UNA CURVA



Se mai esistono delle parole per capire il senso della vita, non ce ne sono, almeno io non ne conosco, per comprendere il senso della morte. 
Se possiamo analizzare la vita è perché abbiamo ancora la vista negli occhi, il suono nelle orecchie, l’aria nei polmoni, le pulsazioni nel cuore, il sangue che scorre nelle vene, l’intelletto che mette in moto la ragione, le mani che si muovono ad articolare pensieri, le gambe che non trattengono una corsa, dei passi o un piccolo movimento. Armati di parole, delle più diverse ed elaborate o magari delle più semplici e scontate, possiamo raccontare ogni tipo di esperienza terrena. Farne partecipe il mondo. 
Se riusciamo a definire la vita è perché siamo ancora attori di quella vita. Perché possiamo fare di quella esperienza tesoro e trasmetterla a chi ancora non l’ha vissuta. Perché possiamo capire solo ciò che ci è dato capire. Eppure con la morte questa capacità ci sfugge. 
La morte ha qualcosa di paradossale. La morte è un aggettivo ignoto di cui conosce il significato soltanto chi l’ha sentita nella carne. Chi l’ha fatta sua nel corpo. Sembra un controsenso ma è così. Solo chi ha vissuto la morte sa cosa vuol dire morire. Per il resto, chi rimane, quando la morte ci passa soltanto di fianco, rapendo l’esistenza di una persona a noi cara, non riesce a comprenderne il senso. Magari tentiamo, anche se in maniera imprecisa, di interrogarci, di elaborare, di capire. Ma capire cosa? Si può capire qualcosa che è a noi sconosciuta? Si può capire qualcosa che ci toglie il fiato, le forze e ci lascia immobili, muti e per di più sottoterra? Se esiste una spiegazione biologica non esiste una spiegazione logica che riusciamo ad accettare. 
Per Tiziana doveva essere l’inizio del nuovo anno ed invece la fine era in attesa del suo tributo più grande. Così, in un’ incredula mattina di gennaio, la morte era pronta, nell’angolo, ad aspettarla. Ha atteso che si dirigesse verso di lei. Non ha mosso un passo. Sapeva che presto avrebbe svoltato. E non ha pensato, neanche per un attimo, di guardare altrove, di spostarsi. Non poteva fare nulla per modificare quel percorso eppure il pensiero terreno non comprende e non comprenderà mai il perché di questo sacrificio. Non accetta né accetterà mai il significato della sua presenza. Ma, voglio pensare che quando la morte le avrà mostrato la curva dolorosa da prendere avrà avuto, da lei, una reazione diversa. Il suo coraggio l’avrà travolta. Sorpresa. La sua forza avrà scosso anche il senso stesso della morte. Lei che ha sempre amato la vita. Che l’ha sempre celebrata, l’avrà accolta con fierezza. Accettando quello che doveva essere. Come chi sa di dover bere da quel calice amaro per prendere il suo posto in un altro mondo, avere un compenso eterno più grande di quello terreno. Quel mondo che, per chi crede, si chiama Regno dei Cieli. Così avrà salutato, con uno sguardo umido ed un abbraccio infinito chi avrebbe lasciato. Le sue ragioni di vita oltre la morte: i suoi figli, i suoi genitori, suo marito. Ed in quel momento di terrore e disperazione lei avrà sorriso lo stesso. Avrà sorriso alla morte. Ed i suoi occhi avranno brillato, e brillano ancora adesso, anche se chiusi. 
Perché Titti era così. Riusciva a brillare anche al buio. Ed il suo ricordo, il suo coraggio, brilleranno per sempre nel cuore di chi l’ha amata o anche semplicemente conosciuta. 
Perché la morte è la curva della strada. Morire è solo non essere visto. Se ascolto, sento il tuo passo esistere come io esisto. La terra è fatta di cielo. La menzogna non ha nido. Nessuno si è mai perduto. Tutto è verità e via” (F. Pessoa).


In memoria di Tiziana Scarano


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