Di terra e di donna. Maria Gabriella Cianciulli

Maria Gabriella Cianciulli
nasce a Montella, un paese dell'entroterra irpino, dove tuttora vive. Consegue la maturità magistrale e l'abilitazione all'insegnamento per le scuole primarie. Il suo percorso poetico prende forma con la pubblicazione della sua prima raccolta Echi di maggio, un atto di riconciliazione del proprio vissuto con il Reale attraverso la Natura, compagna e musa ispiratrice.

Per la Rubrica #IlcantodelleMuse parliamo del suo secondo libro di poesie: Di Terra e di Donna, edito nel 2021 dai tipi di Controluna.
Questo lavoro, con la postfazione di Giuseppe Cerbino, ha una dedica speciale, che mi piace riportare: 

"A mio marito Giuseppe, compagno inseparabile di un viaggio difficile e bellissimo allo stesso tempo; ai miei amatissimi figli, in particolare Simona, che nonostante le sue difficoltà con il suo sorriso e la voglia di vivere mi ha donato il senso più autentico della vita; a Christian, a Francesco, a Chiara: luce della mia vita, senza i quali non saremo la famiglia meravigliosa che siamo."

Cerbino così ce la racconta "Nella lettura di questo libro di poesie di Maria Gabriella Cianciulli (...) si scorge sin dalla prima lirica, una sorta di mitologia privata tutta incardinata in due poli opposti: la madre e la terra che sono il recto e il verso della stessa cosa. Terra e madre, nella nostra cultura mediterranea, sono concetti spesso accostati in una sorta di sinonimia che svela come entrambe abbiano il loro nucleo antologico nel nutrimento. (...) Questo libro può essere letto come una sorta di moderno Cantico delle Creature in cui il racconto lirico prevale sulla lode e in cui il contatto totemico si sostituisce al ringraziamento. (...)"

*

Ho scoperto Maria Gabriella per caso, per una congiuntura d'astri e deliziosa meraviglia, barattando i nostri reciproci lavori perché sospinte dalla forza naturale ed essenziale delle cose, senza la macchia del tornaconto. Entrambe raggomitoliamo pensieri nelle pagine dei nostri figli di carta e inchiostro, i cui richiami echeggiano nelle valli della nostra Irpinia.  

La poetica Cianciulliana è un viaggio nella dolcezza, nell'arresa della donna ai sentimenti più autentici e concreti, distante mille anni luce dalla liquidità di quel mondo che cammina all'incontrario, sordo alla voce della natura, completamente eradicato dalla magia delle cose.

Le sue note poetiche suonano agli spiriti eletti, aleggiano nelle praterie delle mai evase dimenticanze, danno passi che hanno la delicatezza di un soffione sui cuori dei lodati abitanti e dei disabitanti. L'elegia dell'ambiente come nido e culla ma anche come radice e argilla, mentre il silenzio dei morti richiama pellegrinaggi lontani, ma non troppo da quella casa a cui sempre si ritorna. 

L'accortezza e la cura del locus è afflato di emotività intensa e senza fronzoli, arriva alle caverne in cui scorre la linfa vitale e ne innesta nuovo e miracoloso nutrimento. 
Lei che ha imparato a "essere felice là dove sono" senza rimpianti di inconsistenza, glorificando ogni singolo giorno "che racchiude tutta la gioia, tutta la pace..." lo evidenzia richiamando Herman Hesse nelle prose scelte per l'incipit.

E ancora, nelle sue ariose stanze del sentirsi carne ed essenza concreta, tratteggia liricamente, senza inganni, il manifesto del Sud che riemerge vigoroso e, senza rimpianti o penurie di sentimenti, travalica ogni cosa, ribalta l'apparenza e diventa purissimo nello sguardo nitido di quella madre che è "Vita" e dedizione di "un amore in bozzolo" senza alcun tradimento a rovinarne la materia eletta.

"Suggestioni umbratili" ripercorrono ed attraversano l'autrice e le sue discese nei boschi per poi risalire sino alla luna e diventare "braciere dell'attimo assoluto", fecondi regali che lascia ai "naviganti " come "pepite". Divinanti, senza alcuna ansiosa violenza, sono i richiami al rimanere. L'autrice è antagonista, decisa, alla fuga dell'arresa. Ed anche quando è "Dio" a raccontarsi "nell'assenza" tutto si ricongiunge nel tempo come "due lembi strappati" e la disperazione velocemente lascia il posto alla flautata danza, che ancora si rinnova, come "le foglie" che tanto rammenta, nei movimenti ancestrali, quella delle Muse.

Io vivo a Sud del mondo
in petto l'ardore e la nebbia
una chimera nella mente e
sa di sangue
bolle evaporate sugli oceani
raccolte nei grembi immolati
immacolati e sazi d'attesa 

(Da Io vivo a Sud del mondo pag. 12)


Madre raccontami
raccontami terra gravida dal seno
che ha custodito l'attesa in solitudine
le mani incollate alla vita
simbiotica del tempo
che invera la sua pienezza.

(da Madre pag. 9)

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