domenica 27 luglio 2025

Anatomia del potere: il corpo violato della Storia a Gaza

A cura di Anna Rita Merico

Ora dopo ora, giorno dopo giorno, le notizie che riceviamo da Gaza lasciano sempre più spazio a considerazioni che trascendono, per taluni aspetti, quanto sta accadendo ed invadono il campo delle riflessioni su come-dove stia andando questa diversa declinazione (già avvenuta) del potere. 

Mi interroga una precisa dimensione umana che sta avvenendo dinanzi al come viene letto il corpo della Storia. Un azzardo di immagini compone una visione intorno ad un elemento: la centralità del frammento, la centralità della visione accennata e scheggiata, la centralità -ancora- della perdita dell’intero.

In un’azione violenta accade che non si veda il corpo dell’altra/o nella sua interezza. In un’azione violenta si altera completamente quella vista capace di considerare l’intero. L’intero che viene perso all’interno del campo visivo è quella dimensione nella quale convivono aspetti fisici, esistenziali, emotivi, progettuali. 

Chi agisce l’atto violento vede, nel corpo dell’altra/o, parti staccate sulle quali agire per poter giungere ad una risposta distruttiva capace di soddisfare il proprio bisogno di annullamento e fagocitazione del corpo altrui. 

Mi lascia riflessione questa modalità che, per taluni, sta accadendo: leggere la Storia separandola in schegge, frammenti angolari, una lettura che si auto-priva dell’uso di connettivi e sequenzialità.

Leggere, dunque, il corpo della Storia come si “legge” un corpo da violentare. Prima di giungere alla lettura del dato, accade lo spezzettamento delle parti, la creazione di una “materia spezzettata” che, pur avendo avuto origine da un intero, nega quello stesso intero.

E’ riduzione dello sguardo umano a sguardo incapace di scorgere orizzonte. 

Spezzare il tutto e vedere la singola parte impedendo ad essa ogni possibile connessione. E’ un’operazione che ha, come esito aggiunto, la perdita di significato della parola così come l’abbiamo conosciuta. E’ operazione che svuota e disarticola parola ed etica insieme. E’ operazione che ci obbliga a riparare in territori all’interno dei quali si mostra, ossessivamente, la spiegazione della spiegazione della spiegazione di ciò che era ovvio, di ciò che pareva acquisito e scontato. 

La parola retrocede in spazi separati e mi richiama quanto accadeva alla figura di Cassandra: voce scissa obbligata a rincorrere se stessa nel vuoto in cui chi deteneva potere rispetto a lei, Apollo, l’aveva immersa in assenza di soggettività riconosciuta. 

Cosa ci sta lasciando e cosa sta producendo (tra l’altro) questa esperienza estrema relativa alla cancellazione del popolo palestinese? 

Sicuramente un’emergenza che riguarda la registrazione della diffusione di un’alterazione dell’umano sguardo come dato voluto, creato da un potere che ha necessità di autogenerarsi. L’autogenerazione si mostra come relativa ad inedite clonazioni funzionali per una narrazione fasulla della Storia e delle sue contemporanee cronologie.

Come stanno accadendo e di cosa si stanno nutrendo gli attuali slittamenti di realtà?

“…Il sionismo -il movimento mirante a riportare gli ebrei in Erez Yisrael e a conferire la loro sovranità sul paese- affondava le radici in antichi aneliti millenaristici della tradizione religiosa ebraica, nonché nella fioritura di ideologie nazionaliste tipica dell’Europa dell’Ottocento… Il ritorno a Sion era inteso come un atto sociale e politico che avrebbe messo fine all’inattuale condizione di minoranza oppressa degli ebrei della Diaspora… Nel sionismo l’ideologia precedette ampiamente la realtà…”

Benny Morris, Vittime Storia del conflitto arabo-sionista 1881-2001, traduzione di Stefano Galli, B.U.R. Storia 2004, pg 25-26

“… Si può imparare molto dalle dichiarazioni dei più importanti leader sionisti il cui compito fu, dopo Herzl, di trasformare il suo progetto in azione… Il successo del sionismo non deriva esclusivamente dall’audace progettazione di uno stato futuro… La sua efficacia a superare la resistenza arabo-palestinese sta nel suo essere una politica attenta ai minimi dettagli… la Palestina non era solo la Terra Promessa… ma un territorio specifico con determinate caratteristiche… è a questo che, fin dagli inizi della colonizzazione sionista, gli arabi non sono stati in grado di rispondere… Non si resero conto così di trovarsi di fronte ad una pratica basata sui dettagli… per mezzo della quale un dominio, fino a quel momento immaginario, poteva essere realizzato in Palestina, centimetro per centimetro, passo dopo passo…”

Centrale l’operato di Chaim Weizmann nel tradurre idea e dettato sionista in politica, azione, obiettivi concreti. 

Fonte e cit.: Edward W. Said, La questione palestinese. La tragedia di essere vittima delle vittime, prefazione di Guido Valabrega, trad. di Stefano Chiarini-Antonella Uselli, Gamberetti Editrice, 1995 pg 91-99