Ogni mattino, di quei 52 giorni, dalla “Strage di Capaci” a quella di “Via D’Amelio” del 22 luglio 92, Paolo Borsellino si alzò sapendo che quello poteva essere il suo ultimo giorno, che la sentenza nei suoi confronti sarebbe stata eseguita nel modo più plateale perché fosse da monito verso tutti i servitori dello Stato che osavano sfidare la mafia. In quei drammatici giorni Borsellino da molti ebbe un sostegno effettivo, da altri solo apparente. Gli fu consigliato di lasciare la Sicilia ma rifiutò perché sarebbe stato un atto di viltà. Le collusioni tra la politica e la mafia facevano paura a molti centri di potere. Le indagini sulla “Strage di via D’Amelio” hanno fatto emergere che alcuni centri di potere cercarono di depistare le indagini. L’Italia è uno dei pochi Paesi dove esiste persino il delitto di depistaggio. Da Piazza Fontana a oggi è il Paese di colpe senza colpevoli: da Pio La Torre a Pier Santi Mattarella, dalla strage di Bologna a Piazza della Loggia. A queste tragedie ci siamo abituati grazie ad una campagna ben orchestrata da mezzi di informazione collusi con centri di potere illegali. Ogni giorno, in oltre trenta anni, questi centri di potere hanno inculcato nella gente la convinzione che il vero pericolo non fossero le mafie capaci di controllare in modo militare vaste aree del nostro Paese, che non costituisse un problema l’esistenza di una diffusa corruzione. Questa campagna di disinformazione ha giustificato persino l’enorme evasione che sottrae risorse essenziali ai cittadini meno ambienti, così come le devastazioni operate sui territori dalle ecomafie. Gli enormi interessi economici - intendo quelli relativi ad appalti aggiudicati ad un gruppo ristretto di imprese che operano con l’appoggio della criminalità - hanno consentito una sistematica disinformazione utilizzando in modo spregiudicato i social descrivendo, sistematicamente, il politico interessato da una misura cautelare come un martire della giustizia colpito da magistrati fazioni e non legittimati dal voto popolare. Così si è arrivati al punto di far credere alla gente che le intercettazioni telefoniche siano inutili e dispendiose dimenticando che oggi, attraverso il dark web, la criminalità internazionale opera le maggiori transazioni illegali che consentono un continuo riciclaggio del danaro sporco ed enormi acquisti di droga. Questa sistematica disinformazione - che ha trovato nell’intelligenza artificiale nuovi illimitati spazi - ha inoculato progressivamente dosi massicce di veleno nella società inducendo molti a credere che la priorità sia ridurre il potere dei magistrati ritenuto eccessivo piuttosto che rendere la giustizia più efficiente ed efficace.
L’attacco è stato di inedita violenza tanto da interessare persino la Corte di Cassazione accusata di faziosità. Gli stessi centri di potere hanno ostacolato ed alterato qualsiasi tipo di informazione sulle indagini, tanto da intimidire e sanzionare i giornalisti scomodi. Sono emblematiche al riguardo le storie dei tanti giornalisti, da Peppino Impastato a Giancarlo Siani, uccisi dalle mafie solo per aver raccontato l’oppressione della criminalità in Sicilia ed in Campania. Occorre promuovere la lettura di tutti i giornali nelle scuole se non vogliamo che la libera opinione sia affidata a coloro il cui unico scopo è screditate queste categorie a cui la Costituzione affida la difesa del nostro sistema democratico. L’essenza della democrazia, ricorda il Presidente Mattarella, è nella “coscienza del limite”, che consiste nell’impedire che ogni potere prevalga sull’altro così degenerando in forme di autoritarismo. Ricordare le figure di Falcone e Borsellino e degli altri 28 magistrati uccisi dalla mafia, dal terrorismo e da centri di potere corrotti è fondamentale per le nuove generazioni. Più che di consigli hanno bisogno di esempi concreti.
Pochi si chiedono oggi cosa sarebbe successo se questo manipolo di persone non avesse ostacolato fino all’estremo sacrificio il progetto eversivo del terrorismo, delle mafie e dei centri di potere corrotti contrastando la presenza opprimente della criminalità su vaste aree del Paese per offrire una giustizia rispettosa dei valori costituzionali e vicina alle persone vulnerabili. La magistratura e l’informazione non possono vivere senza la solidarietà dei cittadini, la collaborazione di tutte le istituzioni repubblicane e delle forze politiche e sociali che credono nella libertà di opinione e nella giustizia. Tutte le “persone perbene”, di qualsiasi orientamento politico, devono “fare rete” per impedire che un’ondata di disinformazione mini il nostro sistema democratico e delegittimi l’indipendenza dei presidi di legalità. Solo così avremo reso giustizia alle tante vittime delle mafie, del terrorismo e della criminalità.
Antonio Rosario Luigi Guerriero, già Procuratore della Repubblica e docente universitario.