PRIMAVERA ED INFERNO

La primavera ha un fascino segreto eppure visibile. Il suo abbraccio caldo e rassicurante, la rinascita della natura, il suo mistico risvolto emotivo, la dolcezza delle sensazioni appena nate e già immense, da travolgere ogni cosa, somigliano alle piccole gemme che, sui rami intrecciati, si aprono e fanno capolino alla vita. Germogli di sensazioni che prendono corpo anche dentro di me. Stamattina c’è il sole. La notte appena trascorsa voglio lasciarla alle spalle. Faccio una doccia veloce, mi libero del disgusto e della ferita appena inflitta, poi esco. Voglio uscire, sentire il tocco sulla pelle dei primi raggi di luce, voglio farmi spazio nel tepore del sole, dopo tanta neve, voglio rinascere gemma, i petali li ha già recisi lui. Ho dirittto a reclamare un attimo di tregua. Dimenticarmi del male è impossibile ma voglio fare un passo in avanti e non guardare indietro. Sono appena le nove, entro ed esco dalla doccia velocemente, mi asciugo i capelli. Prendo il phon e mi guardo allo specchio. Devo decidermi a tagliarli, reciderei il passato in un secondo. Inizio ad asciugarli. Le mani si infilano nelle ciocche nere e si muovono esperte come sempre. Una nuvola di vapore si spalma sul vetro, forma un’immagine imprecisa. Istintivamente, con una mano, cerco di aprire un varco, di smuovere e cancellare l’opacità appena formata. È questione di un attimo. L’iride percepisce il riflesso e rimango impietrita. Un gioco multifocale di illusioni poi, per un istante interminabile,  il sudore inizia a scorrere dalla fronte senza gererare alcuna goccia. Eppure lo sento scivolare dalla fronte, sul collo, un movimento sinuoso e fendente, come se mi tagliasse le corde vocali entrando dalla pelle. Attimi ancora attimi ed il cuore si inarca, come fosse imbizzarrito, sembra che si sposti dal petto. Avverto uno strappo, un dolore pungente, stringo l’accappatoio ed afferro anche la pelle. Voglio liberarmi di ogni cosa ma non ci riesco. La pelle mi sta costringendo a morire dentro me stessa. Sto per esplodere, lo sento. Il battito mi sfalda le forze. Batte come un pugno di chiodi nello stomaco e nelle tempie. Gli occhi sembrano roteare su se stessi, non riescono ad avere un punto fisso da guardare. Sembra che se ne stia andando anche la vista. Quello che ho davanti, che si proietta nello specchio è l’immagine di una lenta ed improvvisa agonia, senza motivazione e senza senso, ma c’è, la sto vivendo in diretta. Mi sembra di percepire un respiro affannosso che mi fiata sul collo. Ma sono io, è il mio respiro che si fa cupo, intenso. Inizio a singhiozzare. Nella mia bocca non entra ossigeno, solo aria che brucia. Si accavalla con i battiti del cuore e crea un antagonismo perfetto. Assurdo. L’angoscia risale dal pavimento bagnato. Ha la forma di una vecchia corda, rugosa, che si aggrappa alle gambe.  Mi stringe con violenza. Mi blocca nei passi che avrei dovuto fare per uscire dal bagno, per chiedere aiuto. Non riesco a muovermi. Sono pietrificata. Mi guardo intorno, chi c’è che mi osserva? C’è qualcuno che si gode la scena! Avverto una presenza subdola ma non vedo né capisco di cosa si tratti. Vorrei urlare, gridare, piangere, mettermi a supplicare, ma la mia paura cementifica ogni cosa. La mia anima si limita a soffrire senza chiedere aiuto. Dentro di me si ritira la speranza ed entra il dolore. Come uno tzunami mi prende e mi inonda di lacrime. Lacrime che vorrebbero uscire dagli occhi ma rimnangono dentro a sommergere ogni istinto di fuga. Non so ancora cosa mi stia succedendo ma ho una sola certezza: sto morendo. Un movimento repentino delle caviglie e mi ritrovo per terra, come se volessi raggomitolarmi sul pavimento per non sentire più dolore e sento un lamento, che smuove i miei muscoli. Non l’ho mai sentito prima d’ora. È il lamento di una bambina che piange, che si dispera, che dice non farle del male, di smetterla. Quella bambina sono io. Voglio inconscimante riappropriarmi del passato per cancellare il presente. Ed ogni singola fibra del mio corpo continua a tremare insistentmente. Come se fossero trapassate da mille fili di corrente elettrica ad alto voltaggio. Tremo quasi epiletticamente. Una spossatezza sovrumana mi vince. Un nemico silenzioso è entrato nella mia vita stamattina. La primavera è scomparsa nelle fauci dell’Inferno. Contro di lui non esiste difesa. Io mi sono arresa senza dargli modo di combattere per conquistare quel che rimane di una donna distrutta. Poi, come era arrivato, così è fuggito. Ritorna quella sensazione che tutto è passato, l’oppressione che si addolcisce e che, lentamente, diminuisce nella forza e nella potenza. Il polmoni ricominciano a respirare senza fatica. La gola si riappropria della deglutizione. La bocca emette solo un piccolo ma percettibile suono. La mia voce è quella di sempre, sono sconvolta ma viva. Contro con chi ho lotatto? Gli occhi riprendono la loro originaria brillantezza, riescono a guardare di nuovo nello specchio e li ci sono io. Sono di nuovo io. Il panico: è lui che mi ha teso l’agguato, che ha riversato al sua energia distruttiva sulle mie forme, che ha squarciato la calma apparente del mio universo femminile. Travolta, messa a soqquadro, agonizzante, ho appena vissuto il mio inferno privato. Travolta dal tutto, dalle emozioni che avevo forse represso, come un gancio nello stomaco, proprio quando mi ero fermata per dare a me stessa un attimo di tregua. Datemi ancora un goccio di primavera, ve ne prego. Ho sete di vita.  

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