IO TI PERDONO


Non avevo capito o forse non volevo capire. 
Quando ho sentito la pressione di quelle mani, il respiro si è attorcigliato nella gola. Come se fosse sul punto di strozzarmi. 
Ero al buio, gli occhi ancora chiusi. Il mio cuore ha percepito il pericolo ed ha iniziato a pulsare sempre più veloce. Un cavallo imbizzarrito, le briglie sciolte, quello ero io. Mi rigiravo su me stesso, volteggiavo nel terrore, vinto dal panico e dal presagio di quello che stava per succedere al mio piccolo mondo sommerso. Poi, qualche secondo di tregua mi ha dato l’illusione che fosse solo il risveglio dai sogni che stavo facendo. Sognavo quello che non avevo mai visto. Sognavo senza sapere la ragione dei sogni. 
Senza capire che erano sogni. Sognavo il tuo abbraccio, le tue lacrime di gioia, la tua carezza al mio corpo caldo poggiato sul tuo petto. Sognavo te perché la vita che avevo nel mio corpo era come una piccola fiammella. Fiammella che ardeva nella speranza di diventare incendio. Incendio d’amore. Amore puro che sarebbe esploso naturalmente e senza argini nell'istante della venuta al mondo. Con il primo respiro nei polmoni si sarebbe accesa la mia vita con te. Ero pronto ad essere forte. Lo giuro. Ero pronto a tirare l’aria nei polmoni senza difficoltà. A riempire la gabbia toracica ed essere Io. Ero pronto a nascere. Ma lo sarei stato alla fine, quando il tempo mi avrebbe reso pronto ad uscire. Eppure quella stasi era solo una quiete fasulla, il preludio all'esplosione della vera tempesta. 
Improvvisamente  inizio a sentire la necessità di andare verso l’esterno, di andare via da quel nido, ancora caldo, ancora accogliente. Ma cosa mi succede? Non è ancora il mio tempo. Ecco, faccio amicizia con la paura in quel momento. La vedo nitida, è un mostro che prende la forma di un forcipe. Mi si avventa sulla testa, la stringe con le sue fauci di ferro, sento le ossa del cranio che si lesionano, fino ad implodere, il collo che si allunga fino a spezzarsi. Non sono io che decido di venire al mondo per morire, è lei che decide per me. Lei che non mi vuole, che non mi desidera più. Lei che ha firmato la mia condanna a morte. 
Eppure quando tutto è iniziato io ero il centro dei suoi pensieri. Ero la prima carezza del mattino e l’ultima prima di andare a dormire. Quando ero ancora del calibro di un fagiolo ero coccolato come se fossi già nato. Poi quel test, quell'ago che mi ruba poche gocce d’acqua e quella faccia inequivocabilmente contrariata del dottore. “Signora il bambino non è normale”. Puoi essere onesta con me, lo capisco. Dimmelo, è stato quello il pugnale che ha tagliato, con violenza,  di netto, il tuo legame amoroso con me? Quelle parole ti hanno trafitto il cuore, vero mamma? Ed ecco perché hai deciso. Perché oggi non si può essere diversi, non si può essere anormali in un mondo pieno di apparenza e poca, se non nulla, sostanza. 
Ma io ti perdono. Ti perdono per le risate che non potrò mai sentire nel cuore e stendere con le labbra ancora acerbe. Risate senza denti ma piene di gioia. Ti perdono per le capriole che non potrò mai fare sull'erba umida, sul letto disfatto, sul pavimento della cucina o sul divano buono. Ti perdono per le stagioni che se ne andranno senza che io le abbia potute conoscere. Senza aver scoperto il caldo del sole d’agosto. Senza aver toccato la gelida neve ovattata. Senza aver sentito i profumi dei primi boccioli di rosa. Senza aver gustato la dolcezza dell’uva d’ottobre. È vero, non lo sapremo mai come sarebbe potuta essere la mia vita ma io ti perdono per le speranze di felicità che mi hai negato. Ti perdono perché ti amo. Perché il mio amore basta per tutti e due. Perché io ti ho amato sin da quando ero soltanto una cellula che si impiantava nel tuo corpo e ti amo anche adesso. Adesso che ti sei liberata di questo bimbo disabile. E ti perdono perché uccidendomi mi hai donato ad un amore più grande: l’amore di Dio. Un amore autentico, senza preconcetti, che non fa differenza tra bimbi “normali” e “diversi”. 
Eppure il mio perdono sarà la tua eterna condanna…

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