sabato 31 maggio 2025

I racconti di Silvia - Eva e il gatto Supplì

 



“L’altro giorno ho visto proprio uno strano gatto” disse Eva al papà mentre facevano colazione “Era un po’ spelacchiato, abbastanza cicciottello e con le zampette corte, però sembrava molto simpatico. Io penso che lui abbia bisogno di una casa. Alcuni bambini mi hanno detto che gira sempre per il quartiere, ma io non ci avevo mai fatto caso, lo chiamano “Supplì” Infatti somiglia proprio a un grande supplì con le zampette”. Papà ti prego adottiamolo! Mi piace troppo, è così buffo. Io mi prenderò cura di lui, lo laverò, lo pettinerò, gli preparerò la pappa. Papà ti prego, ti prego!” Aldo guardò perplesso il faccino supplicante e arrossato dall’emozione, incorniciato dai capelli biondi di sua figlia; avrebbe dato la vita per lei, intendiamoci, ma un gatto dentro casa! E poi per giunta randagio, sporco e puzzolente. “Eva amore mio, ma come facciamo a stare dietro a un gatto! Io lavoro tutto il giorno, tu vai a scuola, i compiti, gli amici, un gatto va coccolato, accudito, sfamato”. “Lo farò io papà, te lo prometto, anzi, lo giuro! “.

Aldo guardò con affetto la bambina. Sua moglie, Sandra, la mamma di Eva, se ne era andata da circa tre mesi a causa di una grave forma di tumore, lasciandoli impreparati e con un grande vuoto dentro. Da allora stava cercando in tutti i modi di aiutare sua figlia che aveva solo 8 anni, a superare quel grosso trauma. Non era facile per un uomo di 40 anni che era stato sempre molto concentrato sulla sua carriera di avvocato, svolgere improvvisamente il doppio ruolo di padre e di madre, assumendosi tante, nuove responsabilità. Il suo sguardo si perse negli occhi azzurri, profondi e melanconici di Eva “Eh va bene … tanto alla fine ti dico sempre di si. Quando ti vengo a prendere a scuola oggi, andiamo a cercare questo gatto.”

“Papaaaaaà, grazie, grazie ti voglio un sacco bene!” esclamò la bimba abbracciandolo forte.

La ricerca per le viuzze di Trastevere non fu per niente semplice, Supplì bazzicava sempre gli stessi posti e non si allontanava mai, ma di gatti randagi, in giro per Roma, ce ne sono parecchi e poi vatti a immaginare dove poteva essersi infilato! Quello che li aiutò fu il fatto che, con il pelo spelacchiato color nero e rugine e cicciottelli come lui non ce n’era nessuno, così dopo circa un’ora di ricerche, lo individuarono mentre rovistava nel cassone dell’umido a Vicolo della Luce.

“Adesso dimmi come facciamo a catturarlo” chiese esasperato Aldo a Eva. Erano muniti di croccantini e di gabbietta per il trasporto, ma come convincere Supplì ad entrarci dentro? “Papà! Che pizza però! Tu fai tutto complicato!  Gli farò qualche carezza! Lui è in gatto solo, abbandonato, affamato, gli farà piacere, comincerà a fare le fusa e verrà con noi “Tu vuoi fare qualche carezza a quel fagotto puzzolente di pulci???? Prima di toccarlo bisognerebbe fargli un bagno nel disinfettante!” Rispose il padre interdetto.  Ma Eva era partita in quarta “Micio, micio, micio … vieni qui bel gattone, guarda cosa ho per te?” disse allungando la mano destra e mostrando a Supplì i croccantini mentre con l’altra tentava una goffa carezza. 

Supplì si voltò con fare bellicoso ma quando vide il faccino dolce di Eva e i croccantini fu amore a prima vista. “Anvedi si quant' è caruccia 'sta reghazzina! Ma ce l’ha co’ me pe’ davero? Aò, e me dà pure da magnà! Me sa che pe’ oggi ho svortato, famo finta che a 'sto gioco ce sto...” Così si avvicinò facendo le fusa con fare languido, ma appena si distrasse ad addentare il primo croccantino, Aldo lo prese di scatto alle spalle e lo rinchiuse nella gabbietta. “Delinguenti, ma che state a fa’! Ndo me portate? Io sò povero, ma so’ un gatto onesto! Nun ho fatto gnente de male! Aiuto, aiuto aiuto! Che tradotto in linguaggio gattesco è: “Miaoooooo, miao, miammiao, miao, miaoooooooooooooo, fffffffffffffff!”

“Bravo papà! Corri, corri, andiamo via da qui” disse Eva.

Arrivati dentro il loro appartamento Eva cercò di rassicurare Supplì. Aprì la gabbietta e gli disse” Stai tranquillo, con me starai benissimo, diventeremo amici del cuore, non ti mancherà più nulla e giocheremo tanto insieme”

Il gatto si guardò intorno con fare guardingo, certo Eva era molto dolce, e lui avrebbe mangiato tutti i giorni cibo buono senza dover lottare per la sopravvivenza. Avrebbe dormito al riparo dalle intemperie e questa era un’ottima cosa visto che ormai aveva una certa età. Si rannicchiò in un cantuccio per riprendersi dal trauma e per riordinare le idee.

Intanto Eva gli saltellava intorno eccitata. “Guarda ti metto qui l’acquetta, forse avrai sete. La vedi? Questa è la cuccia dove puoi dormire, lo sai che sei veramente simpatico?”. “Ma questa nun s’azzitta mai? Annamo bene!” Pensò Supplì prima di cadere in un sonno profondo, dove sognò tutte le gattine del quartiere che aveva corteggiato durante le notti di luna, che piangevano la sua scomparsa e gli amici di scorribande per i vicoli di Roma che si chiedevano “Ma ‘ndo s’è annato a infilà 'sto matto? Nun c'è gnente da fa', è sempre stato ‘na testa calla!” E lui che miagolava a squarciagola dietro le grate di una finestra “Aò, sto qua! Fateme uscì da ‘sta priggione! A rimbambiti, ma che nun me vedete?”. 

Quando si svegliò trovò due ciotoline piene di cibo vicino a lui e Eva che lo fissava dall’alto dei suoi otto anni di statura “Adesso mangi tutta la pappa e poi ci andiamo a lavare” gli disse con un bel sorriso. “A lava’? A matta! Io nun me lavo da quanno so’ nato! No no no, e qua davero nun se semo capiti, io qui dentro nun ce vojo sta’, preferisco morì!

Con un balzo eroico corse ad infilarsi dietro al mobile in legno massiccio del salone, lo spazio era stretto ma si appiattì talmente tanto che riuscì a incastrarcisi dietro. Nessuno avrebbe potuto tirarlo fuori da là dietro, la credenza era troppo pesante da spostare.

“Esci da lì micio bello, ma non mangi? Io ti voglio bene, non puoi rimanere così sporco, credo che tu abbia anche le pulci, ha detto mio padre che se non ti lavi non puoi rimanere con noi. Dai fai il bravo”

Ma Supplì aveva preso la sua decisione, non sarebbe uscito da lì dietro, meglio la morte che essere lavato e addomesticato.

Eva era una bambina un po’ viziata ma aveva comunque una spiccata sensibilità ed era molto intelligente.

Capì che non stava facendo del bene a Supplì, ma lo stavo privando di ciò che era più importante per la sua vita di gatto randagio: la libertà. Pensò che non era indispensabile adottare proprio lui, ma che c’erano tanti altri gatti che sarebbero stati felici di essere amati e accuditi da lei, così disse a suo padre “Papà, riportiamolo dove lo abbiamo trovato, lui non è contento qui con noi, magari andiamo al canile a prendere un altro animaletto che sarà felice di stare con me.”

Con grande fatica Aldo riuscì a spostare il mobile, a liberare Supplì che soffiava spaventatissimo rimediandoci qualche graffio, e a rinfilarlo nella gabbietta con cui lo aveva tolto dalla strada.  Insieme ad Eva lasciò il micione davanti ai cassoni dell’umido dove lo aveva trovato.

“Scusa Supplì, non volevo farti soffrire, lo giuro, volevo solo avere un amico che mi facesse compagnia e mi volesse bene”. Disse la bimba fra le lacrime. Il micio le si strusciò alle gambe in segno di riconoscenza e le leccò con la lingua ruvida la manina con cui lo aveva liberato. Poi scappò via come un razzo per arrampicarsi sul tetto della casa più vicina a fare una nuova serenata alla luna. 

Eva e il gatto Supplì divennero amici.  Spesso lui l’aspettava all’uscita da scuola e faceva un pezzetto di strada con lei trotterellandole a fianco. Ognuno dei due aveva capito il cuore dell’altro.