ACHILLE SENZA TALLONE

Alla fine della corsa, quando il petto attraversa la linea del traguardo, quando gli spot elettrici spaccano l’urlo della folla, allora l’impresa si materializza. La gloria esulta negli occhi, lucidi, del vincitore. Davanti a quella scenografia del trionfo, nessuno osa guardare indietro. Della storia che si lascia alle spalle non ha contezza il mondo. Gli uomini non comprendono quelle sensazioni, quei pensieri in fuga dalla realtà, quella corsa senza gambe, quei respiri affannosi e tremolanti. Nessuno conosce, veramente, cosa sia il dentro. Di quale materia sia fatto. Di quali e quanti puzzle sia composto. Tutti guardano quello che esiste fuori. Quello che è ricoperto dal sole prende la sua forma assoluta. Ciò che è avvolto dalle tenebre rimane padrone del silenzio e dell’oblio. Rimane poca o nuda materia. Senza attenzione. Mai scandagliata. Mai veramente capita. La stampa ci dice cosa dobbiamo leggere. Quale idea dobbiamo farci. Eppure, l’ombra che si cela dietro la notizia, sovente, non è dato vederla. Titoli rimbombanti, tessuti da fili invisibili, diventano simulacri di verità e menzogne. Forse calibrate sapientemente. Forse abbozzate con l’intenzione di farci ragionare in un senso soltanto. Eppure, quello che viene raccontato, spesso, non equivale alla trama che ci viene veicolata. Marionette di immagini e parole si muovono su un palcoscenico illuminato da un faro, fisso ed abbagliante. Faro che acceca ogni possibilità di guardare oltre. Il fatto, l’analisi dei fatti, porta la coscienza critica a definire chi sia il colpevole, chi la vittima. In un susseguirsi di indagini sul movente e  sull’arma, si crea la scena del delitto. Scena che, sadicamente infarcita di retroscena, diventa pasto succulento per i giornali. Per quelli che potremmo chiamare “scoop famelici”. Tutto viene inglobato nella ricostruzione di una sceneggiatura. E più questa prende forma, più la tragedia assurge a protagonista indiscussa del momento. Ha il suo attimo di gloria. Un esempio su tutti? La tragedia del moderno Achille. Un Achille senza tallone. L’ascesa e caduta del Dio della tenacia e della forza di volontà. Consacrato all’Olimpo dei campioni. Descritto, virtualmente dai media, come “l’esempio esemplare dei giovani diversamente abili”. Il suo nome era simbolicamente intriso di un senso primordiale di vittoria. Vittoria su un destino che aveva tranciato, in tenera età, la sua innata potenza. Storia che si ribalta nelle protesi al carbonio che la scienza medica agganciò ai quei gracili monconi. Progresso che ha fatto di un uomo, un uomo bionico. Ma sempre di uomo si tratta. Uomo che ha amato e che fu, forse, riamato da una donna perfetta. Una donna su cui, qualcuno, potrebbe avanzare un dubbio: “amò veramente l’uomo o soltanto il campione?” Certo questo è un dettaglio di “poca o scarsa importanza”, ma rimane, comunque una domanda insoluta. Alla luce di quello che è avvenuto potremmo ipotizzare: “magari le protesi avessero riguardato le braccia...”. La mano al carbonio sarebbe stata in grado di sparare? Qui nasce o dovrebbe nascere la riflessione che non vuol dire assoluzione. Chi era Oscar? L’Achille dei nostri tempi? Eroe invincibile ma assurdamente vinto dalla gelosia? Nessuno si è mai chiesto dove fosse il suo tallone. Poteva avere un tallone se non aveva le gambe? Certo. Le protesi non hanno un vero e proprio tallone. Sono materia inanimata. Sintesi di studi e di materiali moderni. E se il suo intimo tallone fosse stato proprio quella protesi al carbonio? Forse la realtà è più semplice di quanto si pensi. Non era né un Dio, né un semi-Dio, era solo un uomo, fra tante umanità vaganti sul pianeta, ad essersi rialzato dal baratro in cui una malattia tremenda lo aveva buttato. La sua discesa alle glorie dello sport era soltanto quello che il sole rifletteva? Qualcuno si è chiesto cosa fosse stato il suo vissuto? Come il suo cuore batteva di notte? Possiamo dire con verosimile evidenza che, in questo mondo di certezze è tutto incerto. Tutto cambia. Nessuno può essere uguale a ciò che è o che crede di essere. Perché l’Universo va avanti, battendo i secondi di quello che accadrà nella nostra personale clessidra. Forse Oscar era molto più umano che bionico. Forse era un uomo stanco, una vittima di se stesso e della frenesia di uno sport, sempre meno sport e sempre più anabolizzante. Forse, è stato proprio il suo “tallone” ad imbracciare la pistola e sparare. Uno sparo, più che contro qualcuno, probabilmente, contro se stesso.

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