martedì 27 maggio 2025

BiblioIde - "L' anniversario" di Andrea Bajani

 

“Dieci anni fa ho visto i miei genitori per l’ultima volta, sono stati i dieci anni migliori della mia vita”: è la frase che racchiude tutto il senso di questo libro, intenso e disperato, in cui si descrive un lutto, espresso nella presenza e nell’assenza di una famiglia difficile.

La madre del protagonista “era alle spalle di mio padre in posizione defilata”, non riusciva ad esprimere i suoi bisogni, era come se aleggiasse in un limbo di sentimenti inespressi, ma non le era possibile lasciar andare suo figlio e la sua domanda: “Tornerai a trovarci?” rappresentava una sorta di ponte immaginario costruito su un baratro di silenzio e tensione, di speranza vana e incredulità. La porzione di mondo che lei occupava era del tutto trascurabile, la parte “ingombrante” della famiglia era rappresentata da suo padre; lei si sentiva invisibile, suo padre la portava a passeggio, la considerava alla stregua di un animale o di un oggetto e lei non riusciva a sottrarsi al suo potere: ”lui voleva che lei fosse niente per potere, lui, essere qualcosa e lei voleva essere niente perché essere niente era almeno qualcosa”

Non vi erano tracce della sua vita precedente al matrimonio, come se non ci fosse molto da ricordare e lei costituisse un’appendice di suo padre, di cui temeva la reazione violenta: un episodio significativo era che, all’appuntamento che lui le aveva dato, lei andasse ad incontrarlo con una grossa sveglia da camera in mano, perché non trovava il suo orologio da polso. Aveva provato lo stesso disagio della corsa sulla spiaggia per rispondere alla chiamata per telefono del padre e vergogna per la continua ripetizione del suo nome al megafono che diventava per lei come uno stigma.

Gli unici momenti in cui aveva visto sua madre felice era quando lei aveva lavorato come commessa in un supermarket, aveva il proprio ruolo e il proprio mondo, lontana dalle pastoie di una sottomissione domestica. Aveva qualcosa da raccontare, esperienze straordinarie per lei che le viveva e per loro che le ascoltavano.

Un giorno sua madre si era ferita con un taglio sulla testa, ma non si seppe mai il perché; era rimasta in cucina, sullo sfondo, come sempre, ma quel giorno era come se il mondo era caduto in pezzi e il silenzio divenne il pentagramma delle loro giornate. Sua madre esprimeva una sorta di rinuncia alla una sorta di rinuncia alla vita, era come se si fosse trasferita altrove, in uno spazio intermedio tra il succedersi delle cose e il suo prenderne atto”: aveva messo in atto la “distrazione”, per non essere colpita, per lei la morte non contava nulla, come non contava niente la vita, era qualcosa che succedeva nell’ordine naturale delle cose.

Il figlio si rendeva conto che, per assurdo, sua madre era più forte di suo padre, perché era come se tutto ciò che le succedeva non le riguardasse, reagiva con il silenzio o lo sguardo basso, racchiudendo dentro di sé le sue sensazioni contrastanti che non trovavano voce. Suo padre al contrario aveva bisogno di spaventare per essere amato e perciò fu condannato per sempre al non amore: allontanava tutti da sé per un assurdo senso di potere che però l’aveva condannato ad un’estrema solitudine.

Suo padre staccava il telefono o costringeva a fare degli squilli per ricevere le chiamate diventavano una sorta di richiamo lontano per mettersi in contatto con il mondo: le telefonate duravano poco, ma avevano un’eco prolungata. Quando sua madre era sola in casa, le telefonate suscitavano tuttavia “un barlume di materno in lei e in me qualcosa di filiale” attraverso il tono in cui pronunciava il suo nome.

Il trasferimento del protagonista a Torino per liberarsi della gabbia in cui aveva vissuto per tantissimi anni gli dà maggiore calma, anche se vi è un rimpianto e un senso di colpa sopito per aver abbandonato la propria casa, ma si rende conto di effondere il proprio bisogno di amore in quella pasticceria in cui si reca ogni giorno e che rappresentava il suo senso di famiglia: era un posto in cui si sentiva bene e non aveva l’obbligo di dire troppo di sé. Le due lettere che scrive alla madre e alla sorella sono un modo per cercare invano di placare l’inferno che sentiva dentro e quando sua madre rispose alla lettera dicendo di non capire il motivo per cui si fosse allontanato da loro, egli comprende che qualcosa in lui deve cambiare. Un giorno vede nel viso di suo figlio quello di sua madre e si rende conto che “non fa bene e non fa male”.