UNO STRUMENTO
Fu questione di un attimo. L’istinto primordiale che
prende il sopravvento sulla razionalità indotta dalle convenzioni. Le dita
delle mani che si annodano a formare un pugno, stretto e deciso. Pugno che afferra
i bordi di una veste, fatta di seta purissima ed inserti preziosi. Poi uno
strappo, improvviso. Il rumore, degli abiti che si lacerano, squarciò il
silenzio di quel giorno come tanti, eppure diverso da tutti gli altri. Gli
occhi della folla, increduli, guardavano quella rappresentazione di follia,
senza gettare fiato e parole sulla scena. Soltanto un grande suono di
incredulità, una “O” aperta e corale, si avvertì quando i lembi sbiechi, di
quella veste, così offesi dalla necessità di un mutamento, caddero a suoi piedi.
La caduta dei peccati davanti al pentimento. Lembi, eleganti e raffinati, che abbracciarono
la nuvola di polvere, arida e misera, che si era sollevata dalla terra. Quell’uomo,
così gracile eppure forte, dai tratti esili e cortesi, stava rinascendo dalla
sua stessa carne. Come se fosse stato quello il suo primo giorno di vita. Riemergeva
nel presente, cancellando, con un gesto inconsulto, buona parte del suo
passato, se non tutto. Si risvegliava da un sonno troppo lungo e ingombrante da
sopportare. Risorgeva dal suo corpo come se, da quella nudità improvvisa,
avesse potuto comprendere il vero senso di se stesso. Tremendamente indifeso, foderato
solo della sua pelle bianca, da quel momento aveva udito, sentito, il richiamo
di una voce amica. Una voce che lo aveva smosso nella coscienza. Che lo aveva sostenuto
nelle forze. Che gli aveva dato la spinta per quel gesto, per alcuni versi
folle, per altri necessario. Una voce che lo rendeva unico ma incompreso
davanti al mondo. Una voce, forse un sussurro discreto, che gli mostrava la via
da percorrere. Una via in solitudine ma non da solo. Una voce che era parte di
una vita più grande, immensa, che lo avvolgeva di una luce eterna. Voce che lo
purificava nello spirito, prima così inquieto, ora così etereo e distante dalla
normale essenza dell’uomo. Lontano dalla ricchezza, da ogni cosa che si poteva
barattare o comprare. Vicino alla povertà, sorella di virtù, fede e carità. Fu
così che, quasi assuefatto dalla calura del sole, rinvigorito di nuova linfa,
si mise in cammino. Il respiro composto, non più incostante ed oppresso dalla
paura. I piedi scalzi. L’incredibile ed improbabile ristoro che sentiva nei passi,
veloci e sicuri, sulla nuda terra, a tratti erbosa, a tratti pietrosa. L’aria,
l’ossigeno impalpabile, che stimolava la sua tenacia. Ed ogni prezioso dono
della natura, che gli era di contorno, sembrava guidarlo in quel percorso,
sicuro ma lontano dalla sua casa natale. La strada era remota, distante, ma gli
sembrò un guizzo di metri e nulla più. Arrivato davanti ad un ammasso di ruderi
sbilenchi e travi spezzate, rimase folgorato dai tratti di una vecchia scultura.
Si avvicinò, mutando il portamento in segno di assoluto rispetto. Posò la mano
sulla base di quel legno logoro e malridotto e sentì, di nuovo, quella voce.
Era arrivato. Piangendo di gioia, si inchinò alla croce e disse: “Oh Signore, fa di me uno strumento della
tua pace. Dove è odio, fa che io porti l'amore, dove è offesa, che io porti il
perdono, dove è discordia, che io porti l'unione, dove è dubbio, che io porti
la fede, dove è errore, che io porti la verità, dove è disperazione, che io
porti la speranza, dove è tristezza, che io porti la gioia, dove sono le
tenebre, che io porti la luce. Maestro, fa che io non cerchi tanto di essere
consolato, quanto di consolare, di essere compreso, quanto di comprendere, di
essere amato, quanto di amare. Perché è dando, che si riceve, perdonando, che
si è perdonati, morendo, che si resuscita a vita eterna.” (S. Francesco
D’Assisi)