WATERPROOF


E’ stato un meccanismo strano. Quello che avevo dentro, per una ragione che neanche adesso ho ben compreso, è venuto fuori senza chiedere permesso. Qualcuno la chiama intimità. Io la chiamo Giovanna. In entrambi i casi sono otto sillabe per dire: ecco questa sono io. Sono io nel cuore. Sono io nell’anima. Sai  tutto di me e mi puoi uccidere quando vuoi perché con te sono disarmata. Si perché questa parola, che più di una parola è un concetto legato mani e piedi alla nostra fottuta esistenza, trasmette, come su un canale satellitare con la parabola difettosa, quella che è la parte più oscura della mia vita. Vita fatta di paure, cadute, frustrazioni e di perché. Vita fatta di domande senza risposte esatte. Insomma, in una parola, quella che potremmo chiamare autopsia di chi siamo, dei nostri veri sentimenti. Quelli che non si riescono a nascondere tra i muscoli, la pelle, le ossa. Allora, quando trovi qualcuno che ti sdraia e ti mette con la faccia rivolta al soffitto e non puoi neanche stringere gli occhi per la luce accecante, capisci che sei nelle mani di chi ti sta sezionando. Ed io non posso dirti dove devi guardare. Da dove è nato questo mio essere due persone in una. Dove si nascondeva quella donna che è uscita in tutta la sua prepotenza. Tu sei il medico. Cerca dove si nascondeva.  Ma ti voglio solo spiegare come sono finita qua. Come sono morta. Com’è morta la donna che viveva in un corpo che non le apparteneva. Tu mi vedi adesso. Vedi la mia fisionomia. Mi vedi uomo. Eppure è apparenza. L’apparenza è come una puttana che non smette di indossare la maschera di una santa e non può essere mai viceversa. Perciò, se affondi il bisturi nel cuore, sentirai la lama che lo taglia in due ma nessun dolore porterà il mio corpo a contrarsi per lo spasmo. Sono sincera. Ho capito fin dal primo minuto che sarebbe stato questo il mio epilogo ma, allo stesso tempo, ho capito che non esiste niente per cui non farei le cose che ho fatto fin’ora. Nel bene e nel male, soprattutto nel secondo caso, ho vissuto. Ed anche quando ho avuto dei calci li ho presi come un modo per fare dei balzi in avanti. Ero ottimista. Poi, quando quello in cui ho creduto è franato nelle mie mani, mi sono sentita come se avessi partecipato ad un gioco al massacro. Dove chi vince non è chi arriva al traguardo ma chi butta la spugna. Chi gioca senza impegno vince, ritirandosi dalla competizione. Chi si impegna senza giocare ma arriva al traguardo, perde. Ed io che ero un’amante dell’arena adesso respiro fango ed acqua sporca. Già, se solo avessi capito che era tutto un gioco a quest’ora non starei su questo tavolo di marmo. Se solo avessi aperto gli occhi e ragionato come si dovrebbe, adesso non staremmo neanche a parlarne. Mi ritroverei, magari, a bere un mojito in un bar del lungomare di Rio. Eppure così non è stato. Ho incontrato lui e lui mi ha cambiata. Ho deciso di smetterla di fare la parte dell’uomo e vivere da donna. Senza risparmiare nulla. Senza maschere. Senza compromessi. Così Giovanni è diventato Giovanna. Se solo ci fosse stato un breviario per smascherare i falsi miti dei “ti amo” detti quasi per inerzia piuttosto che per passione adesso non sentirei questo freddo che mi sovrasta. Sono stato un folle ad amare un altro uomo. A volermi sentire donna, liberamente. Vedete, anche adesso confondo il femminile con il maschile. Folle ad amarlo in una società che mi costringeva a vivere secondo le regole e non secondo coscienza. Dove l’omosessualità sembra essere un concetto accettato solo da pochi filosofi depressi. La sua ultima frase è stata: “non posso fare questo a mia moglie”. Già, lui non poteva amarmi come volevo io. O forse mi amava ma non abbastanza da sfidare le convenzioni. Che figura avrebbe fatto con i suoi genitori? Con i suoi amici? Sul posto di lavoro? Ed io ho solo annuito. Non una lacrima. Avrei rovinato quel velo di rimmel che avevo messo per l’occasione. Eppure, se solo avessi saputo che quel giorno mi sarei uccisa, lanciandomi nel Tevere in piena, di sicuro lo avrei messo WATERPROOF.  

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