55 MATTONI

Mario aveva preparato ogni cosa, cavalletti, cazzuola, secchio, cemento, una tavola di legno ed un telo di plastica per non sporcare il pavimento. Con cura sistemava i mattoncini rossi in fila perfetta. Prima una base solida, poi uno sull'altro fino alla cima, per sigillare ogni cosa e fare un buon lavoro. Io lo osservavo in silenzio. 
Ad ogni mattone una parte dei miei occhi si riempivano di ricordi, come un bacino che si riempie di acqua. 
Così, quando i mattoni sono diventati cinquantacinque, c’è stata l’esondazione, la perdita della speranza di vivere solo un incubo e niente altro. L’illusione ha ceduto il passo alla realtà, alla fragilità dell’esistenza. 
Cinquantacinque mattoni, un muro che chiude un rettangolo fatto di calce e pilastri portanti. 
Cinquantacinque mattoni che non lasciavano dentro il dolore ma che lo spingevano fuori senza contegno. 
Cinquantacinque mattoni che rinchiudevano una vita finita, la vita di un uomo: di mio nonno. 
Cinquantacinque mattoni tenuti stretti dal cemento, come strette erano le mie emozioni soffocate in un vestito nero messo per l’occasione. 
Come stretta era la mia infanzia, la mia giovinezza che li dentro veniva sigillata per sempre. E mentre osservavo l’ultimo spiraglio di luce che veniva definitivamente celato, gli occhi erano fissi sull'immagine del giorno prima. 
Io che gli stringevo la mano e gli dicevo di non lasciarmi. Io che, egoista, pensavo a non soffrire la sua assenza mentre lui voleva semplicemente spogliarsi di quell'indumento di pelle terrena ricolmo di sofferenza. 
Lui che voleva abbandonare quel sudario di malattia e percorrere la strada del ritorno dal figlio che, giovanissimo, lo aveva preceduto nell'ultimo viaggio. 
Lui che si era dovuto genuflettere, senza possibilità di appello, davanti a quella morte improvvisa e contro natura. 
Lui che malediceva quegli anni in più per lui e tolti a Vito. 
No, non si può spiegare il dolore né quello che si prova quando viene a mancare un affetto. Quello che si può vedere nelle lacrime, che inondano i volti increduli, è solo una parte di quell'immenso calvario che l’anima soffre davanti ad un trapasso. 
Nessuno può spiegare cosa si provi quando, nel proprio cuore, si apre la piaga della morte. 
Ognuno vive la sofferenza in un modo che è peculiare, il dolore è soggettivo e definirlo diversamente sarebbe un sacrilegio. Se potessi spiegarvi il mio dolore forse non sarei in grado di provarlo come lo provo adesso. 
Se riuscissi a trovare le parole queste sarebbero poca cosa in confronto a quello che ci viene strappato e non ci viene più restituito. Potremmo parlare di dolore all'infinito ed ogni termine non sarebbe calzante. 
Nonno...che strano compleanno il mio, proprio nel giorno della tua tumulazione non c'è nessuna torta a ricordare la mia nascita ma ci sono soltanto cinquantacinque candeline: quei cinquantacinque mattoni che hanno chiuso nel cimitero un pezzo del mio cuore, della mia vita. 
Non ha ragione chi dice che si muore nel momento in cui ha deciso il destino. Penso che si muoia un pezzo per volta, ogni volta che viene a mancare una persona cara, ogni volta che muore un padre, una madre, un figlio, un fratello, una sorella, un nonno, una nonna. Credo che il dolore per quella perdita sia direttamente proporzionale al legame di vita intessuto e trascorso con quella persona. 
Ed io posso dire, senza timore di essere smentita, che tu, nonno, quanto più hai vissuto con me...tanto più mi mancherai.  

Post più popolari