). Però se siamo pronti a correre il rischio possiamo finalmente vedere che la vita…dall'altra parte del confine…è spettacolare.