L’immagine dell’uomo è associata spesso a quella del predatore che studia strategie per conquistare la donna dei propri sogni. In realtà non è così. Spesso sono le donne a lanciare i primi segnali, quasi impercettibili a volte, un gesto, una parola, uno sguardo che attiri l’attenzione. Vogliono che quell’uomo si accorga di loro, e una volta che questo accade, il gioco è fatto.
La donna nelle leggende, nella mitologia e nelle fiabe, spesso è stata descritta come una maliarda, una fattucchiera, una maga, che utilizza poteri magici per far cadere l’uomo ai propri piedi; ma la donna innamorata è disposta a fare di tutto affinché l’oggetto dei suoi desideri si accorga di lei e spesso le armi di seduzione che sciorina, vengono utilizzate solo per il disperato bisogno di essere amate.
Il forte potere emotivo che la donna riesce ad avere sul genere maschile, spaventa, disorienta, e per questo è stata ed è oggetto di persecuzione, di sopraffazione, non dimentichiamoci delle donne mandate al rogo nel medioevo perché ritenute streghe, figlie del diavolo.
Forse non è facile capire che la nostra potenza seduttiva spesso nasconde la nostra fragilità, la capacità di donarci incondizionatamente e senza secondi fini, solo ed esclusivamente per amore, né “sante” né “puttane” ma semplicemente donne.
A questo proposito voglio raccontare ai lettori di Plenilunio, la storia poco conosciuta di Liliana Castagnola.
Liliana (Eugenia) Castagnola, a soli 16 anni, negli anni antecedenti la prima guerra mondiale, è già acclamatissima e conosciuta dal pubblico come chanteuse e ballerina e si esibisce in molti teatri europei. La sua fama, artisticamente parlando, non è paragonabile e quella di Lina Cavalieri e della Bella Otero, ma gareggia con loro in fascino e avventure. In scena fa impazzire gli uomini: con la frangetta nera, il sorriso ironico, lo sguardo misterioso e ammiccante, gli atteggiamenti provocanti e sensuali, riesce a scatenare le loro fantasie. Infatti la storia della Castagnola è sempre in bilico fra la cronaca rosa e nera occupando spesso le pagine dei giornali d’epoca che la descrivono come una femme fatale
Liliana viene accusata, in Francia, di aver provocato con le parole «Battetevi a duello, il vincitore mi avrà» … un duello tra due marinai che si contendevano le sue grazie; uno di loro rimane gravemente ferito, Liliana viene espulsa e fa ritorno in Italia, ma questo episodio sembra rafforzare il suo alone peccaminoso. Un nobile genovese si riduce sul lastrico dopo aver sperperato con lei tutto il suo patrimonio e un costruttore milanese le spara due colpi di pistola mentre è nella vasca da bagno, colpendola in fronte solo di striscio ma, si suiciderà credendo di averla uccisa. Un giovane spasimante dilapida per lei tutti i suoi averi e i familiari le fanno causa con l’accusa di averlo plagiato al punto di avergli fatto perdere il senno.
Eppure una donna apparentemente così forte e volitiva verrà letteralmente soggiogata, fino al punto di togliersi la vita, da Antonio De Curtis in arte Totò, all’epoca dei fatti all’inizio della sua carriera artistica.
La donna giunge a Napoli nel dicembre del 1929 scritturata dal Teatro Santa Lucia. Incuriosita dal veder recitare Totò si presenta una sera a un suo spettacolo, destandone l’attenzione.
«È le sette meraviglie e poi da tutto quanto si capisce che è un vulcano, un fuoco, una forza della natura».
Così Salvatore Rubino, segretario e servo di scena dell’attore, gliela descrive quella sera dopo averla sbirciata dal palcoscenico scostando il sipario. Lei è venuta lì da sola, il volto pallido, ombreggiato da un cappellino di velluto nero, getta ombre sui bellissimi occhi verdi. Antonio lusingato e affascinato da questa donna sensuale che lo è venuto a cercare, incurante della cattiva fama che accompagna la ragazza, parte all’attacco certo di riuscire a conquistarla.
Con un biglietto e un grande mazzo di rose Totò, il mattino successivo, inizia il corteggiamento: «È col profumo di queste rose che vi esprimo tutta la mia ammirazione». Lei gli risponde: “Vi ringrazio, gentile signore, per le belle rose che ho gradito con molto piacere, intanto suppongo non vi dimentichiate che dopo un certo numero di giorni queste meravigliose rose appassiranno, che fare per contraccambiarvi? Sabato al Santa Lucia, canterò per voi le mie migliori canzoni”.
Successivamente Liliana lo invita alla Pensione degli artisti Ida Rosa in Via Sedil di Porto, dove abita in un appartamentino composto da un ingresso, una sala da pranzo e una camera da letto, gli si avvicina per donargli una foto nella quale appare con un abito di scena chiaro e vaporoso, i capelli alla garçon, la frangetta a coprire la cicatrice lasciatele dal colpo di pistola, e la dedica: “Totò, un tuo bacio è tutto”. È l’inizio del loro amore.
Liliana sente gli anni pesarle addosso, ormai sta per compierne 35, troppi per il mondo spietato del Café Chantant; ha avuto ai suoi piedi molti uomini, ma, innamorata, crede di aver trovato nel giovane attore la fine del suo peregrinare. Nell’intento di legarlo a sé, gli propone di lavorare insieme “Sarò la tua compagna, la tua artista devota, e ti sarò grata per il bene che mi farai”. ma, Totò sa perfettamente che la donna non sarà mai la sua partner ideale, inoltre giorno dopo giorno, sta perdendo interesse ai suoi occhi. Lo tormenta con scenate di gelosia e pressanti richieste di stabilizzare il loro legame, assumendo un’immagine scomoda e ben diversa da quella di irraggiungibile seduttrice che ha affascinato l’attore.
Il pensiero del matrimonio o di una convivenza con la Castagnola sono ipotesi lontanissime per Antonio De Curtis; il sentimento della donna è veramente eccessivo per lui, ma per il timore di perderla non ha il coraggio di troncare definitivamente con lei, illudendola. Dopo quasi un anno di liti furiose e successive riappacificazioni accetta, per allontanarsi da lei, un contratto con la Compagnia Cabiria che lo avrebbe portato a lavorare a Padova.
Liliana lo supplica di non abbandonarla ma Totò è irremovibile. Così, disperata la donna prende una decisione estrema: si trucca, si veste con i suoi abiti più belli e nella sua camera della "Pensione degli Artisti" ingerisce un intero tubetto di sonniferi. Prima di morire, scrive al suo amato un ultimo disperato messaggio: “Antonio, potrai dare a mia sorella Gina tutta la roba che lascio in questa pensione. Meglio che se la goda lei, anziché chi mai mi ha voluto bene. Perché non sei voluto venire a salutarmi per l’ultima volta? Scortese, omaccio! Mi hai fatto felice o infelice? Non so. In questo momento mi trema la mano… Ah, se mi fossi vicino! Mi salveresti, è vero? Antonio, amore mio, sono calma come non mai. Grazie del sorriso che hai saputo dare alla mia vita grigia e disgraziata. Non guarderò più nessuno. Te l’ho giurato e mantengo. Stasera, rientrando, un gattaccio nero mi è passato dinnanzi. E, ora, mentre scrivo, un altro gatto nero, giù per la strada, miagola in continuazione. Che stupida coincidenza, è vero? …Addio. Lilia tua” Poi si sdraia sul letto, allestendo la scena in cui verrà trovata il giorno dopo, la mattina del 3 marzo 1930.
Totò, in partenza per Padova, sconvolto si precipita alla pensione degli Artisti. Sa di averla ingannata, di aver sottovalutato la profondità del sentimento della donna, preso dall’idea che avendo avuto molti uomini, non si dovesse sentire responsabile verso di lei.
«È morta, se n’è ghiuta ‘n paraviso!
Pecchè nun porto ‘o llutto? Nun è cosa
rispongo ‘a gente e faccio ‘o pizzo a riso
ma dinto ‘o core è tutto n’ata cosa!»
Il rimorso per la morte di Liliana lo accompagnerà per tutta la vita, al punto che, anni dopo, contravvenendo alle tradizioni, chiamerà la sua unica figlia Liliana al posto di Anna, il nome di sua madre.
Pochi giorni dopo la tragedia, decide che Liliana riposi nella cappella della famiglia De Curtis, al Cimitero del Pianto di Poggioreale di Napoli. Chi visita la tomba di Totò trova, infatti, appena sopra la sua, quella di Eugenia Liliana.
Antonio De Curtis conserverà nella tasca fino alla sua morte il fazzoletto intriso di lacrime e rimmel di Liliana, trovato il giorno del suo suicidio.
Una famosa canzone recita “Che non si muore per amore è una gran bella verità” ma la storia che vi ho raccontato dimostra esattamente il contrario. Come tutti i sentimenti estremi, si può morire anche per troppo amore, per troppa solitudine, per troppo cinismo e indifferenza. Nel nome dell’”amore” hanno perso la vita tante donne, intrappolate in relazioni distruttive e sbagliate. Perché per amare in maniera sana e positiva, dobbiamo imparare in primis a riconoscere e apprezzare il valore della nostra unicità e a volerci bene per quello che siamo: preziose.
Silvia Cozzi
La storia di Liliana e Totò è tratta e riadattata per Plenilunio, dal copione di “Dicono di lei” spettacolo nato da un’idea di Pier Paolo Buzzacconi, scritto e condotto da Silvia Cozzi e Pier Paolo Buzzacconi – Diritti riservati