TUTTI GIU' PER TERRA
È oggi ma potrebbe essere benissimo anche ieri. Il tempo non ha importanza quando si dimentica velocemente il passato. Quando le violenze subite si mescolano a quelle inferte. È una mattina assolata, da questo lato del paese. I raggi colpiscono ovunque. Come una sferzata di schegge impazzite. Danno il senso della desolazione e della distruzione assoluta. Qui si gioca sulle macerie e sui pilastri attorcigliati. Tra la polvere ed il fumo, che si alza costante dal sottosuolo bollente, un piccolo gruppetto di bambini si tiene per mano. Stretti stretti. Quasi a sigillare un patto di reciproca amicizia e diventare fratelli e sorelle per sempre. Inconsapevolmente si guardano e sorridono. Hanno gli occhi lucidi di chi inizia una nuova avventura. Occhi neri e marroni, riversati negli occhi degli altri compagni. La più piccola del gruppo, forse quella più incosciente, abbozza un sorriso ed una canzoncina. Il girotondo ha inizio. Da lontano, intanto, si sente il fragore delle bombe. Una, due, tre esplosioni. Il frastuono è quasi assordante. Eppure nessuno dei bambini sembra dargli importanza. Qui si è abituati all’assenza del silenzio. Si è abituati a non sentire la quiete. Si è abituati a le urla di chi viene travolto dal fuoco dei proiettili. Quattro bambini giocano sulle pietre di una casa distrutta. Non si guardano intorno. Girano e rigirano nel loro semplice gioco dove la protagonista sembra essere una donna. Cantano mentre lei è l’unica a rimanere in silenzio. Ferma nel cerchio, al centro di quel raggio di manine sporche e umili vestiti. Nessuno dei bambini sa come si chiama. Eppure tutti la conoscono. Lei, intanto, li fissa, uno ad uno. Batte le mani in sincrono con i loro movimenti. O forse è il contrario. Sono loro che si muovono sottomessi a quel battere acuto e greve, quasi stridente. E quel clap clap, come un tam tam di guerra indiano, batte nel suono ogni altra cosa. Batte il tempo che sembra essersi fermato. Come se le nuvole avessero arrestato la loro discesa dalla montagna sacra. Come se il vento avesse cessato di muovere i panni stesi sulle terrazze assolate. Come se i lanciatori di pietre si fossero cristallizzati nel tiro. Come se i carri armati si fossero bloccati nella breccia del muro che porta alla città ribelle. Il resto dei loro compagni, chi ha già finito il gioco gridando: “tutti giù per terra”, è steso su tavole di duro legno, negli obitori improvvisati di Gaza.
All’estremo opposto, in un tempo opposto, in una storia opposta, è quasi sera. Il sole non scalda neanche più la terra, tanto il pallore dei volti è sparso ovunque. Nel lato ovest di un campo, arginato da un alto recinto, si gioca con la miseria e con scampoli di stracci. Il filo intrecciato, di ferro e spine appuntite, costringe l’orizzonte della vita a rimanere fuori. Il vento muove dei fantocci di stracci, appesi a quel filo. Per gioco o per follia, c’è chi strappa pezzetti di lenzuola luride per farne facce, braccia, gambe, di improbabili manichini o bambolotti di fortuna. Si ha poco o niente per giocare eppure si gioca. Ma il gioco preferito dai bambini, anche da questi bambini, è sempre lo stesso. Ci si tiene stretti per mano, si intona una filastrocca che tutti conoscono e poi si inizia il girotondo. Ed è, grossomodo, lo stesso girotondo per tutti. Forse solo meno intenso e veloce. Il campo li ha privati della forza, ed affamati di speranza, lasciando solo uno sprazzo di infanzia in quegli occhi tristi. Occhi che, però, si guardano costantemente intorno, per capire se qualcuno li sta spiando. Giocare è vietato. Allo stesso modo, anche in questo girotondo, di uniformi e ossa gracili, c’è sempre una donna al centro. Una donna ugualmente silenziosa che osserva le facce dei bambini senza proferire alcuna parola. Batte le mani ed incoraggia giri sempre più veloci. Anche qui il tempo sembra arrestarsi in quel ritmo assurdo e stranamente invitante. Fermi i forni crematori. Fermi le fucilazioni di massa. Ferme le camere a gas. Rimangono solo questi quattro bambini. Il resto dei loro compagni, chi ha già finito il gioco gridando “tutti giù per terra”, è ammassato senza pietà, nelle fosse comuni del campo di sterminio.
Eppure quel girotondo, a cui tutti giocavano, era quello intorno alla morte. Quella donna, strega e sirena, che con le sue sembianze cangianti, non ha mai risparmiato nessuno. Lei che si è approfittata dell’infanzia per lanciare un terribile segnale al mondo. Lei che ha trovato il mondo assuefatto dall’indifferenza. Come l’indifferenza di quel mondo davanti ai campi di sterminio, come l’indifferenza di questo mondo davanti al massacro dei bambini di Gaza. E mentre il silenzio cade come un veleno, soffocando le bocche, chiudendo gli occhi di quei bambini, così si ripete la mattanza. Qualcuno dovrebbe avere il coraggio di imputare il silenzio come crimine di guerra. Mai più dovrebbe avvenire, si dice, ma sempre avviene.