A cura di Domenico Frontera
L'opera più rappresentativa del filosofo spagnolo Miguel de Unamuno (Bilbao 1864 Salamanca 1936) è il "Del sentimento tragico della vita", scritta nel 1913 in polemica contro coloro che egli definisce "i predicatori dell'onnipotenza della ragione."
Per il nostro autore, infatti, la ragione scientifica - intesa in senso positivistico - non potrà mai rispondere alla domanda fondamentale sul senso della vita, in quanto l'esistenza non trova nessuna giustificazione. Essa è al di sopra di tutte le ragioni e non accetta formule, poiché non è una realtà razionale ma un sentimento tragico, irrazionale.
Secondo Unamuno, un pensiero troppo sicuro di sé - sia filosofico che tecnico-scientifico - costruisce, difatti, unicamente vani dogmi, pericolose certezze.
Se, al contrario, si è consapevoli dei limiti della ragione, delle sue presunzioni e dei suoi inevitabili errori, nonché delle realtà che oltrepassano i nostri schemi cognitivi (che il sentimento del tragico ci porta a comprendere), allora avremmo pensatori i quali, in una continua vigilanza, si troveranno sempre in lotta contro se stessi, contro le pretese del proprio intelletto. Il vero intellettuale è, dunque, quello che non è mai soddisfatto di sé stesso, né degli altri, e che percepisce la coscienza come una malattia dell'umano.
Non siamo di fronte al dubbio socratico, alla massima del "conosci te stesso", perché - per Unamuno - la tragicità di una mancanza di senso nelle cose impedisce anche la possibilità di definire cosa sia l'umano o l’umanità. Sostiene, infatti, che l'approccio al conoscere non muove da un dialogo razionale ma dalla irrazionalità di una emozione, di un sentimento che ci incute timore e tremore. Non è un caso, dunque, che dobbiamo proprio a Miguel de Unamuno la riscoperta del pensiero di Kierkegaard.
Cosa potrà mai dirci, affermerà il nostro autore, una ragione scientifica o filosofica - che si erge a spiegazione dogmatica della realtà - su quelli che sono i nostri più profondi bisogni volitivi e la nostra fame di immortalità?
La nozione di tragico, quindi, in Unamuno si oppone a quella di certezza e ci consegna al sacro, al mistero a tutto ciò che è ineffabile.
La vita concreta, l'esperienza del singolo - dirà ancora l’autore - ci indicano continuamente che i nostri desideri, le nostre volizioni, i nostri affetti, i nostri sentimenti e le nostre angosce vengono prima dell'intelligenza. Essi non nascono, come potrebbe apparire, dall'intelligenza stessa: questa è, infatti, solo un tentativo, sempre fallibile, di trovare una giustificazione al dolore di fondo, irrazionale, perché indefinibile, che l'uomo avverte in sé come una condanna.
Affrontare questo sentimento ci riporta di fronte all'abisso del vivere, alla sua assoluta irrazionalità e assurdità. Ciò, paradossalmente, aiuta la ragione ad essere umana, e cioè a riconoscersi inadatta a comprendere il tutto e a evitare la follia di un razionalismo acritico che conduce inevitabilmente verso i totalitarismi e il delirio di onnipotenza di una intera società.
Il sentimento del tragico, il terrore del nulla, il sacro, non bloccano la ragione; anzi, per Miguel de Unamuno la inverano, la compiono e impediscono all'intelletto di avere la presunzione di essere il giudice e il soggetto privilegiato del mondo.
Non la ragione delle cose, quindi, ma l'umile e "irrazionale verità" delle cose e nelle cose, per il filosofo e poeta di Bilbao, è tutto ciò che è "tragicamente e salvificamente" reale.
Dices que no me entiendes…
Dices que no me entiendes…
y què importa bien mìo?
Tampoco yo te entiendo,
y tengo tu cariño.
Si ante ti està mi mente
cercada en grueso muro,
en cambio, aquì te traigo
mi corazon desnudo.
Yo no sè lo que piensas
y aun si piensas ignoro;
me basta que tu pecho
se me haya abierto todo.
La mente es infinita,
el corazon eterno;
aquì, en tu rinconcito,
por siempre viviremos.
Dici che non mi capisci…
Dici che non mi capisci…
e che importa, amor mio?
Io nemmeno ti capisco
e posseggo il tuo affetto.
Se davanti a te c’è la mia mente
circondata da uno spesso muro,
io, in cambio, qui ti porto
il mio cuore nudo.
Io non so cosa pensi
e pure se pensi ignoro;
mi basta che il tuo petto
mi si apra per intero.
La mente è infinita,
il cuore eterno;
qui, nel tuo angolino
per sempre vivremo.
( Miguel de Unamuno, da "Verrà di notte, e altre poesie", Passigli Poesia 2008)