RIFLESSO


Spostò una mano leggermente in avanti. Le punte delle dita si sfiorarono appena. Da quell’abbozzato tocco, il ricamo di un’impronta evanescente, sentì che doveva essere tutto diverso. Gli occhi si denudarono del pesante torpore e sgranarono uno sguardo intenso. L’iride riprese il tono della vivacità. Le ciglia, con pochi battiti, fecero pulizia delle lacrime. Le pupille iniziarono a spostarsi in sincrono con quello che avevano davanti. I movimenti, che prima erano veloci, man mano diminuirono sino a fissarsi immobili: occhi negli occhi. Da quel contatto visivo ogni cosa prese l’originaria dimensione. La bambina impaurita uscì finalmente dal suo nascondino. Una donna la prese per mano, togliendola da quella zona d’ombra dove era rimasta ferma per troppo tempo. La portò verso il sole, alla luce degli anni che aveva adesso. In un guizzo di pensiero rivide le sue debolezze ed incastrò, come in un puzzle, ogni singolo attimo della sua vita. Ora che quella persona era davanti a lei, nient’altro aveva importanza. Se prima indietreggiava davanti a quella figura, assiepando i capelli sulla faccia per non farsi guardare, come se la vergogna fosse un muro da innalzare costantemente, adesso aveva fatto un piccolo passo, avvicinandosi. Sul pavimento aveva lasciato cadere i vestiti delle insicurezze, sciolto i lacci dei dubbi, staccato la maschera dei rimpianti. Istintivamente si era portata la mano sullo sterno. Cercava di capire dove fosse finito. Dove fosse finito quel dolore che fino a poco prima era appuntato sul petto come una spilla incandescente. Ora sentiva che era diventato pesante al pari di una piuma. E mentre si chiedeva il perché, era completamente scomparso. Scomparsa la sofferenza di non essere stata amata per quello che era. Scomparso il rimpianto di non aver provato l’ebbrezza di un amore sincero. Poi nella mente si catapultò un ricordo, di quando era stata felice per l’ultima volta. Quando la spensieratezza aveva ancora un significato inconsapevole. Quando le emozioni si lasciavano trascinare dalla leggerezza e non avevano catene pesanti, opprimenti. Allora, come quando aveva fatto il suo primo tuffo nel mare, non ebbe più alcuna esitazione e si diede la spinta. Respirò profondamente, arricciò le labbra, protese il collo e, incollando le mani in altre mani, diede vita ad un bacio. Così, quando le labbra si toccarono, quando la bocca prese lo stampo dell’altra bocca, rivelata nella sua essenza più intima, sulla superficie dello specchio, capì. Da quel bacio riflesso nello specchio, da quel bacio dato a se stessa, capì di dover cambiare il senso di quell’amore. Amore proteso nella direzione opposta alla sua. Capì che per essere riamata, con la giusta intensità, con la giusta dignità, bisognava prima di tutto amarsi. Ed il suo non amarsi aveva, col tempo, creato in lei una dipendenza. Dipendenza o sottomissione consapevole ad un amore che cercava fuori ma che non era mai partito da dentro. Dipendenza che man mano la stava distruggendo. E’ strano ma la relazione più dura, più complicata e più difficile da mantenere è quella che abbiamo con noi stessi. Se riusciamo a sopravvivere a questa, se riusciamo a donarci amore riusciremo a vivere l’amore per gli altri nel modo migliore. Senza dipendenze, sottomissioni, ansie e magari senza paranoie. Ed allora il “mi amo”, togliendo la prima posizione al “ti amo”, dipingerà una  prospettiva diversa della vita, senza ombre, senza inganni. Perché amarsi non è egoismo, è vaccinarsi per obbligo morale di sopravvivenza. Amarsi è cibarsi di dignità in un mondo dove, spesso, digiuniamo per anoressia d’amore.         

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